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W.Eugene SMITH – Pittsburgh. Ritratto di una città industriale

Figura di grande rilievo nella storia della fotografia veloce e attivo per un arco di decenni che attraversa la metà dello scorso secolo, W. Eugene Smith appare l’artefice delle più famose immagini impresse nella memoria collettiva del nostro occidente. Nell’ambito del genere documentario, al quale dedicò interamente l’attività di fotografo, è riconosciuto tra coloro che per primi ricorsero alla disposizione sequenziale del materiale delle proprie riprese, collocandosi assieme a Margaret Bourke-White come uno dei pionieri del fotoreportage e del saggio fotografico. Personalità complessa e profondamente sensibile riguardo ai bisogni e alle responsabilità del fotografo, W. Eugene Smith appare ai nostri occhi un fotoreporter alla ricerca della verità assoluta e, al contempo, un artista che documenta la realtà dei fatti. A muovere la sua attività di fotografo è l’esigenza di raccontare la complessità del mondo che lo circonda unita alla volontà di sintetizzare gli opposti. Smith tenta così di afferrare le contraddizioni di una realtà che vuole restituire intera agli occhi dello spettatore.

La nascita di W. Eugene Smith avviene esattamente cento anni fa e proprio in occasione di questo centesimo anniversario la Fondazione MAST – Manifattura di Arti Sperimentazione e Tecnologia di Bologna ricorda l’autore presentando l’opera più imponente da lui eseguita, il progetto dedicato alla città di Pittsburgh, all’epoca il più importante centro siderurgico e minerario degli Stati Uniti. La mostra allestita al MAST si intitola appunto Ritratto di una città industriale, è a cura di Urs Stahel e si compone di 170 fotografie originali provenienti dalla collezione del Carnegie Museum of Art di Pittsburgh.

Il ciclo, che doveva documentare il mondo del lavoro in quella che allora era una delle maggiori città industriali del mondo, venne commissionato a W. Eugene Smith da Stephan Lorant, membro di Magnum Photos, e ha avuto inizio nel periodo immediatamente successivo alla chiusura dei decennali rapporti tra il fotografo e la rivista Life. Il numero di scatti e i tempi di realizzazione del ciclo fotografico, di gran lunga più ampi del centinaio di foto da eseguire in tre settimane richieste dalla committenza, è significativo della personalità e del modo di concepire il ruolo del fotografo da parte di W. Eugene Smith.

I ventimila negativi assieme ai duemila “masterprint” realizzati per questo progetto, seguito per oltre due anni e non concluso, testimoniano l’intento da parte dell’inquieto autore di interpretare la complessità che restituiva il profilo della città statunitense. W. Eugene Smith ambiva catturare il fascino e i lati oscuri di tanta opulenza, voleva sintetizzare in un’unica grande raccolta fotografica i mumerosi volti del reale, le sue luci e le sue ombre, lo splendore e la sua vanità. Se scandagliare nel profondo la realtà è il principale obiettivo di W. Eugene Smith nel suo lavoro, egli è assolutamente consapevole che quest’ultima è costituita dalle azioni degli uomini. Le vicende che l’artista ambiva cogliere nel proprio tempo corrispondevano effettivamente alle vicende umane. L’esperienza come reporter di guerra per Life che lo ha visto impegnato per quasi l’intera durata del secondo confliitto, ha probabilmente marcato la sensibilità del fotografo nei confronti delle delle più aspre condizioni e vicissitudini degli uomini.

Le opere fotografiche esposte al MAST in questa occasione testimoniano, al pari di lavori realizzati in occasioni differenti, l’importanza che per W. Eugene Smith assumevano gli individui. Nel progetto su Pittsburgh questi ultimi sono spesso ritratti singolarmente ma con il fermo intento dell’autore di renderli parte di una moltitudine, un coro che restituisce l’anima della città. In questo ciclo di opere, come dichiara lo stesso autore, non viene approfondita l’individualità di ciascun soggetto umano come avviene in molti reportage svolti negli anni precedenti ma al pari di questi ultimi è presente l’aspetto drammatico. Un tratto bene impresso dalle inquadrature, dai marcati contrasti del bianco e nero, dall’uso sapiente delle ombre, elementi che aiutano a trasfigurare il vero della scena in vero universale.
La spiegazione a tutto ciò risulta molto chiara in una di dichiarazione dello stesso Smith: “vorrei chiarire fin dall’inizio che non esiste alcun conflitto tra il giornalismo e la mia dimensione artistica. Un tempo esisteva, ma poi ho capito che per essere un buon giornalista dovevo essere il migliore artista possibile”. La verità nell’immagine è dunque per W. Eugene Smith soprattutto rivelazione e, come accade nell’opera d’arte, verità assoluta manifesta soltanto al suo artefice che resta l’unico uomo capace di svelarla al mondo. La realtà posta innanzi all’obiettivo per W. Eugene Smith non è dunque da catturare ma piuttosto da comprendere.

Il proposito di riprendere gli eventi come si presentano ai nostri occhi senza ricorrere ad artifici, principio essenzale del fotogiornalismo di tradizione americana, è stato per tutta la vita di W. Eugene Smith un elemento di meditazione sofferta, culminato in una vera e propria ricerca sul significato del vero nell’immagine, sulla possibilità di resa di quest’ultimo da parte del fotografo. Un interrogarsi che trova le sue ragioni nelle due anime che hanno guidato per l’intera esistenza il suo agire, quella di reporter e quella di artista.

 

La Recensione è pubblicata sul n. 268 di Segno.

 

W.Eugene SMITH

PittsburghRitratto di una città industriale

Fino al 16 settembre 2018

FONDAZIONE MAST
VIA SPERANZA, 42
40133 BOLOGNA
info@fondazionemast.org

 

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