Si è appena conclusa la settimana dedicata all’arte contemporanea e, senza soluzione di continuità, Milano è già immersa nella Design Week con centinaia di eventi che si rincorrono in città. In pieno centro storico, ma quasi nelle retrovie della frenesia meneghina, il 6 aprile ha inaugurato la mostra Words presso la Chiesa sconsacrata di San Paolo Converso, oggi sede dello studio di architettura Locatelli Partners, sita in Piazza S.Eufemia.
Varcando la soglia della chiesa, nell’area originariamente destinata alle suore di clausura e al coro, lo spettatore resta immobile e attonito. L’occhio corre tra gli affreschi cinquecenteschi e le decorazioni barocche che non lasciano un minimo spazio all’horror vacui. Pannelli bianchi coprono il pavimento. Una voce metallica e continua pronuncia parole prive di nesso logico.
È il 1962 quando Allan Kaprow organizza per la prima Words presso la Smolin Gallery di New York.Questo environment, un’opera partecipata multisensoriale, si snoda in due sale. Trascritte su carta o stampinate su drappi in tessuto, parole tratte da poesie, giornali, fumetti ed elenchi telefonici coprono i muri della prima stanza. I partecipanti vengono incoraggiati a rivisitare queste parole e aggiungerne altre scrivendole su pezzi di carta. Tre registrazioni riproducono un testo recitato da Kaprow, mentre lampadine rosse e bianche si accendono e si spengono ritmicamente. Anche le pareti della seconda stanza sono coperte di parole. Qui i partecipanti usano gessetti colorati appesi al soffitto per decorare i muri con immagini e messaggi. I visitatori possono anche scrivere su fogli fissati con fermagli a lenzuola appese al soffitto. Un fonografo sul pavimento riproduce sussurri appena udibili.
Alexander May e Zoe Stillpass reinterpretano Words per Converso chiedendo a 100 artisti, scrittori e curatori di contribuire con una lista di 100 parole ciascuno. Queste sono rielaborate da un software che le traduce e modifica costantemente. Lo spazio è riempito dalla voce di un’intelligenza artificialeimpegnata a recitare un testo in continua evoluzione.
Un’esperienza unica, irripetibile nel suo genere perché le frasi non saranno mai uguali, che vuole esplorare il linguaggio. Se le parole hanno senso, il loro significato non rientra nella categoria degli elementi non verbali (rumori, elementi visivi, azione). Se invece non hanno senso, perdono il loro significato e diventano puro suono. È proprio quello che avviene: una parola accostata ad un’altracambia il proprio significato fino a perdere quello iniziale.
In un’insolita disposizione tra vuoti e sovrapposizioni, i pannelli bianchi rappresentano lo spazio fisico lasciato ai visitatori, liberi di scrivere e disegnare sopra con gessetti neri di cera, probabilmente influenzati dalle parole recitate. Questi supporti verranno progressivamente rimossi, impalati erimpiazzati con nuove superfici pulite man mano che le parole satureranno lo spazio. L’interazione dipersone, cose, immagini, suoni, linguaggio umano e di programmazione darà così vita a una poesia polifonica.
Non si può far a meno di prendere parte all’installazione.
Mi sono seduta, ho chiuso gli occhi, ho ascoltato quell’incessante ripetizione di parole, ho perso il senso ed è rimasto il suono. Allora ho riaperto gli occhi, ho alzato ancora una volta lo sguardo verso la maestosità della volta e ho sentito la necessità di lasciare lì, nell’angolo di un pannello non troppoaffollato di scritte e disegni, tre parole, quasi a testimoniare che io in quel momento fossi presente.