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Tracce nel tempo, Juan Esperanza a Villa Aurea

Secondo le più autorevoli fonti, le tradizioni culturali dei popoli dell’America centrale precolombiana, basate su un tipo di società stanziale e con un’economia agricola organizzata, risalirebbero al II millennio a. C.

Gli scambi intrattenuti con le popolazioni “dirimpettaie” del sud America, seppure insediate a migliaia di chilometri di distanza, erano frequenti: e a testimoniarlo sono le numerose analogie e le numerose declinazioni stilistiche sia degli edifici architettonici che dei manufatti.

Ma nessuno potrebbe negare che non sussistano abbondanti congruenze tra queste espressioni e quelle dei popoli del Mediterraneo centro-orientale: basterebbe citare l’iconologia della “dea madre” per averne conferma. Tuttavia, comprendiamo bene quanto sia poco giustificabile, oltre che un azzardo, rivestire di certezza tale ipotesi.

È probabile, come sostiene un’antica teoria, bella e priva di fondamento (e di facile dimostrazione, nonostante non piaccia agli ambienti accademici), che in fondo il “sentire” umano, anche tra popoli di luoghi opposti della terra, abbia una fonte unica (la coscienza, cioè le emozioni); e che il modo di esprimere linguisticamente il suddetto “sentire” sia soltanto influenzato dalle tante variabili fornite dalla necessaria diversità degli ecosistemi.

Di certo vi è che il nostro vecchio, vecchio continente, sempre al primo posto quando intende narrare la propria venerazione riguardo al potere, purtroppo delle grandi risorse culturali delle popolazioni precolombiane ha tentato di distruggere finanche il più piccolo elemento, imponendo tragicamente la propria fallimentare visione antropologica.

Di queste identità quasi perdute, e di tante altre variazioni sul tema, Juan Esperanza, sotto la curatela scientifica della storica dell’arte Rita Ferlisi, in “Tracce nel tempo” ha costruito un percorso di fusione tra due aree culturali così lontane e così sorprendentemente vicine.

Dalle pitture su sabbia e cenere vulcanica, e dalle sculture in terracotta, ciò che affiora nella mostra sono esattamente le posizioni dell’antica teoria, bella e priva di fondamento, di cui sopra è stato fornito un accenno.

(Nota a fine pagina. Juan, messicano residente in Sicilia da parecchi anni, spesso sollecitato dalla classica domanda su cosa apprezzi di questa Isola meravigliosa e terribile, risponde, come in una sorta di inconscia lezione di ecologia, che a piacergli è qualcosa di (erroneamente siciliano, ndr) «perfettamente messicano»: il fico d’india, che troviamo familiare se accostato al giallo di un tempio dorico o a un lindo portale normanno. Ebbene, forse quando parliamo di cultura, o di influenze culturali, per esempio in un periodo storico caratterizzato dall’ossessione all’immunità identitaria, dovremmo sempre costruire le nostre tesi tenendo conto della grande e ingovernabile mobilità della biosfera. Sono certo che, delle mescolanze, ne trarremo giovamento; soprattutto mentale. E questo perché le culture vanno fuse, e non imposte: fuse quali tracce nel tempo, di un’umanità che “sente” allo stesso modo.)

 

 

 

 

 

Info
Artista: Juan Esperanza
Titolo: Tracce nel tempo
Cura: Rita Ferlisi
Luogo: Villa Aurea, Valle dei Templi, Agrigento
Date: 6/22 aprile 2018

   

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Dario Orphée La Mendola

Nato ad Agrigento. Maturità scientifica. Laurea magistrale in filosofia. Insegna Estetica ed Etica della Comunicazione presso l'Accademia di Belle Arti di Agrigento e Progettazione delle professionalità presso l'Accademia di Belle Arti di Catania. Critico e curatore indipendente. Collabora con numerose riviste, scrivendo di arte, estetica, filosofia della natura e filosofia dell'agricoltura. Si sta occupando dello studio del sentimento, di gnoseologia dell'arte, estetica della natura e scienze naturali.