Castelbasso 2019 e la mostra Sul filo dell’immagine – Trame dell’arazzo contemporaneo, a cura di Simone Ciglia, è ufficialmente aperta. Fino al 1 settembre sarà pertanto possibile apprezzare alcune opere dalla storica manifattura dell’Arazzeria Pennese attiva sin dagli anni Sessanta, alla quale hanno fatto riferimento artisti della caratura di Afro, Giacomo Balla, Giuseppe Capogrossi accostatisi a quest’antica e tradizionale arte. In mostra, oltre ai lavori di questi maestri sono godibili quelli di autori a noi più contemporanei come Enzo Cucchi, Costas Varotsos, Alberto Di Fabio, Mario Costantini, Andrea Mastrovito, Matteo Nasini, l’opera di Stefano Arienti realizzata nel corso di una residenza dell’artista nei laboratori dell’Arazzeria tra il 2018 e il 2019 e, infine, l’arazzo di Giuseppe Stampone.
Proprio quest’ultimo in questi giorni è al centro di uno sgradevole episodio mediatico o, meglio, di una mediaticità negata, che rischia incoscientemente di sminuire il valore, non solo della sua opera ma dell’intera esposizione, sulla quale, mi riprometto di dedicare a breve un pensiero critico che ne rispetti il valore. Tuttavia non si può tacere su questo episodio. Ecco il fatto: l’arazzo di Stampone, ovvero la sua immagine, è stata ritenuta “non corretta” ai fini della pubblicazione per il quotidiano Abruzzese “Il Centro” che ha negato, oltre all’immagine, anche il correlato articolo di una collega.
Prima di spiegare perché, a mio parere, giornalisticamente e criticamente l’episodio è fastidioso, e perché esso rischi di fare assumere all’opera una falsata interpretazione, credo sia giusto innanzi tutto commentarla. Per chi conosce Giuseppe (e il mondo dell’arte lo conosce molto bene) sa perfettamente che essa è una delle tante immagini che, dal 2001, rientrano nel suo complesso progetto “Global Education” (diventato nel frattempo un libro nel 2012) incentrato sullo spostamento dell’attenzione pubblica (prima ancora del sistema) dallo spazio “occidentale” a quello “globalizzato”. Un progetto che, nello snodarsi in interventi di varia natura nel tessuto sociale e nel proporre inediti modelli educativi strutturati su quelli dei network, si propone di sviluppare una contro reazione di “pensiero” a livello per l’appunto “globale” e questo indipendentemente dal mezzo espressivo scelto, sia esso il disegno o come in questo caso, l’arazzo.
In verità, queste immagini (fra l’altro coltissime perché intrise di molta storia dell’arte cui Stampone certamente guarda con intelligenza, sia concettualmente sia formalmente, si pensi ai numerosi artisti che hanno fatto dell’educazione il nodo essenziale della propria pratica artistica come Gilardi o Pistoletto, ad esempio, o Tomaso Binga) private di qualsiasi spiegazione artistica e critica, colpiscono soprattutto coloro scevri da tali riferimenti culturali.
Non è un caso, infatti, che l’immagine in questione sia stata valutata “non corretta” da un quotidiano, il cui pubblico generalista, che si suppone privo di specifici strumenti per la sua comprensione, è di converso certamente in grado di cogliere l’esplicito atto sessuale dei tre “omini lego” in primo piano. Ecco sottinteso l’immorale “mail costume” che si offre ai benpensanti quale scusa scontata e pronta all’uso.
Eh eh eh… al contrario, è proprio per la sua assoluta e immediata comprensione che l’ immagine, nella sua connessione alla scritta, palesa un messaggio chiaro a chiunque, solleticando al contempo e attraverso l’esercizio dell’ironia, tipico della satira, lo svelamento di una verità sotto gli occhi di tutti. Quale verità? Semplicemente che la “Schengen Area”, cioè l’Europa, cioè noi…noi insieme ai nostri 25 compagni che hanno abolito i controlli alle frontiere, semplicemente quello spazio della libera circolazione delle persone altro non è che (perdonate il francesismo) un’inculata.
Allora non sia mai che basti un’immagine a palesare l’ipocrisia nella quale siamo immersi. Non sia mai l’arte possa avere ancora un senso politico e sociale e non sia mai lo faccia agganciandosi, com’è in questo con l’arazzo, a una nobile tecnica che rappresenta la tradizione di un territorio. Se c’è qualcosa di non corretto in questo caso, è l’atteggiamento non etico nei confronti della comunicazione dell’arte stessa, che si è voluta mascherare proprio attraverso un forzato esercizio etico. Se c’è qualcosa di poco etico di cui discutere, qualcosa di “non corretto”… ci sarebbe da farlo delle migliaia d’immagini che quotidianamente passivamente immagazziniamo su ciò che accade nei nostri mari e nel nostro tanto amato “Schengen Market”. Questa vicenda, ironicamente, si trasforma così in Trame dell’imb-arazzo contemporaneo …il mio, il nostro ovviamente…e ci auguriamo di tutti coloro che credono nel libero esercizio dell’arte e del pensiero.