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Vincenzo Marzocchini


Che cos’è l’arte? Un lavoro, oppure un hobby?

Fino al XVIII secolo un lavoro, precario, sempre in attesa di commissioni, ma certamente un’attività privilegiata come posizione sociale. Dall’Ottocento in poi un hobby e un lavoro. Per le donne fu sempre un hobby fino agli inizi del Novecento, tranne che per la fotografia che contempla già sin dai suoi primi decenni, dal 1860, molti studi per ritrattistica tenuti da fotografe prima a Londra e nei paesi dell’est Europa, poi la tendenza si diffuse altrove. Nel tempo, l’aumentato benessere sociale ha favorito la diffusione degli hobby legati all’arte nel tempo libero. Con l’avvento della fotografia il fenomeno hobbistico si è dilatato enormemente a partire dall’immissione sul mercato nel 1888-90 dei modelli Kodak dedicati non solo ai professionisti ma anche a donne e bambini. Nelle locandine pubblicitarie e nei cataloghi delle macchine fotografiche Kodak erano stampate felici signore e signorine che con disinvoltura riprendevano scorci panoramici e ritratti ai familiari e amici. Oggi, con i telefonini mobili dotati di fotocamere tutti sono diventati fotografi, non solo, con i nuovi modelli di cellulari definiti PRO la cui pubblicità decanta “i nuovi confini della fotografia”, tutti si sentono artisti.

La fotografia ha sostituito la pittura nella contemporaneità come forma d’arte privilegiata e nelle gallerie d’arte lo si verifica palesemente. Il mouse del computer ha sostituito il pennello del pittore e l’attuale periodo storico è definito post-fotografico anche per questa caratteristica: l’opera la si costruisce al computer senza macchina fotografica prelevando immagini altrui o assemblando ritagli di fotografie. L’off camera di Man Ray è alla portata di tutti, artisti e amatori, basta disporre di un computer o di un cellulare sofisticato.

Vissi d’arte o vissi d’amore?

I fortunati che riescono ad entrare nel giro mercantile della pubblicità, della moda, delle tendenze imposte dai grandi galleristi vivono d’arte perché, per esempio, basta piazzare ad un collezionista un pezzo all’anno o ogni due-tre anni per vivere tranquillo. Tutti gli altri si nutrono d’amore, per il proprio hobby e per le proprie creazioni, al punto che chi può sopravvivere con altre entrate economiche preferisce tenersi le proprie opere, spesso uniche, e accumularle nel proprio museo privato a futura gloria, post mortem. Ecco, ancora esistono questi esempi e a dire il vero ho almeno due amici, anzi tre, che la pensano così. Certo, non hanno necessità di far dipendere la loro sussistenza da un’unica fonte di introiti.

Si dice che sia un tipo strano: hai mai incontrato o conosciuto un’artista?

Tanti, diversissimi, i più normali proprio i fotografi, o meglio dire con meno stranezze. Da che mondo è mondo l’artista non può rientrare nel gruppone di quelli che vivono e pensano secondo norma, altrimenti rimarrebbe o diventerebbe mediocre e l’arte aborrisce la mediocrità. Un mio amico friulano viveva nell’isolamento e nell’angustie di una casupola in legno che sapeva più di baracca e accampamento provvisorio. Del resto è la provvisorietà lo stato di permanenza pregnante della creatività. Essa non è stabile, ma va stimolata e lo stato di sofferenza si è rivelato spesso il fattore determinante dell’atto, del gesto, del progetto artistico originale e non banale, perché il tutto viene dal dentro, da una visione obliqua e non piatta frontale. Allora la stranezza, il fuori norma, il comportamento anticonformista è il sale dell’artista, la caratteristica che gli permette la creazione di un’opera peculiare che si differenzia e si allontana dalla ridondanza della norma, dal manierismo artistico. Tra le stilettate di Oscar Wilde, un anticonformista per scelta di vita, ce n’è una anche per questa situazione: Nessun grande artista vede le cose come sono veramente. Se lo facesse smetterebbe di essere un artista. E più in là: La coerenza è l’ultimo rifugio delle persone prive di immaginazione. 

