E anche quest’anno Arte Fiera si è chiusa mettendo in quota 42 edizioni. Arte Fiera la prima, Arte Fiera la storica, Arte Fiera che cerca se stessa… Ribadisco immediatamente il giudizio complessivamente positivo dato qualche giorno fa, anche se, tuttavia, necessita di essere ulteriormente argomentato poiché il mio SI porta comunque con sé molte riserve. Positivo perché, a mio parere, si legge il tentativo della direzione firmata Angela Vettese di riequilibrare una situazione che negli ultimi anni ha evidentemente perso carattere. Questa fiera ha palesemente dei problemi che, tuttavia, non possono essere esclusivamente scaricati su una singola persona. A monte è l’ente fiera stesso che deve rendersi conto che non basta essere stata la prima fiera d’Italia per garantirsi il futuro. Tornando al 2018: la riduzione delle gallerie ha certamente giovato, così anche il vedere stand meno affastellati per una generale e prima operazione di pulizia. Una base, a mio avviso, da tenere in considerazione con la possibilità di ripartire da qui per ritrovare un’identità smarrita. Con onestà credo che la direzione Vettese e il suo staff debba lavorare con maggiore sinergia con le gallerie, crederci di più in sostanza, perché di stand belli e bene organizzati se ne sono visti molti (soprattutto monografici e dedicati ad artisti storicizzati o in fase di riscoperta, anche se non sono assolutamente mancate proposte giovani e fresche) e vale la pena insistere su questa linea per creare una reale e tangibile sistematicità. In pratica certe scelte non possono essere completamente demandate alla sola lungimiranza dei singoli. Nella consapevolezza che il mercato è il mercato e i galleristi devono anche vendere ciò su cui hanno investito nel tempo, è fastidioso trovare gli stessi artisti e le stesse opere ad ogni angolo, cosa che genera la rincorsa fra acquirenti a cercare l’affare migliore. Non va bene, così non cresce nessuno e l’auspicato rilancio dell’arte italiana rischia di risentirne profondamente.
Dal mio punto di vista pertanto, nonostante lo sforzo evidente e che mi sento di riconoscere, manca una vera visione. Bisogna avere il coraggio di fare delle scelte nette valutando le possibili strade percorribili. Una via potrebbe essere quella di alternare stand monografici dedicati ad artisti storicizzati, interpretabili come momenti di approfondimento e sintesi necessari alla scrittura della storia dell’arte, ad altri più eterogenei ma specificatamente impostati per mostrare il meglio della ricerca italiana sul fronte emergenti. Per questo è essenziale che la direzione lavori con le gallerie a stretto contatto per quel che riguarda le proposte. Oppure perché no, immaginare che Bologna possa diventare una fiera dedicata esclusivamente al moderno, così come emerso, immaginato e proposto nel dibattito con i colleghi di altre testate, che vedono come me in questa visione un’ottima occasione per rilanciare questa piazza. Valgono in questo caso naturalmente gli stessi propositi sovraesposti. Se si dovesse prendere questa strada, tutt’altro che semplice, è necessaria una sinergia strettissima fra le gallerie e la direzione della fiera per mostrare l’eccellenza delle gallerie italiane che si muovono in questo campo. Oppure un’altra soluzione potrebbe essere sull’esempio di Basilea o New York, così come auspica la redazione di Segno, dalla Direttrice Lucia Spadano all’art director Roberto Sala che, diversamente dalla sottoscritta affascinata dal mescolamento, percepiscono moderno, contemporaneo e solo show come blocchi non distanti ma da fruire con assoluta leggibilità, tanto è vero che, e lo devo riconoscere, gli esempi stranieri citati sono quelli dove le gallerie spesso si ritrovano presenti in più comparti.
Sicuramente e vale per qualsiasi caso, è necessario e imprescindibile ritornare a lavorare sui collezionisti. Non si può pensare che basti l’affetto a farli venire a Bologna quando l’offerta fieristica in questo momento storico si è chiaramente espansa. Basti pensare alla concomitanza con artgenève che ha spostato molto del flusso bolognese verso la Svizzera. Il dialogo quindi con le altre fiere diventa a questo punto essenziale. Non amo gli amarcord pertanto SI ad Arte Fiera come buon auspicio per il 2019.
Su Setup mi sono già espressa ma ribadisco il mio pensiero. Come è noto conosco bene e dall’interno questa esperienza sin dagli esordi avendola vissuta in prima persona, sebbene in tutt’altra veste di quella attuale. Ho sempre creduto e continuo a credere fermamente nelle potenzialità di questo format perché ritengo sia necessario avere persone che investano sui giovanissimi: galleristi e artisti. Il cambio di location, se questo era sentito come qualcosa di essenziale per gli organizzatori, va benissimo, ma non basta. Da Setup vogliamo vedere ricerca, ricerca, ricerca, ricerca, esclusivamente ricerca! Anche una ricerca contestabile ma sempre ricerca. Non è concepibile per la mia visione sui giovani trovare ragazzi con lavori gradevoli, ben fatti, carini ma privi di una forza poetica propria e autonoma. Mi aspetto dai galleristi giovani il coraggio di credere in un linguaggio, qualsiasi esso sia, di portarlo avanti e sostenerlo con orgoglio e passione. Non è possibile piegare le forze e le energie che possono esprimere i più giovani per un mercato che si esaurisce in quel preciso momento e, se in Arte Fiera posso anche sopportare di vedere gli stessi lavori di grandi maestri proposti da più gallerie, non posso accettare di vedere le stesse opere degli stessi artisti su una rosa di sole 39 realtà, oltretutto con una difficoltà immensa nel distinguere le gallerie l’una dall’altra. Naturalmente ci sono delle eccezioni, non voglio fare di tutta l’erba un fascio. Ho già espresso interesse per il napoletano Enrico Fico rappresentato dalla Galleria Tiziana Tommei di Arezzo, ma si veda anche il lavoro di Cellar Contemporary di Trento sicuramente avvantaggiati dall’essere in una stanza con la possibilità di leggere immediatamente il genere di linguaggio che li caratterizza o della D406 – Fedeli alla linea di Modena che, presenti dalla prima edizione, non hanno mai smesso di mostrare ogni anno una differente progettualità. Mi chiedo comunque: è possibile che in Italia non esistano 39 realtà giovani che investono sul futuro producendo pensiero? non ci voglio credere, anche perché da Setup sono emersi giovani bravissimi, diversissimi ma con poetiche e linguaggi autonomi oggi rappresentati da gallerie molte delle quali presenti alla stessa Arte Fiera. Speravo che la riduzione degli stand significasse riportare alle origini ciò che aveva contraddistinto questa manifestazione nel suo nascere: ossia il nuovo! Pertanto è NO ma sono convinta che ci possa essere il SI se Setup mostrerà il coraggio di ripensare alla sua anima e di fare quello che sa fare: mettere in luce giovani e brillanti talenti.
