Le due parentesi. Strano, artisticamente, questo 2016. Umanamente, invece, pare sempre lo stesso: misero, cattivo, con un abitante del mondo privo di alcuna tendenza al bene. Ma ritorniamo al ’16. Che è iniziato male, malissimo. Ed è finito ancora peggio… No, no. Questa non sarà una di quelle ricche rassegne di fine anno, colme di particolari, che dicono tutto per non dire nulla. Diciamo che siamo esattamente all’opposto (anche se si dirà tutto per non dire nulla ugualmente). E poi non c’è nessuna intenzione di riassumere un anno di arte. A che serve? Prendi un almanacco del 1965, del 1974, del 1988, o del 1999, e ti accorgerai che il sistema dell’arte rimane pressoché immutato: c’è la grande mostra di cui tutti parlano; c’è la piccola di cui nessuno si è accorto (ma che era bellissima); c’è l’artista dell’anno di cui ci si dimentica dopo un mese; c’è l’artista del secolo con la flebo; c’è la collettiva politica; c’è quella esoterica; c’è la personale stramba; c’è il colosso capitalista che vende monnezza; e così via. Ogni anno. Qui non sarà evidenziato in che modo il tempo ama ripetersi; si evidenzierà in che modo, a volte, il tempo comunica con noi… che siamo obbligati a osservare i secondi perduti e piccoli piccoli alle spalle, e a oggettivare l’esistenza. Adottiamo uno sguardo in grado di sollevarsi dalla realtà, in grado di osservare il contenuto del pentolone esistenziale all’interno di due parentesi, esteticamente perfette, e nel mezzo buttiamo tutto il 2016: con l’atipica moria delle pop star; con il suo Nobel per la letteratura, che ha finalmente svelato quanto sia inutile assegnare premi di questa portata; con la personale del finto sovversivo cinese; con il talent romano per l’arte; con le grandi mostre spinte dalle multinazionali; con il Caravaggio trovato in soffitta. E ci accorgeremo che tutto era stato, patafisicamente, premeditato. Che tutto doveva accadere.
Apri parentesi. Ve le ricordate le scatole del Campidoglio? Era gennaio, l’alba del calendario. Il 2016, ancora una volta, si apriva politicamente senza un perché, ma stavolta con un obiettivo preciso: il referendum, l’isterico referendum (che ha lasciato emergere il fondo del fondo della nostra italietta, e ha rotto le scatole fino a qualche giorno fa). Lasciamo perdere. In occasione della visita di Hassan Rohani, durante l’ultima settimana di gennaio, fu deciso, con un colpo di genio, di nascondere le nudità delle meravigliose e candide sculture capitoline con dei meravigliosi e candidi pannelli anonimi, per non urtare la sensibilità del presidente iraniano. Che accadde? Semplice: scoppiò un caso, dal sapore di rissa mediatica, che addirittura convinse alcuni a organizzare una petizione. Adesso, a distanza di tempo, la vicenda fa ridere. Anzi, no, piangere. Insomma, una commistione dei due sentimenti, che la rabbia tira a sé simili a funi di un burattino. Malgrado ciò, questa resterà una delle migliori performance degli ultimi decenni eseguite in Italia da italiani pagati da altri italiani: l’inscatolamento dell’imbarazzo, che a sua volta crea imbarazzo.
Chiudi parentesi. Tuttavia, come nelle migliori tragedie, il teatro del mondo ha dato il suo meglio all’epilogo. Di stragi, nel 2016, ne abbiamo avute a bizzeffe. Quest’anno abbiamo proprio fatto il pieno. E siccome al peggio non c’è mai fine, e il male si diverte a esercitare la sua professione preferita, l’ultimo mese dell’anno non poteva che concludersi con il sangue, perché l’esistenza aveva da dimostrare, anche agli sgoccioli, il suo patologico senso. Siamo ad Ankara, in Turchia, ed è il 19 dicembre. Andrey Karlov sta introducendo la mostra fotografica intitolata “La Russia attraverso gli occhi dei turchi”. L’uomo non riesce a terminare il suo discorso, perché un ragazzo di 22 anni, Mevlut Mert Altintas, agente di polizia, in completino nero, a metà tra un Men in Black e un jazzista, apre il fuoco uccidendo l’ambasciatore russo. Altintas urla, dicono i quotidiani, slogan islamici per una manciata di minuti, rivendicando Aleppo. Successivamente viene ucciso anche lui.
Soluzione. Un poeta sosteneva che fare il male è, per l’uomo, naturale. Mentre è un’arte fare del bene. Qui si voleva arrivare: senza spiegazioni razionali, ma con un augurio detto tra parentesi (buon anno).
Dario Orphée La Mendola