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Riparliamo di Biennale – opinioni e sguardi di Segno

Continuiamo a parlare della Biennale di Venezia riproponendo gli approfondimenti pubblicati sul n. 263 di Segno. Questa volta parliamo dei vari padiglioni ai Giardini attraverso i contributi di Maria Letizia Paiato e Serena Ribaudo.

Arte viva e magmatica nei padiglioni nazionali

Maria Letizia Paiato Entrando e uscendo da un padiglione nazionale all’altro, è innegabile la forte connotazione performativa e performante che accomuna molti, aspetto auspicato negli intenti curatoriali di Viva Arte Viva e confermato nel Leone D’Oro assegnato alla Germania. La Francia, ad esempio, con Studio Venezia di Xavier Veilhan, trasforma l’interno del padiglione in una sala da musica e studio di registrazione mettendo in scena una lunga serie di performance musicali senza orario e durata ma liberamente “improvvisate”. Il Padiglione Grecia con Laboratory of Dilemmas di George Drivas invita lo spettatore ad attraversare un ostico labirinto metafora del concetto di dubbio che si ricollega a quello vissuto dal re di Argo, dilaniato dal pensiero se salvare o respingere donne egiziane in fuga, traslitterazione moderna della tragedia di Eschilo. Tutt’altro tono, decisamente meno riflessivo ma più ludico, è quello del Padiglione Austria con le sculture “da vivere” di Erwin Wurm che si modulano e cambiano prospettiva proprio attraverso l’interazione con il pubblico. Assolutamente convincente e di grande impatto, è lo stravolgimento attuato da Mark Bradford con Tomorrow Is Another Day del neoclassico Padiglione Stati Uniti. L’artista forza i visitatori a entrare e uscire dalle porte laterali, anziché le principali, costringendoli a vivere lo spazio con quel senso di precarietà che caratterizza il nostro tempo. Dagli spazi occupati da detriti e rifiuti, tuttavia, poi s’incontrano eccellenti opere pittoriche di grandi dimensioni, e infine, il video Niagara del 2005, che nella camminata del protagonista, trasmette un senso di speranza per il futuro. La Spagna porta a Venezia ¡Únete! Join Us! di Jordi Colore, intervento calato sull’esegesi della materia urbana intesa come luogo generatore di situazioni collettive. E sull’idea di trasformazione si muove anche Gal Weinstein al Padiglione Israele con Sun Stand Still, un’installazione organica che rappresenta la valle di Jezreel, suolo agricolo un tempo fertile e oggi sterile e abbandonato. Una riflessione poetica e illuminante sul confine delle nostre aspettative e sui nostri limiti, la propone, invece, lo straordinario Padiglione Australia con il solo show di Tracey Moffat che, fra due serie fotografiche ineccepibili per bellezza e suggestione visiva e il geniale film My Horizon, ritma con una narrazione incalzante e coinvolgente, tutto lo spazio del padiglione lasciandoci riflettere sul senso di disperazione dei migranti. Sospeso fra fiction e realtà è, infine, anche il film d’animazione digitale della zelandese Lisa Rehiana, che racconta il colonialismo attraverso la trasformazione in live action del dipinto di Jean Gabriel Charvet The Voyages of Captain Cook (Les Sauvages de la mer Pacifique) del 1805.

Serena Ribaudo Al motto di VIVA ARTE VIVA, la 57. Esposizione Internazionale d’Arte restituisce all’artista la centralità del suo ruolo e ne rinnova la responsabilità di ermeneuta dei dibattiti contemporanei. Come sempre location d’eccellenza sono gli storici padiglioni ai Giardini, all’Arsenale, nel centro di Venezia. In una promenade, accattivante ma di certo non totalmente esaustiva, che insista sulle Partecipazioni Nazionali, 85 i Paesi presenti dei quali 3 per la prima volta: Antigua e Barbuda, Kiribati, Nigeria. Il Leone d’oro per la Migliore Partecipazione Nazionale è andato alla Germania della giovane artista Anne Imhof e a cura di Susanne Pfeffer. La giuria attribuisce il massimo riconoscimento al Padiglione tedesco così motivandolo: “un’installazione potente e inquietante che pone domande urgenti sul nostro tempo e spinge lo spettatore ad uno stato d’ansia consapevole”. Presieduto da guardie e da dobermann in gabbia, il Padiglione Germania è un Panopticon di acciaio e vetro: la performance della Imhof genera nel fruitore sensazioni di disagio, di slittamento percettivo, di ossessività perturbante. La Repubblica Ceca e Slovacca, a cura di Lucia Gregorova Stach, presenta Jana Zelibska e la sua Swan Song Now che è un divertissement, un’opera maliosamente immersiva, un incanto vibratile. Mirabile il Padiglione Venezuela: il Venezuela, in uno dei suoi momenti storici e politici più complessi, sceglie l’arte come strumento di guarigione dell’anima. A far da protagoniste le opere dell’artista e poeta visivo Juan Calzadilla, con la curatela di Morella Jurado Capecchi: fregi, spirali, installazioni nastriformi concretano panoplie di segni che ben si giustappongono alle raffinate architetture di Carlo Scarpa. Ecco poi il Theatrum Orbis del Padiglione Russia, a cura di Semyon Mikhailovsky, in cui si dispiegano le opere di Recycle Group, Sasha Pirogova e, in special modo, l’efficacissimo intermezzo di Grisha Bruskin col suo Cambio di Scena in cui il visitatore affonda letteralmente in una dimensione meta-temporale. Phyllida Barlow è stata prescelta a rappresentare la Gran Bretagna: folly a cura di Harriet Cooper è una summa estremamente rappresentativa della produzione della Barlow. Monumentali colonne coclidi, archeologie fittizie, ma anche “palle di Natale giganti” e facciate di stranianti edifici invadono l’interno e l’esterno del Padiglione, destabilizzando ludicamente la percezione degli spazi. Il Padiglione Corea ci accoglie con luci sfavillanti di insegne luminose. All’interno Lee Wan alla domanda “come si rapportano le storie personali e quelle nazionali?” risponde con un’installazione di centinaia di orologi a parete, ognuno con il nome dell’intervistato, che scandiscono il tempo con velocità diverse ovvero la velocità con cui “vive” il suo tempo ogni intervistato. Atmosfere immaginifiche sono quelle del Padiglione Cina, a cura di Qiu Zhijie con il coordinamento artistico di Davide Quadrio. Continuum-Generation by Generation è un vero omaggio alla rigenerazione delle tradizioni che qui fluiscono in una visione assolutamente contemporanea. Skeleton Fantasy Show di Li Song e Dodici immagini dell’acqua che cresce di Ma Yan si connettono tra gli altri con gli spettacoli d’ombre d’altissima poesia di Wang Tianwen. Il Padiglione Irlanda, a cura di Tessa Giblin, presenta l’ultimo lavoro di Jesse Jones, Tremate Tremate, un ritorno tormentoso ed ossessivo all’archetipo del femminino. Alla Giudecca il Padiglione della Repubblica Araba Siriana a cura di Emad Kashout espone, tra le altre, opere di Asma Alfyoumi, Giuseppe Biasio, Anas Al Raddawui, Abdullah Reda, Patrizia Dalla Valle in una riuscita orchestrazione che ancora una volta rinnova la sostanza d’arte nella sua valenza escatologica.

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