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“The Songs of the Sun”: la scrittura asemantica di Lina Stern

Si è inaugurata l’11 giugno a Lviv, in Ucraina (in Rimlyanina, 10 str., nelle stanze di “Vegano Hooligano”), la mostra di scritture asemantiche di Lina Stern The Songs of the Sun – asemic calligraphy and pattern design exhibition. L’esposizione continuerà tutto il mese, fino  al 30.

Dei pannelli esposti si può avere parziale esperienza anche online visitando due link che l’artista indica ai visitatori:

https://www.facebook.com/notes/ecoartpro/the-songs-of-the-sun/1593577824017432/
https://www.facebook.com/media/set/?set=a.1595494767159071.1073741956.595702633804961&type=1&l=6059726eb4

La mostra offre un ampio spettro di opere, che coinvolgono più materie, oggetti e supporti, principalmente carta ma anche legno e acrilici. Nel titolo, il riferimento alla calligrafia “asemica” (o, appunto, asemantica) rinvia a una pratica artistica e di scrittura recentemente molto fortunata, a livello mondiale, ma di tradizione non breve: basti pensare che una delle prime occorrenze dell’espressione scrittura asemantica è del 1974 e si deve a Gillo Dorfles, che in tal modo definiva il lavoro di Irma Blank: http://gammm.org/index.php/2007/07/18/blank-dorfles/(Per un articolo sintetico sul tema, con un abbozzo di cronologia, mi permetto di rinviare a https://www.alfabeta2.it/2015/02/15/gioco-e-radar-05-asemic-writing/).

Questa mostra segue una precedente esposizione – nella medesima sede – in cui altre pagine asemantiche della stessa artista erano state ospitate.

Sia in questa che nella precedente occasione, una unità/unitarietà e coerenza di tratto e flusso delle linee è osservabile: i lavori di Stern, anche visti semplicemente in rete e in eventuali preview di piccole dimensioni, accolgono e attraggono l’osservatore sorprendendolo con fittissime tramature. Texture dense e singolarmente antiretoriche, pur nella loro armonia complessiva. A distanza o ad un primo sguardo può accadere che non vengano facilmente individuate, sciolte in segni definiti, dettagli.

Il visitatore della mostra deve – e il navigatore in rete dovrebbe – avvicinarsi ai dischi e ai pannelli esposti, ‘ingrandirli’, per rendersi conto di quanto millimetricamente arabescate siano le loro superfici.

Minimi segni, quasi-lettere, occhielli, ganci, aculei di un immaginario neo-cuneiforme, accenni di ulteriori alfabeti non noti, linee spesso chiare, o bianche, caratteri che si dispongono in segmenti paralleli sottili, in una apparenza di simmetria che finge di condurre a valori verbali: tutto un apparato di microglifi trama e tesse, in spirali concentriche o righe ordinatissime quanto dense, le opere in mostra.

Anche la scelta degli sfondi cromatici è non casuale e risponde a una sorta di calma deposizione e sovrapposizione di strati geologici di ombre di significati, imperscrutabili ma cesellati con acribia, che vanno a condensarsi in tinte puntualmente tentate dal neutro.

Le scritture che coprono le superfici sono – in più casi – in inchiostro bianco. Mimano una possibilità di decodifica che, va sottolineato ancora, è invece messa in scacco costante. Non non vi affiora un contenuto linguistico definibile e decifrabile: non intendono trasmettere messaggi sottoposti ai dettami del logos.

Se l’indicazione “The Songs of the Sun” spiega la ricorrenza di cerchi, non raggianti né implosi e tuttavia felicemente criptici, gremiti come sono di caratteri di alfabeti inesistenti, il titolo della mostra precedente, Les Lettres D’Amour, rivelava l’intenzionale illeggibilità dei materiali esposti: come a scompaginare irreversibilmente i segni del possibile e del comunicabile impliciti in ogni esperienza affettiva. Per sottrarre ulteriore linearità e facilità a ciò che lineare e facile non è mai, per definizione.

Non troppo estraneo o distante dall’indicibile della luce solare (o dell’affettività) sta, certo, l’indicibile del linguaggio. È forse proprio questo uno dei sensi possibili – più in generale – dei percorsi spiraliformi e ipnotici dell’arte di Lina Stern.

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