Vedi gallery fotografica di Setup qui: https://www.rivistasegno.eu/setup-e-setup-o-non-e-setup/
La sorpresa vera arriva da Paratissima. Il format torinese sbarca a Bologna colmando in parte il vuoto lasciato da Setup. Devo dire che nella città Sabauda purtroppo quello che si vede in Paratissima spesso è imbarazzante, una manifestazione che, a mio avviso, soprattutto negli ultimi anni, ha tirato in barca di tutto e di più. Ma a Bologna succede che la drastica riduzione degli artisti e l’aver concepito il tutto come una vera e propria mostra, dunque con una selezione su un tema preciso: Animali Notturni dal film di Tom Ford ha fatto si che la direzione artistica di Francesca Canfora abbia superato l’esame. Tuttavia anche qui, entrando nel merito dei singoli lavori, devo ammettere che questi giovani artisti fanno molta fatica a trovare una propria poetica adeguandosi troppo facilmente a linguaggi già sperimentati e accomodanti per un pubblico mediamente inesperto. Pertanto SI con una piccola riserva e con l’augurio di ritrovarli il prossimo anno più maturi. Intanto aspettiamo di vedere cosa succederà in autunno a Torino convinti che questa esperienza in terra emiliana possa giovargli molto.
Super SI senza nessunissima riserva per tutto il programma di Art City firmato dal neo direttore del MAMbo Lorenzo Balbi. Metti che ha una preparazione curatoriale inattaccabile, un occhio fresco e preparato alle novità, lo sguardo indirizzato all’internazionale ma che sa riconoscere e premia le eccellenze italiane, metti che conosce bene la storia dell’arte, metti una capacità critica e di approfondimento seria, mettiamoci pure che è giovane e salta fuori un Art City fantastico. Eccezionale la performance Tunguska Event, History Marches on a Table di Vadim Zakharov negli spazi Ex GAM e soddisfatte le aspettative delle opere e delle installazioni di Yuri Ancarani alla Cappella di Santa Maria dei Carcerati a Palazzo Re Enzo, di Roberto Pugliese al Teatro anatomico dell’Archiginnasio o l’opera di Jacopo Mazzonelli al Museo Internazionale della Musica, giusto per citarne alcune. Qui si vede la ricerca, ed è questo che vogliamo. Infine Balbi merita un ulteriore SI per il Party più bello e spettacolare mai organizzato prima dal MAMbo. MAMbo Rulez nella notte di sabato 3 febbraio ci ha mostrato un direttore che non ha paura di divertirsi e di far divertire. L’arte ha bisogno di tutta questa freschezza! Tutti naturalmente con al collo la sciarpa rossoblu firmata da Maurizio Cattelan che con il suo nuovo brand «Made in Catteland» ci invita realmente a partecipare al virtuale campionato Museums League. Noi tifiamo MAMbo.
SI per FRUIT. Non si smentisce la fiera dedicata all’editoria indipendente dove il libro è sempre di più interpretato come qualcosa d’altro e da vivere intensamente. Qui si trovano sempre cose sfiziose, talvolta anche rare che incentiva i più curiosi alla ricerca. Non serve dire altro. Bravi.
Pollice alzato, infine, per RAID Manumission motel, un progetto che punta sulla ricerca spingendo gli artisti a mettersi in gioco e a confrontarsi seriamente con il luogo che di volta in volta viene occupato. Dopo il successo di Torino, dove è stato letteralmente soverchiato l’ordine delle lezioni (in quell’occasione gli artisti sono realmente saliti in cattedra realizzando le opere con gli alunni dell’istituto comprensivo) Raid a Bologna ha fatto la sua incursione in un Motel (Hotel Caselle) mettendolo completamente a soqquadro. RAID Manumission motel si è svolto appena fuori Bologna, precisamente a San Lazzaro di Savena, una scelta che ci piace perché sposta l’attenzione su un luogo fuori dal solito circuito cittadino (una scelta di carattere che mostra autonomia, nella consapevolezza che sono i contenuti quelli importanti) dove, per sei ore dalle 10 alle 16 del pomeriggio, il plotone di artisti ha agito. I migliori interventi a nostro avviso sono stati sicuramente quelli pensati per quel luogo e lì realizzati. RAID – Manumission Motel è un progetto di FatStudio di Alessandro Brighetti e Giulio Cassanelli.