Si dice anche che sia un narcisista estremo. O un caratteriale disturbato?

Nella società contemporanea è proprio difficile non essere disturbati, mantenere l’equilibrio psichico. Uno degli aspetti sociali deleteri riguarda la solitudine, la mancanza di affetti e solidarietà. Il fenomeno dei social network ha mascherato fittiziamente questa lacuna sociale e ha creato le false amicizie e gli inganni sentimentali, una pseudo appartenenza al gruppo. Il fenomeno dei selfie è una prova di tutto questo: mettersi al centro dell’attenzione, essere presente in un mondo omogeneo anche se virtuale. La sensazione, l’apparenza sostituisce il vero. Anche l’artista, narcisista per eccellenza, escluse poche eccezioni seguaci delle pratiche meditative orientaleggianti, non è immune dall’inquinamento del fenomeno dell’apparire e le opere diventano sempre più vistose e chiassose, ingombranti. In fotografia, settore che più mi interessa, nella fotografia d’arte l’ironia è stata sostituita in gran parte dal kitsch, anche nelle dimensioni spesso fuori luogo e finalizzate a meravigliare più che a far riflettere. Il narcisismo è ovunque. Forse la causa principale sta nel fatto che una volta si producevano immagini del mondo, oggi il mondo è diventato una immensa immagine, parodiando una espressione ottocentesca di Oliver Wendell Holmes e ripescando nel contempo un’idea di Luigi Ghirri, quella scaturitagli dalla fotografia del pianeta terra ripresa dal satellite che per lui rappresentava l’immagine di tutte le immagini, l’icona che conteneva tutte le immagini esistenti nel mondo.

Perché acquistare un quadro, un’opera d’arte?

Qualora le mie finanze potessero permettermelo, sicuramente lo acquisterei per poter disporre di un oggetto-opera che non riuscirò mai a realizzare, ma che mi stimola visivamente, procura un piacere estetico e attiva una riflessione interiore, un dialogo con i ricordi, la memoria, il vissuto, i desideri nel contempo. Nel mio campo artistico cerco sempre di proporre qualche scambio con autori amici e devo dire che funziona. Nell’ultima mostra fotografica a cui ho partecipato, durante la rassegna della Primavera Ostrense 2018, due autori mi hanno chiesto uno scambio di opere. Lo stesso discorso lo porto avanti coi libri che periodicamente pubblico, e a pensarci bene diventa un modo intelligente per farsi rimpinguare la propria biblioteca e far circolare le opere e la cultura.

In che misura è “ricco” un artista (contemporaneo)?

Alla ricchezza materiale abbiamo fatto riferimento sopra, quindi rivolgiamo l’attenzione alla ricchezza spirituale che dipende dalle esperienze esistenziali vissute, dalla formazione globale. Lo spessore etico non è estraneo alla realizzazione di un’opera, di una fotografia. Le opere che hanno sfidato la pruderie dell’epoca sono poi risultate vincenti nel secolo successivo. C’è chi sostiene che un’opera d’arte deve aiutare a comprendere il mondo, chi afferma l’arte per l’arte; chi si pone finalità sociali e chi vede nell’opera semplicemente costruzione, innovazione del linguaggio. Chi è più ricco di spessore etico? Chi è, invece, più ricco di abilità tecniche? È più ricco Franco Fontana o Mario Giacomelli? Sosteneva Oscar Wilde: Lo scopo dell’arte non è la semplice verità ma la complicata bellezza. L’arte è in fondo una forma di esagerazione delle cose, e la selezione di queste medesime cose, che ne è l’anima, non è altro che una forma intensificata dell’enfasi. Credo che ricchi d’animo, seppur in misura diversa difficile da valutare, lo siano tutti e due. Sta a noi spettatori e visitatori di mostre stabilire, in virtù della nostra formazione e sensibilità, quale più ci colpisce e attira. Riornando a Wilde, possiamo sostenere che: È solo il battitore d’asta che può ammirare egualmente e imparzialmente tutte le scuole d’Arte. Che si debba avere qualcosa da dire è invece fuori discussione.  Probabilmente è proprio questa la pecca di tanti lavori fotografici e non, come sostengono da tempo storici, critici, pensatori quali Mario Costa, Paul Virilio, Jean Baudrillard.

