“Siamo circondati da burattinai o ipnotizzatori”. La provocazione del collettivo Like a little disaster rilancia un’interrogazione sullo statuto dell’identità al tempo della comunicazione post – meccanica con una doppia personale nello spazio Foothold a Polignano a Mare. Il titolo, Temporaly suspended, allude al fenomeno dello shadow banning, il blocco di un utente su una piattaforma digitale, e dunque al sistema di controllo e filtraggio dei dati informativi, strumenti subdoli di manipolazione sociale. Di questa condizione, esasperata da dispositivi sempre più sofisticati e invisibili, la marionetta e l’avatar diventano in mostra i poli diversi eppure affini.
Le marionette rappresentano una delle più antiche forme di sdoppiamento di sé, in qualche modo dunque preistoria dello stesso avatar. Da sempre sono protagoniste della ricerca di Mariantonietta Bagliato, artista barese in crescita. Qui due enormi esemplari occupano lo spazio come giganti inerti in stoffa, attivabili con l’intervento dello spettatore attraverso fili sospesi. Rispetto alle sue marionette precedenti (frutto di una passione teatrale ereditata dalla madre) si presentano al tempo stesso più sintetiche e più caratterizzate. Sintetiche perché sacrificano la vivacità variopinta e giocosa per una più fredda sobrietà formale. Caratterizzate perché con semplici segni a ricamo tracciano fisionomie femminee che le connotano sessualmente, insieme a penzolanti calze e reti riempite di tessuti colorati. Da innocui fantocci per bambini si trasformano dunque ora in grotteschi esseri disarticolati e un po’ deformi (una esibisce un ipertrofico dito “da tastiera”), in cui l’originario intento ludico si carica di risvolti più inquietanti.
Gli avatar (dall’antico termine “avatara”, che nel pensiero induista indicava la reincarnazione di un’essenza spirituale) sono l’evoluzione di alter ego virtuali: qui le stereotipate teste calve di donne che l’artista francese Julie Grosche moltiplica sullo schermo. Nel video realizzato ad hoc per questa rassegna, “Amour, amour”, i volti scorrono col sottofondo melodico dei “Coro del deportato”, storico canto di protesta degli operai tedeschi, tradotto da Simone Veil in inno del movimento femminista in Francia. Mentre le parole, che appaiono anche sul monitor, sono tratte dal “Potere del denaro” di Karl Marx. Nella seconda parte invece appare una mano che scrive: riferimento alle donnine virtuali che su Tinder con tecniche seduttive orientano verso grandi brand. In questi lavori le fonti dunque si ibridano, i generi si mescolano. Come nell’altro video-dittico, “Maman”, dove una canzone disneyana fa da sottofondo alle domande dal respiro cosmico di un bimbo alla sua mamma.
Il discorso è complesso, ricco di sfaccettature. In questo dialogo a distanza tra le due autrici affronta il problema, declinato al femminile, dei rapporti tra corpo e soggettività; individuo, gruppo e comunità. Ma soprattutto sollecita una riflessione su una questione universale ed oggi sempre più problematica: la percezione dei legami familiari e lo statuto dei sentimenti, di fronte ai processi tecnologici di smaterializzazione e virtualizzazione del reale.