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YTALIA: TUTTO è NULLA – Al Forte Belvedere di Firenze

Qualche nostalgico e austero fiorentino ancora rievoca il sestennio in cui Firenze legò istituzionalmente e romanzescamente la sua sorte a quella della nascitura Italia, divenendone Capitale. La tendenza protezionistica, dal punto di vista artistico, che pittura storicamente il capoluogo toscano e la percezione dei suoi abitanti, ha talvolta comportato nell’accoglienza del contemporaneo uno spiacevole ritardo, compensato con scelte fulgide e coraggiose: due esempi su tutti, l’esposizione di Henry Moore a Forte Belvedere e la “tempesta” Barocca portata da Pietro da Cortona nella Stanza della Stufa di Palazzo Pitti. Frutto spontaneo e dal sapore selvatico di questo retaggio culturale risulta essere la mostra Ytalia, in programma fino al 1 Ottobre, ideata e curata da Sergio Risaliti.

Un’ esposizione complessa, Barocca per l’appunto, ampia nelle dimensioni quanto nelle intenzioni, toccando le più importanti istituzioni museali fiorentine, Palazzo Vecchio, Galleria degli Uffizi, Santa Croce, Museo Marino Marini, Giardino di Boboli, Museo del Novecento, culminante nel panoramico e villeggiato Forte del Belvedere dove sono stati collocati, indiscutibilmente, dodici delle più imponenti firme italiche della Storia dell’arte Contemporanea: Mario Merz (1925-2003), Giovanni Anselmo (1934), Jannis Kounellis (1936-2017), Luciano Fabro (1936-2007), Alighiero Boetti (1940-1994), Giulio Paolini (1940), Gino De Dominicis (1947-1998), Remo Salvadori (1947), Mimmo Paladino (1948), Marco Bagnoli (1949), Nunzio (1954), Domenico Bianchi (1955).

Un pullulare di Stelle e pianeti ospitanti che donano forma a questa rete di connessione, intricata, certamente, eppure necessaria per definirne la trama e lasciare filtrare la luce nei punti giusti; luce di una conoscenza fruita mutevolmente, lasciando lo spettatore, senza troppe indicazioni, libero di contemplare un’offerta affatto narrativa, ma semplicemente immanente: una sorta di All you can see.

Oltre alla forma lussureggiante, si diceva, Ytalia appare eterogenea anche nelle intenzioni curatoriali, manifestando una lettura profonda e gustosamente citazionista, a cominciare dal titolo, riportato su una vela della Basilica superiore di San Francesco ad Assisi, affrescata da Cimabue intorno al 1280, punto di partenza di un noto saggio di Federico Zeri, La percezione visiva dell’Italia e degli italiani, 1976, quasi a collegarsi con due passati, uno remoto ed uno (im)perfetto.

Il corto cicuito temporale si evince persino nell’allestimento hollywoodiano, particolarmente nel dialogo tra la colossale Calamita Cosmica di De Dominicis e il profilo di Santa Maria in Fiore, sintesi metonimica di Firenze stessa, così come Cimabue ingegnò per rappresentare Roma (l’equazione Roma = Ytalia era dovuta, vista la commissione papale di Niccolo III).

Connessioni temporali e ambientali, volte a stimolare un effetto emozionale ed equilibrato, un caos calmo decisamente riflettente l’attualità, si tratti di contesti interni, come gli eccelsi quadri “arazzi” di Paladino e Merz, o esterni, come il Noli me tangere realizzato da Marco Bagnoli, talmente promettente che persino i merli sembrano dialogare all’unisono.

La ricchezza oggettiva e intellettuale dell’esposizione, fortemente ancorata alla filosofia di Eraclito, crea, proprio per questo, un vago sentore di Nulla: l’abbondanza dell’offerta, dove Tutto è connesso e perfettamente in equilibrio, offre allo spettatore la consapevolezza del Vuoto, necessaria per bilanciare la pienezza della mostra, ricordando come il Tutto si regge sull’opposizione dei contrari (Polemos). Consapevolezza, quindi, che rispecchia un presente devastante, perchè l’Arte trova affermazione solo nella sua vaquità, celebrando l’affermazione leopardiana che “Tutto è Nulla” e stigmatizzando, in un sublime Memento Mori, la Bellezza come uno scheletro senza Carne.

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