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Il teatro nel teatro

Successivamente allo scoop del probabile ritrovamento del teatro greco a un mese di anticipo dagli scavi ufficiali, il cui senso -anzi, colpo di scena- sarebbe da comprendere, ciò che è accaduto ad Agrigento, mentre digeriva la notizia, ha qualcosa che sfida la penna del più grande sceneggiatore.

Procediamo per gradi. Il teatro, o quello che sarà quando gli archeologi gli daranno un’identità, è disteso come un cadavere, lì dove è sempre stato da secoli. La vita nei sui dintorni danza.

Domenica 11 settembre giunge il Premier di fronte al Tempo della Concordia, per firmare il “Patto”, una sorta di infinita lista di finanziamenti, che fanno gola poiché utilissimi a tappare i vari buchi dai quali entra l’acqua che sta lentamente affondando l’isola siciliana.

Di tali finanziamenti, cantieri, imminenti sbarchi sulla luna e soluzioni al male del mondo, a cicli alterni se ne sono sentiti tanti negli anni, con nomi diversi: vengono spesso annunciati dai vari governi, che si alternano senza mai concludere nulla, e poi dimenticati in un cassetto polveroso, per sempre. Affinché l’ulteriore governo che li succederà non sia lasciato privo di argomenti, e possa ricominciare la sua breve vita fischiettandone l’esistenza; ancora una volta. La cronaca ha un difetto: è se stessa. E solo chi finge può pensare davvero che le battute istituzionali non facciano ridere.

Ma è questa la parte più carina. Il premier, contestato da tre (uno, due e tre) “sovversivi” rimasti teneramente a margine e scarsamente considerati (perché in Italia il sovversivo non è colui il quale ha posizioni differenti, bensì un uomo malato), viene ritratto in una foto, accompagnato da vari amministratori del sistema: locali, regionali, nazionali, ecc., con una corte immensa dietro, elegantemente vestiti da partito unico. Accanto alle cornici del ritratto digitale, in legno intarsiato e retorica barocca, un po’ per avere analogie con le parole pronunciate di fronte al tempio dorico, dal “popolo” vengono poste iscrizioni curiose, che sposano l’assenza di grammatica e di delicatezza con la vera vox proveniente dalle viscere rabbiose dei cittadini tassati, precari e minacciati.

Strano fatto: perché in TV sembrava che tutto fosse filato liscio; che, addirittura, il tempio, dallo sfondo scenografico, avesse infuso ciò che il suo falso nome suggerisce. E invece, analizzate ai raggi X, le cose sono andate diversamente. Parecchio.

Comunque sia, dai commenti si evince che tra le autorità e quella massa indistinta di donne e uomini (da chi sta in alto definita “italiani”) c’è amore. Amore malato, simile alla sudditanza, ma pur sempre amore. Che qualche ora più tardi esploderà a Catania, dove interverrà la polizia per arginare i sentimenti.

Ritorniamo ad Agrigento. Finita la pompa magna sono arrivati gli articoli da noir mediterraneo, che in regime di democrazia decomposta ci stanno sempre. Cioè è stato dato spazio a coloro i quali, negli anni passati, in modo inascoltato, avevano avanzato ipotesi sulla posizione del teatro greco.

Utilità? Nessuna: folklore. Sono stati rispolverati gli atti di un convegno di fine anni ottanta, le idee dell’ex direttore del Museo, seppellite al suo pensionamento, e gli studi di metà anni novanta di uno studente di archeologia.

Essi forse non saranno conosciuti dalla maggioranza, e qualcuno penserà che sia una trovata pubblicitaria; ma sono tutti facenti parte del piano fenomenico e non schizofrenico, perché fu lo stesso sottoscritto, due anni fa, quando il probabile teatro non era nemmeno un cadavere mezzo sepolto, ad averli sentiti, indicatimi dal direttore di un quotidiano locale (il fatto non andò in porto). Inorridisce sapere che, in Italia, si attendano le congiunzioni astrali per intraprendere qualsiasi attività.

Arriva il 15 settembre, data stabilita per la conferenza stampa, e tiro a indovinare riguardo ora e luogo in cui essa si svolgerà (ciò non toglie che abbia cercato male). Indovino, con grande sorpresa, ma vengo informato da un’impiegata, la quale è costretta a informarsi a sua volta perché le sue conoscenze in merito sono simili alle mie, che la conferenza è stata annullata e rinviata al prossimo mese… non si sa esattamente quando, forse in concomitanza agli scavi, forse no, forse boh.

E intanto -le sorprese non mancano mai- salta fuori un’altra scoperta: le antiche terme di Agrigetum nei pressi del quartiere ellenistico-romano. La notizia, in realtà, è apparsa lo scorso anno nei giornali. E che ci importa? Facciamo che sia fresca. Anche se suona come beffa in una città che ha sempre avuto disagi idrici, e paga le bollette come se tutti i cittadini, nei propri domicili, fossero proprietari di una cascata piuttosto che di un semplice rubinetto.

Oltre a questa nuova opera (greca, romana o “di pupi”), due sono le questioni: prima, l’area archeologica è un tesoro a cielo aperto, seppure coperta dalla polvere del tempo e dalla città nuova (ed è proprio così), e le notizie vecchie che diventano nuove, che diventano scoop, che diventano “je ne sais quoi” si avvicenderanno senza sosta per molto, anche quando il presunto teatro sarà oggetto di scavi; seconda, i continui e improvvisi ritrovamenti indicano che il lavoro finora effettuato presso la Valle è ancora di una percentuale bassissima rispetto a quanto il Parco potrebbe offrire in termini di lavoro e di fruizione, e che forse non offrirà mai… poiché un’Italia che investe veramente in cultura non ce la vedo proprio (se avesse voluto, avrebbe iniziato con il rispetto della dignità degli insegnati precari).

Epilogo, dei peggiori. Mentre purtroppo in questa storia assurda c’è da aggiungere la triste vicenda di un turista francese che mai avremmo voluto udire, deceduto nei giorni scorsi alla Valle a causa di un infarto (dal Parco hanno affermato di essere provvisti di defibrillatori), e si immagina nostalgicamente, in questa atmosfera dal sapore drammatico, quale sia stata l’ultima rappresentazione della vecchia Akràgas, traendone metafora per gli eventi contemporanei (il teatro ha la possibilità di dare forma al tempo, soprattutto quando è poco felice), un altro cadavere, in pietra, che attende il riconoscimento, rimane lì dove è sempre stato.

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Dario Orphée La Mendola

Nato ad Agrigento. Maturità scientifica. Laurea magistrale in filosofia. Insegna Estetica ed Etica della Comunicazione presso l'Accademia di Belle Arti di Agrigento e Progettazione delle professionalità presso l'Accademia di Belle Arti di Catania. Critico e curatore indipendente. Collabora con numerose riviste, scrivendo di arte, estetica, filosofia della natura e filosofia dell'agricoltura. Si sta occupando dello studio del sentimento, di gnoseologia dell'arte, estetica della natura e scienze naturali.