Imperdibile, come sempre, è Art Unlilited, la sezione di Art Basel dedicata alle opere di grande formato. Sebbene nata con la prerogativa di esibire le opere più attuali in questo campo, portando all’interno della fiera ciò che normalmente “sta fuori” o in un museo, lo diciamo subito, non sono molte quelle recenti e datate 2018-2019, ritmate da altre oramai storicizzate, secondo un’abitudine consolidatasi negli ultimi anni e a quanto pare convincente. Se guardiamo alle tematiche, infatti, si può anche affermare che, ormai in piena globalizzazione, la distanza fra opere del passato e quelle del più stringente contemporaneo, è sempre di meno e ogni volta più interessante per una riflessione sul presente. Temi come, gioco, svago, ritualità e spiritualità, femminismo, violenza, migrazione, capitalismo, rapporti individuali e collettivi, natura e artificio, interattività, immersività ed esperienza, accompagnano quest’edizione di Art Unlimited. Noi, da qui, vi conduciamo in un piccolo breve tour per comprendere meglio i suoi protagonisti.
Apre Art Unlimited The Sun di Ugo Rondinone, fra le poche opere datate 2018 che, con un grande immenso cerchio di bronzo rivestito di oro e dalle fattezze di un antico portale, indicano oltre che l’entrata alla mostra, anche una sorta di sole, simbolo atavico dell’umanità, e infine iconico passaggio temporale di come l’uomo percepisce visivamente la natura attraverso l’artificiale. Infine è anche inno al quotidiano che vanifica il fasto e il mito delineando lo scarto fra l’alto livello della scultura classica e quello più basso del kitsch contemporaneo.
Nirvana di Xu Zhen (2019) è un’opera site-specific appositamente realizzata per Art Unilimeted, composta da una serie di tavoli da gioco da casinò – dove, durante il tempo della fiera, alcuni performer disegneranno i tipici tappeti verdi alla moda dei mandala. Nel richiamo al rituale buddista, l’opera suggerisce un forte contrasto fra la spiritualità interiore e la superficialità sottesa al concetto di scommessa.
Sislej Xhafa con Ovoid Solitud (2019), una grande saracinesca, solleva il tema della solitudine, grazie alla presenza di un uomo di origini cubane (il performer Raul Portio Samà) metaforicamente associato a scatole di uova fresche (fragilità) alle sue spalle.
Pae White (2017) presenta un grande arazzo, un enorme tappeto lungo 39 m cr. che invita il pubblico a un rapporto esperienziale. Realizzato in cashmere, con inserti colorati, oro e argento, quest’opera guarda iconograficamente ai kimono giapponesi e alle icone bizantine, cercando con ciò di offrire una sensazione architettonica e ambientale.
Troviamo anche il grande Cedro di Versailles di Giuseppe Penone, opera del 2000, realizzata dalla morte dell’albero avvenuta nel 1956 a causa di un fulmine, cui l’artista ha, com’è nella sua poetica, salvato l’anima.
C’è anche la grande scarpa Nike di Olaf Nicolai che, sebbene il tema del consumismo sia chiaro e vi sia anche la possibilità di interagire con essa, è forse l’opera meno poetica di Art Unlimited.
Si continua con Daniel Knorr e la riproposizione di un vero e proprio car wash che, non pulisce, ma colora, trasformando il momento del lavaggio d’auto industriale, in un’azione creativa e sensuale capace di materializzazione la pratica artistica.
Incontriamo, in seguito, l’opera di Akram Zaatari The end of Love (2013) dove, la fine dell’amore è concettualmente individuata nel suo inizio. In che senso? Il lavoro si compone di circa 150 fotografie in bianco e nero rintracciate in una scatola siglata “matrimoni” in uno studio libanese dove, paradossalmente alle molte coppie ne corrispondono altrettante di singoli, sicché, nella visione dell’artista, tutte queste persone appaiono misteriosamente sole.
Andrea Sangeritakis, invece, s’interessa del lato ludico della materia, realizzando falsi blocchi di marmo, in realtà una spugna, così Valentine Carron gioca anch’essa sul concetto di falso con una torre di finte cassette di frutta di legno, in verità alluminio. Opera del 1984, è quella di Franz West che, in quella che appare un’area relax, dispone una serie di divani con tessuti solo in apparenza pezzi unici.
