Si è appena inaugurata a La Galleria Nazionale di Roma la mostra è solo un inizio. 1968.
Curata da Ester Coen, ha il merito di essere la prima in Italia, di una serie di mostre che certamente seguiranno a celebrare a cinquanta anni di distanza quello che per molti versi, da ammiratori e detrattori, viene considerato un importante giro di boa della Modernità.
L’esposizione si rivela più piccola del previsto non ostante ospiti un numero rilevante di autori quali Vito Acconci, Carl Andre, Franco Angeli, Giovanni Anselmo, Diane Arbus, Alighiero Boetti, Pier Paolo Calzolari, Carla Cerati, Merce Cunningham, Gino De Dominicis, Walter De Maria, Valie Export, Luciano Fabro, Rose Finn-Kelcey, Dan Flavin, Hans Haacke, Eva Hesse, Nancy Holt, Joan Jonas, Donald Judd, Allan Kaprow, Joseph Kosuth, Jannis Kounellis, Yayoi Kusama, Sol LeWitt, Richard Long, Toshio Matsumoto, Gordon Matta-Clark, Mario Merz, Marisa Merz, Maurizio Mochetti, Richard Moore, Bruce Nauman, Luigi Ontani, Giulio Paolini, Michelangelo Pistoletto, Emilio Prini, Mario Schifano, Carolee Schneemann, Gerry Schum, Robert Smithson, Bernar Venet, Lawrence Wiener, Gilberto Zorio.
La mostra si rivela sorprendentemente apolitica, sia nella esposizione dove risultano clamorose le assenze di autori quali Novelli, Baj, Gilardi, Pignotti e più in generale l’omissione che il ‘68 si chiama comunemente e anche Contestazione, ovvero fabbriche e scuole occupate, manifestazioni e repressione.
L’esposizione, nelle intenzioni della curatrice, fornisce una specie di spaccato non già del ‘68 in se, quando di un aria che si è materializzata in opere che, non senza stupore arrivano agli anni successivi, certamente con alcuni pezzi rari tra cui splendidi Angeli e Schifano.
La mostra (purtroppo) dunque non restituisce l’immenso bagaglio culturale sociale e politico del Sessantotto realmente accaduto, l’evento storico contrassegnato dal rifiuto diffuso del militarismo, dell’autorità statale, da un profondo cambio di paradigma nel contesto familiare, relazionale, amoroso, delle condizioni di lavoro, e da una generale messa in discussione del senso della democrazia che condurrà a riforme di molte istituzioni, pensiamo alla Triennale di Milano, alla Biennale di Venezia, all’Università e anche alle Leggi su divorzio e aborto e allo Statuto dei lavoratori.
Al contrario, il catalogo, in forma di giornale, curato da Ilaria Bussoni e Nicolas Martino, fortunatamente restituisce quegli apparati assenti nell’esposizione, attraverso numerosi scritti e interviste tra i quali spiccano i contributi di Toni Negri, Franco Berardi Bifo, Rossana Rossanda, Lea Vergine, Massimiliano Fuksas, Mario Perniola, Achille Bonito Oliva, Goffredo Fofi, Germano Celant, Giuliano Ferrara, Giacomo Marramao.
La grafica spartana, riesce efficacemente a dare senso a una operazione che altrimenti sarebbe stata troppo concentrata nel descrivere cosa del Sessantotto riverberi nel Minimalismo, nel Concettuale, nell’Arte Povera, nella Land Art, e nelle numerose correnti che in quegli anni emersero nella diversità di metodi e progettualità, ovvero cosa del ‘68 riverberi nel capitalismo che il ‘68 tanto ha contestato.