Da circa un anno Vanni Cuoghi porta avanti un lavoro di ricerca dedicato alla cultura ebraica. Dopo l’esposizione alla Galleria Giuseppe Pero di Milano nel 2015, seconda tappa delle sue “riflessioni storiche” e della sua “narrazione dell’ebraismo” italiano e non solo, è la mostra al MEB – Museo Ebraico di Bologna – curata da Ivan Quaroni e dal gallerista Giuseppe Pero dove, fino al 15 gennaio 2017, sono esposti i Monolocali, opere che l’hanno fatto conoscere al grande pubblico, e due Progetti per libri d’autore.
La mostra, che cade in contemporanea all’anniversario dei cinquecento anni della creazione del ghetto di Venezia, nel sestiere di Canareggio, sorto nel marzo del 1516, quando il Senato della Serenissima decise che gli ebrei residenti in varie contrade cittadine dovessero riunirsi un unico luogo chiuso vicino alla Chiesa di San Girolamo, mette in scena l’empatia di Cuoghi verso questi luoghi carichi di storia, e anche se l’artista non è di origine ebraica, nelle sue opere si percepisce la fascinazione che egli ha verso questa antica cultura.
La parola ghetto viene dal verbo gettare che si riferisce alle fonderie veneziane chiamate “geti”, che si trovavano proprio nel luogo prescelto dalla Serenissima atte a creare questo spazio di segregazione. Gli ebrei, tuttavia, non smisero mai di portare avanti le proprie attività, né i propri scambi culturali e umani, tantomeno di essere solidali gli unì con gli altri. All’interno di questo microcosmo c’era una vita completa per ogni persona di religione ebraica, vi erano scuole, negozi, attività tra le più svariate che rendevano dignitosa la vita degli abitanti del ghetto. Era solo il primo ghetto e dopo alcune Bolle Papali, passate alla storia, questi luoghi cominciarono a nascerne altri in città d’Italia e d’Europa.
Vanni Cuoghi nei suoi Monolocali narra le storie dei ghetti di alcune città italiane, fra le quali, oltre a Venezia, si riconoscono Roma, Bologna, Reggio Emilia, Ferrara e Pieve di Cento e in un progetto per un libro d’autore Ancona, raccontando, in modo a volte claustrofobico e surreale, scorci di vita dei ghetti delle città sopracitate, attraverso un gioco di rimandi continui, che spaziano da eventi quali la peste veneziana del 1630, a fatti di cronaca e scene familiari. Anche Corto Maltese s’inserisce in uno dei Monolocali, dando un tocco di originalità e di movimento.
Per chi non avesse mai “goduto” della vista di un Monolocale di Vanni Cuoghi, si tratta di diorami o teatrini che racchiudono scene di vita vera raccontata dall’artista, realizzati con tecnica psaligrafica. Sono opere di una precisione lenticolare senza eguali, da cui si evince, inoltre, la sua conoscenza e padronanza dell’arte scenografica. Particolarità di alcuni lavori è l’uso in talune composizioni di un blu particolare, sintetizzato da Yves Klein, artista a lui molto caro, che dona alle sue opere un senso profondo di spiritualità. Proprio come al cinema, quando la narrazione si fa particolarmente intensa e a volte cruenta, Cuoghi inserisce nei suoi Monolocali delle figure neutre che hanno lo scopo di smorzare i toni duri di certe composizioni, riportando lo spettatore ad uno stato di tranquillità. In tal senso, Cuoghi ritma continuamente suoi Monolocali, spezzando quell’apparente senso illustrativo e decorativo di superficie. Nel riprendere visioni d’interni, simili a quadri settecenteschi, che in alcuni casi riprendono la maniera veneziano Pietro Longhi, Vanni Cuoghi esplora in modo originale attimi d’intimità che guardano al passato calandosi nel flusso della contemporaneità.