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La sconcertante bellezza della Quadriennale

Dopo un buco di 8 anni torna la Quadriennale con un corposo “effetto fiera”. Ma raccontare questa mostra non è affatto cosa semplice. Con le sue 150 opere di un centinaio di artisti scelti da 11 curatori per un totale di 10 mostre ne sono uscita alquanto sconcertata, questo è sicuro. Ad una prima lettura questa edizione tenta una narrazione della produzione artistica nazionale che risulta necessariamente frammentaria, con picchi di approfondimento a volte eccessivi, in un diluvio di informazioni che scorrono senza soluzioni e che offrono una visione della mostra in multivisione.

Ma per capire il perché di questa mescolanza espositiva e linguistica bisogna risalire al “primo livello” di lettura, quello del titolo: “Altri tempi, altri miti” ispirato alla raccolta “Un weekend postmoderno. Cronache dagli anni Ottanta” di Pier Vittorio Tondelli che, considerata un’opera cult, offre, con la formula del viaggio, una narrazione per frammenti dell’Italia. Analogamente, la 16a Quadriennale è concepita come una mappatura delle produzioni artistiche e culturali dell’Italia contemporanea. Su questa traccia si sono dovuti tarare i 10 curatori che a loro volta hanno creato delle sottocategorie per questo “viaggio” nella produzione artistica italiana. E devo dire che i curatori si sono spinti in territori appetibili artisticamente, a volte sconosciuti, acuti nelle analisi, profondi nelle visioni e sensibili nella scelta degli artisti. E ci troviamo subito sopraffatti dal “secondo livello” di lettura: il segno curatoriale e l’indicazione di lettura. Non più una traccia da seguire, ma un trattato socioculturale con cui accordarsi e fare i conti. I temi li troviamo qui https://www.rivistasegno.eu/quadriennale-di-roma/ ma in una superficiale sintesi li identifico in: globalizzazione e decentramento, identità italiana, rapporto tra reale e virtuale, grado 0 dell’Italia rurale, memoria, riuso dell’arte, ritratti e autoritratti, molta sociologia, filosofia e tanto altro. Il tutto, anche se con picchi di retorica e con linguaggi a volte eccessivamente criptici, è bello, frammentato ma esaustivo, completo, illuminante e di grande spessore, ma affonda totalmente il “terzo livello” di lettura, quello dell’Opera. Purtroppo l’opera arriva alla fine e molto faticosamente la si riconosce. Non si riesce a separare e a districare la critica dall’opera che ne risulta sopraffatta. Ho avuto la sensazione che l’opera, in questa formula espositiva, non fosse libera, che fosse troppo agganciata alla parola, al romanzo della critica che qui prende vita e forma. Quello che emerge è una geografia della critica più che una storia di questo viaggio nell’Arte. Visitare la mostra è cosa faticosa e impegnativa: i livelli di lettura dovrebbero essere simultanei, e invece qui sono condizionanti e manca un po’ lo sguardo sull’opera. Nella sostanza le opere sono molto belle, l’operazione critica nei contenuti è centrata e va lodata l’alta professionalità e l’impegno di tutti. Ma l’eccesso di invasione della critica c’è anche se rimane pur sempre un buon trattato socioculturale, un libro, una analisi che merita di essere sviluppata, ma cosa diversa è una mostra d’arte! E necessariamente devo fare una domanda: quanto toglie, l’eccesso di tematica, alla lettura, alla spontaneità e alla autonomia dell’opera d’arte?

16a Quadriennale d’arte. Altri tempi, altri miti
Palazzo delle Esposizioni
Via Nazionale194 – Roma
Fino all’ 8 gennaio 2017

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