Con il titolo di questa mostra – “Aiutatemi che sono messo male” – Stefano W. Pasquini riversa sul pubblico un richiesta che innesca un meccanismo di responsabilizzazione etica: come si può restare indifferenti a questo grido, stampato a “otto colonne” sul flyer, che cita la proverbiale invocazione del clochard bolognese Angelo Rizzi? Rende comicamente più tragica la situazione il fatto che si tratta di un’invocazione che buona parte di quelli che in Italia si occupano di cultura potrebbe sottoscrivere. Ora che c’è la crisi – premessa ad ogni discorso sull’arte nel nostro paese – tutti i soggetti che afferiscono al settore, e non solo le persone fisiche ma pure le istituzioni, si trovano ad essere paradossalmente accomunati da questa preghiera disperata. Tutti poveri, tutti sul lastrico, e dunque una mostra che voglia vedere la luce va affrontata con spirito rigorosamente low-cost. Se nella personale svolta lo scorso anno alla galleria Melepere di Verona Pasquini si misurava in una riflessione tanto ambiziosa quanto ironica sui crolli materiali e politici dell’ultimo decennio del Novecento rapportati al proprio lavoro artistico, questo appuntamento aggiorna la caduta al qui e ora. L’essere chiamati in causa direttamente nel titolo indica che l’effettivo protagonista è un coro, il soggetto dove l’individualità confluisce nella comunità e l’artista altri non è che “uno di noi”. Il percorso all’interno della quattrocentesca Porta degli Angeli è punteggiato in modo da descrivere, con tono smaliziato e amaro, il conflitto tra la modestia degli orizzonti che delimitano la nostra routine e quella dimensione ambigua che sta tra la Storia presente e la cronaca d’attualità, in cui fatichiamo a capire se e come essere partecipi: un autovelox che ineluttabilmente ci multa diventa l’escamotage per farci concorrere alla stesura di un romanzo collettivo, il più probabile del cahiers de doleance dei nostri tempi, in attesa di giudici di pace o sanatorie; poi una scultura in forma di scritta anamorfica che evoca le origini del movimento no-global a Seattle, limitandone la prospettiva a una precisa angolazione del nostro sguardo; quindi un “mucchio di soldi” effigiati con un povero cane abbacchiato, ossia carta straccia; infine, una serie di tele dove sono rappresentati i volti di alcuni protagonisti di vicende emblematiche dell’intreccio di morte e società che, con rapidi tratti, tentano di essere sottratti ai clichè deteriorabili attraverso cui li conosciamo. Il grido di aiuto nel titolo diventa allora un stringa che lega in una matassa un’intera generazione che in un passato non lontano ha conosciuto momenti di illusione. Una matassa assemblata in fretta, senza pretese estetiche, perché la velocità con cui si consuma è a tal punto bruciante da non richiedere, nè permettere, alcuna cura formale. Scarti, detriti, materiali sparsi ed eterogenei in un paesaggio svuotato del senso del futuro: se non la tragedia, basterà l’ironia a restituirci un po’ di speranza?La mostra presso la Porta degli Angeli di Ferrara, a cura di Maria Letizia Paiato e Federica Zabarri per Yoruba::diffusione arte contemporanea è aperta al pubblico fino al prossimo 12 giugno.
Massimo Marchetti