Un’esposizione sintetica ed essenziale incentrata sul piacere di fare una pittura, la cui essenza sta nell’oltrepassare i propri confini, ove la ricerca sulla relazione tra gli elementi strutturali dell’opera ne costituisce il fondamento. Dominata dalla prevalenza di una monocromia che, nell’allestimento manifesta ancor più l’espansione, o meglio il transito verso differenti mezzi espressivi, si dipana in spazi nei quali essi stessi diventano cornice di un quadro ben più ampio. Segni e forme tracciano geometrie non lievi, non eteree ma corpi e figure che, nella loro specifica non-rappresentazione, esprimono con vigore l’energia di composizioni dal forte accento semantico.
L’azione dell’artista si concentra, così, sull’analisi dei processi interni alla pratica della pittura che, diviene puro oggetto d’indagine, perdendo quel carattere di referenzialità , con l’intento di legittimare se stessa tramite l’elaborazione di un nuovo linguaggio favorito dall’influenza delle filosofie strutturaliste ed operazionistiche affermatesi negli anni settanta. In tale contesto culturale ed artistico, da non dimenticare la crisi della pittura informale/gestuale, nasce la Pittura Analitica, e in Pino Pinelli uno dei protagonisti, le cui opere sono esposte alle FAM di Agrigento fino al 22 maggio. La retrospettiva, dal titolo Trademark, curata da Marco Meneguzzo, è stata realizzata dagli Amici della Pittura Siciliana dell’Ottocento in collaborazione con l’Archivio Pino Pinelli.
La mostra propone al fruitore un percorso semplice nell’osservazione ma significativo dell’arte del maestro siciliano, infatti dalla pittura intelaiata ai frammenti di colore, o forme frattali che manifestano “la rottura” , l’evoluzione verso un modi di operare “altro” e al di là di una superficie in cui si contempla una sorta di “disseminazione” regolare, le cui pareti diventano sfondo e spazio nell’accogliere “segni e traiettorie”.
“Una pittura in perenne migrazione, come scrive lo storico dell’arte Giovanni Maria Accame, un’uscita dal quadro che non è negazione della pittura ma una sua differente concezione. Diversamente inseguita ed essa stessa inseguitrice di uno spazio sempre assorbente e mai compiuto”.
Quindi, “quello che è stato un coraggioso “salto nel vuoto”, sottolinea Meneguzzo, vale a dire il passaggio dalla tela all’oggetto o, sarebbe meglio dire, dalla tela dipinta alla pittura tout court, sembra assolutamente naturale (…). In questo l’opera di Pinelli ha la naturalità delle grandi idee, delle grandi intuizioni, perché è semplice, e perché apre un orizzonte sconfinato, al suo lavoro (…).
Una mostra, un viaggio che presenta caratteristiche e connotati di un determinato momento storico dell’arte italiana, ma che si apre alla riflessione per ulteriori sviluppi.
Giovanna Cavarretta