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Stessa spiaggia, stesso mare, stesse paure: Cristiano Carotti

Magari contrariamente a quanto può saltare alla mente in un primo momento, il mare, ancor più in particolare il Mediterraneo, è sempre stato un fattore di congiunzione e non di separazione. La pluralità delle culture affacciate su questo specchio d’acqua, percorrendolo in ogni direzione all’insegna del piacere della scoperta, ne era tanto affascinata e intimorita al contempo, da renderlo palcoscenico ideale di narrazioni mitiche fatte di mostruosità fantastiche e sì leggendarie ma che, resistendo alla prova della storia e depositatesi ormai nel nostro retroterra culturale, ancora oggi sono in grado confrontarsi con alcuni aspetti dei tempi correnti. Allo stato delle cose, difatti, oggigiorno il Mediterraneo torna a essere teatro di mostri e creature mortali le quali, a differenza degli epici Scilla e Cariddi, incidono in maniera molto più concreta e drammatica sulle sorti di chi al mare affida se stesso. Questa inattesa relazione, in grado di far dialogare contesti storici, disciplinari e concettuali cronologicamente lontani, non può che verificarsi nel campo d’elezione dell’arte contemporanea; sempre in grado di istituire simmetrie e allineamenti inaspettati. Un’incisiva riflessione su quanto detto, con tutte le implicazioni e le ramificazioni tematiche derivanti dalla complessità del caso, è costituita dalla mostra Stessa Spiaggia Stesso Mare, personale di Cristiano Carotti inaugurata il 17 novembre e a cura di Eleonora Aloise e Carlo Maria Lolli Ghetti, ospitata negli spazi della White Noise Gallery di Roma. L’esposizione, proponendo più di venti opere appartenenti ai risultati recenti della ricerca dell’artista, questi ultimi distinguibili per la novità rappresentata dalla scelta di lavorare con la ceramica, si colloca a due anni di distanza dalla precedente e felice esperienza romana di Dove sono gli ultras.

Egli, per mezzo di un linguaggio interdisciplinare ravvisabile – come dimostrano le opere in mostra – nel ricorso alla pittura, alla scultura e all’oggetto, tutto sempre con una marcata vocazione all’installazione, istituisce un’analisi intermedia fra mitologia classica, sociologia contemporanea ed estetica, erigendo un’indagine sui frangenti di alcune dinamiche sociali attuali e sui relativi modelli d’interazione civile all’interno delle comunità umane, declinate sempre secondo le loro coniugazioni più contraddittorie, estreme e massimaliste. Il dettato espositivo scandisce la posizione delle  opere in maniera organica, ospitando nella prima sala i lavori Shipwreck of the birds, un olio su tela ispirato al celebre dipinto La Zattera della Medusa di Théodore Géricault, caratterizzato da una scala cromatica accesa e tale da restituire, grazie alle veloci – quasi nervose – pennellate dell’autore, un dominante senso di moto vorticoso da dove emergono terrificanti profili zoomorfi, capace di qualificare la superficie pittorica al pari di una membrana vibrante e pervasiva e, alla sua sinistra, l’installazione Scilla, composta da diciotto elementi in ceramica policroma raffiguranti minacciose teste di lupo ringhianti con corpi di serpente marino differenti per dimensione e cromia e, di certo, dal forte impatto complessivo. In quella attigua trova luogo Seagull SS17-prototipo per strumento di autodifesa popolare, forse l’opera più emblematica della mostra, che consiste in una rivisitazione in chiave militare e provocatoria di uno degli oggetti eletti a icona delle spensierate e massificate vacanze estive italiane; il pedalò. Qui l’artista, equipaggiandolo letteralmente con armamenti e mezzi d’offesa, dirige il pensiero su quei meccanismi mediatici e propagandistici, se non addirittura demagogici, che manipolano tanta leggerezza e superficialità trasformandola nella xenofobia e nell’ostilità a priori nei confronti della diversità e di coloro i quali dal Mediterraneo oggi provengono, sintomatica del tempo presente. Infine al piano inferiore è visibile Cariddi, scultura ottenuta in ceramica policroma riproducente una figura antropomorfa che nelle fisionomie ricorda un’anfora romana, in un corpo per metà sirena e per l’altra culturista dalla postura e dal ghigno sfrontato, arricchita da tre fasce di luce dietro la schiena (Cariddi, per creare devastanti vortici, risucchiava e rigettava l’acqua del mare per tre volte al giorno), esempio dell’abilità dell’autore di concertare all’interno del perimetro di un unico manufatto, stimoli derivanti da bacini stilistici disparati.

Stessa Spiaggia Stesso Mare, con le opere di Cristiano Carotti, è aperta al pubblico fino al 22 dicembre; buona visita.

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