Parlando di libertà, sei tentato a immaginare l’artista come un soggetto anarchico o vincolato dal sistema?

L’importanza della storia, non smetto mai di ribadirlo. È l’anarchia che crea i movimenti più radicali, profondamente innovativi, salvo poi, con la proliferazione degli adepti, assistere alla trasformazione delle avanguardie in sistema consolidato. Oggi ci muoviamo all’interno di un sistema di “corsi e ri-corsi storici”, come l’aveva descritto nel ‘700 il filosofo Giambattista Vico. Quanto propugnato da Marcel Duchamp in fatto di autorialità (l’autore è chi pensa e progetta l’opera la cui esecuzione può essere demandata) è stata portata agli estremi da Andy Warhol; ancora: l’idea del prelievo e della decontestualizzazione dell’oggetto per destinarlo a nuova funzione, dalla metà degli anni sessanta a oggi, è diventata una pratica artistica comune anche ai fotografi con il metodo consolidato dei prelievi d’archivio, pratica oggi, nell’era definita post-fotografica, che costituisce una delle sue caratteristiche principali. Il nuovo autore oggi non è solo e non tanto chi scatta foto, ma colui che preleva dai siti internet le immagini già pronte per modificarle o semplicemente inserirle in nuovi progetti, quindi le rinomina o attribuisce ad esse nuovi significati. Dall’altra parte, in parallelo, molti protagonisti del mondo dell’arte vengono fagocitati dal sistema perverso del mercato finanziario che stabilisce, per esigenze di investimento del surplus realizzato, prezzi d’asta di determinate opere.  

Quali sono le esigenze di un’artista? Materiali o solo estetiche?

Se per materiali si intendono i mezzi per vivere allora vale quanto detto al punto due (vissi d’arte o vissi d’amore?); altrimenti, se tali esigenze materiali riguardano l’opera, nel mio caso l’immagine fotografica, sia i supporti selezionati finalizzati alla fruizione pubblica, che il trattamento di sviluppo e stampa o la manipolazione digitale per la realizzazione cartacea, diventano estremamente essenziali e strettamente connessi al risultato estetico. 

Artisti o artiste, a chi daresti lo scettro?

Sicuramente alle seconde. In tutte le espressioni artistiche sono state valorizzate tardivamente, man mano che cresce la conquista dei diritti socio-politici da parte delle donne gli studiosi incominciano a inserirle nelle varie storie: in pittura, scultura, fotografia e nella letteratura hanno conquistato un posto in prima linea a partire dal XX° secolo, per merito delle avanguardie artistiche. Finalmente possono partecipare ai corsi accademici, alle esposizioni ufficiali (nel secolo precedente l’unica mostra al femminile fu quella di Amsterdam del 1884). La fotografia, sin dalle origini, vide tante donne impegnate nella nuova arte, ma la storia le ha rivalutate solo recentemente. Tanti primati e scoperte attribuiti ai fotografi spettano invece alle fotografe: il primo libro è da attribuire alla Atkins e non a Talbot, il fotocollage e il recupero delle immagini d’archivio è una pratica delle donne borghesi della seconda metà dell’800, il travestimento alla Virginia Oldoini e non a Duchamp, la pseudo solarizzazione a Lee Miller e non a Man Ray. Tra i fondatori del famoso Club f.64 assieme a Weston, Adams e altri c’è Imogen Cunningham che ha fatto della rappresentazione del nudo un cavallo di battaglia. Weston ha ottenuto il successo molto presto, la Cunningham il suo primo importante riconoscimento all’età di novant’anni. Agli inizi degli anni Trenta, Madame Yevonde Cumbers fu una pioniera nella sperimentazione del colore, ma nei libri di storia si parlò molto del contemporaneo Paul Outbridge. Nella contemporaneità, in tutte le espressioni artistiche, la storia ha riequilibrato l’importanza delle realizzazioni al femminile, nella fotografia, poi, in molte manifestazioni, workshop e mostre, si presentano più le fotografe che i colleghi maschi.

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