Molto interessante è il lavoro di Rivane Neuenschwander dove, a parete si trovano foglietti, post-it, pezzi di carta posticci di scritte (in francese), motti, parole di protesta, slogan insurrezionali, frasi narranti le voci delle minoranze o di chi sta conducendo battaglie per i diritti umani. Queste scritte, oltre che essere lette, possono anche essere prese dagli spettatori che possono spillarsele alla giacca, divenendo essi stessi portatori di valori come libertà, resistenza, utopia, giustizia, trasformando. Infine, l’opera in tal senso trasforma la natura del linguaggio e il concetto di assume i connotati di una possibile poesia politica.
Zoe Leonard gioca sul tema dell’immagine con How to Take Good Picture (2018). Qui vediamo una serie di volumi per fotografi amatoriali editi da Kodak su come realizzare (make-fare) una buona immagine, scatto che per l’artista si trasforma da make in take andando così a sollevare un tema molto contemporaneo. Non si parla più di come creare un’immagine ma di come catturarla al meglio.
Esemplare sul tema dell’interattivo, invece, l’opera di Larry Bell Hydrolux datata 1986 dove le persone proiettate di spalle sono quelle che guardano il video attraverso la pioggia. Sulla realtà virtuale quella invece di Paul McCarthy Coach stage stage coach ovvero 11 realtà virtuali realizzate dall’artista.
Troviamo, poi, l’opera del 1960 di Lucio Fontana, un ambiente spaziale con tagli, originariamente realizzata per privato, in seguito esposta alla Biennale del 1966 al padiglione italiano. Sulla creazione ambientale, meglio di atmosfere, è il lavoro di Jorge Pardo (2002) dove, una serie di lampade di colorazione rosso-arancio creano differenti intensità avvolgendo cromaticamente lo spettatore.
Inquietante ma di grande impatto è Breathing– Rumore di Monica Bonvicini (2017) dove, una sorta di mazzo pendente dall’alto si muove vorticosamente nello spazio minacciando gli spettatori. A guardarlo bene si tratta di una serie di cinture il cui lato sciolto è quello delle fibbie sicché, il riferimento alla condizione femminile attuale, è molto più che palese.
Ari Marcopolus con The Park (2017/2018) spinge chi guarda, attraverso 58 minuti video che riprendono una scena di basketball nel quartiere di Brooklyn a NY, a focalizzarsi sulle non barriere fisiche tra gli atleti e gli spettatori stessi, il tutto accentuato dalla non comprensione fra l’inizio e la fine della scena, in modo tale da rendere conto del significato di spazio antropologico.
Marc Brandeburg propone, invece, un’installazione che consiste in quattro maglioni e maschere indossate da performer che si vedono nel video che a esso si accompagnano dove, si possono osservare le varie reazioni delle persone a questo camuffamento dell’identità.
Quella di Andrea Bawers (2019) è, forse però, l’opera più intensa di tutta Art Unlimited. Si tratta di grandi muri/corridoi rossi dove, si possono leggere tutte le denunce fatte verso personaggi famosi dalle donne assoggettate nel tempo ad abusi, fra le quali spiccano il recente scandalo del caso Weinstein.
Sul tema del femminile è molto interessante anche il lavoro di Alicia Framis, ovvero una serie di tratta di cartamodelli modelli su manichini che si gonfiano e sgonfiano a formare vestii ingombranti non facilmente indossabili.
Chiudono questo breve tour fra le monumentali opere di Art Unlimited quelle di Antony Gormley Breathing Room II (2010) dove, profili di legno dipinti con pittura fluo a formare una struttura geometrica, ogni 10 minuti vengono attraversati da fasci di luci improvvisi che servono a ricaricarli.
La vasca di Belu Simon Finaru dove cadono continuamente gocce d’inchiostro a formare un disegno di cerchi concentrici, e i video Bird in Paradise di Jacolby Satterwhite, Soundtrack di Guy Ben Ner, Highway Gothic di Edgar Cleijne e Ellen Gallagher affrontano, ciascuno con il proprio linguaggio, temi che riguardano la natura e l’artificio o, come nel caso di quest’ultimi, inserendo anche simboli della razzializzazione.
Chiudiamo con un consiglio agli organizzatori: perché non lasciare Art Unlimited aperta per tutta l’estate? Il paragone con Documenta o la Biennale di Venezia è banale e scontato, ma proprio per questo la durata di tale esposizione dovrebbe essere prolungata.