A una settimana dalla chiusura di Artissima 2017, la prima firmata dalla nuova direttrice Ilaria Bonacossa, dopo avere lasciato decantare immagini e impressioni, proviamo a dare una possibile chiave di lettura e di visione di un universo sempre più difficile da decifrare.
Come prima cosa bisogna tenere a mente quali sono i reali intenti di una fiera mercato, e in base a questo tentare di interpretare i cambiamenti e le innovazioni apportate dalla nuova direzione. Va da sé che l’obiettivo di una fiera internazionale è rispondere alle richieste del mercato, individuando quelle gallerie in grado di soddisfare tali domande, di attrarre sempre di più nuovi collezionisti senza dimenticare, al contempo, quelli già affezionati ma – ed è questa la tendenza più vistosa di tutte le fiere italiane e non solo – creando uno spazio che somigli sempre di meno ad un luogo di compravendita. Sulla carta si spiega, dunque, l’idea di aver progettato una fiera dai corridoi più spaziosi e un ampio ambiente al centro a guisa di una piazza, proprio allo scopo di rendere il tutto meno soffocante ma soprattutto meno associabile all’idea di scambio. È un format che da un punto di vista logistico funziona, ed è anche piacevole, ma questo non deve far dimenticare che ci troviamo dentro ad un mercato reale capace di creare e modulare cultura in modo concreto, un mercato composto da 206 gallerie e oltre 2000 opere a disposizione. Un labirinto dove orientarsi non è stata impresa facile. Vediamo allora cosa ha cercato il mercato e cosa ha funzionato di più.
La sezione più convincente di questa edizione 2017 è, a mio parere, Back to the Future coordinata da Anna Daneri, curatrice indipendente di Genova e fondatrice di Peep-Hole, Milano. Si tratta di una sezione dedicata a mostre personali di grandi pionieri dell’arte contemporanea, per diversi motivi fuoriusciti dal mercato o da esso rivalutati a carriera avanzata, quest’anno incentrate sugli anni Ottanta del Novecento. Perché funziona Back to the Future? Per un semplicissimo motivo. L’originaria vocazione sperimentale della fiera è rispettata ma strizza l’occhio alla tradizione. In un certo senso, e in virtù del particolare momento storico che stiamo vivendo, dove la parola precarietà è sinonimo di presente, il rifugiarsi nel passato, in un passato da riscoprire, geniale all’epoca e attuale adesso, crea uno stato di tranquillità tale da condurre anche collezionisti meno audaci all’acquisto. Qui troviamo proposte come quella della Galleria P420 di Bologna che espone lo straordinario lavoro di Joachim Schmid, artista dalla ricerca inedita per l’epoca, giocata sul confine fra fotografia amatoriale e d’autore, quella della Galleria Monitor di Roma e Lisbona che mostra le carte di Elisa Montessori, nome di spicco negli anni Ottanta, tutte giocate su un segno apparentemente astratto dal quale, tuttavia, emergono elementi figurativi. Incontriamo anche un giovane Nicola Ponzio presentato dalla Galleria Riccardo Costantini di Torino, il cui lavoro incentrato sugli elementi essenziali della pittura, ovvero colore, forma, materia, spazio e luce si offre in una visione analitica e in controtendenza con la maggioranza della produzione di quello stesso periodo. Così anche il lavoro di Anna Valeria Borsari, presentato dallo Galleria Studio G7 di Bologna ci ricorda l’opera di artisti dediti in quel decennio a ricerche sulla tematica dell’identità e sulla relatività delle nostre percezioni. Di contro c’è anche la proposta della Galleria Ribot di Milano che propone le opere di Corrado Levi, ovvero i suoi noti dipinti rintracciati nei mercatini ai quali apponeva lenti di ingrandimento che invitano l’osservatore ad approfondire il dettaglio. Fra le straniere in questa sezione non è passata inosservata la galleria londinese Richard Soulton che ha portato all’Oval il lavoro di Vivienne Koorland, artista di Cape Town, nelle cui opere: fotografie, dipinti, mappe e qualsiasi altro segno o simbolo di un’esistenza sofferta, si legge tutta la storia dell’Apartheid. La Kayne Griffin Corcoran di Los Angeles, espone, infine, le insolite sculture di Beverly Pepper, artista americana ma umbra di adozione che proprio la scorsa estate ha deciso di donare alla terra che l’accolse negli anni Cinquanta, ossia a Todi, delle sculture per la realizzazione di un parco dell’arte.
Se il Ritorno al Futuro funziona, convince nelle proposte, si mostra fresco e vivace, il Present Future, purtroppo, appare molto più debole. La sezione, oggettivamente, si perde fra la compattezza di Back to the Future e la nuova Disegni per dissolversi, senza lasciare troppe tracce di sé, nei Dialogues, Main Section e New Entries.
Sulla novità di quest’anno, ossia sulla sezione Disegni si sono spesi finora fiumi di parole favorevoli, a detta di molta critica essa rappresenta la vera rivelazione della fiera. Personalmente da questo inedito segmento mi attendevo qualcosa di molto più audace, qualcosa che restituisse l’onestà del disegno, la sua forza espressiva e la sua autonomia. Nel complesso la sezione mi è parsa intermittente ma merita sicuramente di essere ulteriormente rielaborata e rinforzata dalla Bonacossa. Il rischio in questa edizione è che Disegni possa essere stata percepita come nucleo di opere a prezzi competitivi, per dirla in parole povere, il disegno come manufatto non deve rischiare mai di essere interpretato banalmente come accessibile ma deve mantenere costante la sua libertà, la sua autorevolezza. Ci si attende, dunque, per l’edizione 2018 più audacia e convinzione dalla nuova direzione. Si sono visti, comunque, lavori notevoli: quello dell’argentino Daniel Otero Torres, proposto dalla Galleria Sketch di Bogotà, che mostra un interessante dialogo sul rapporto copia e originale, quello di Andrea Romano della Galleria Vistamare di Pescara, dove il disegno si fonde alla cornice dando vita a inusuali opere quasi scultoree e quello, infine, di Jorge Queiroz della portoghese Galleria 3m1arte che propone disegni che rimandano per certi aspetti al Simbolismo francese di fine Ottocento, richiamando al contempo forme contemporanee.
Su Dialogues, Main Section e New Entries le proposte convincenti non mancano e sono tante. Sebbene in maniera disordinata cito quelle che hanno maggiormente catturato lo sguardo. La Galleria Giorgio Persano di Torino, mentre tutta la città si è concentra sulla celebrazione di un grande maestro dell’Arte Povera quale è Gilberto Zorio – con la grande retrospettiva allestita al Castello di Rivoli – e avendo il pieno diritto di parola sul movimento, spiazza il pubblico presentando un pezzo straordinario dalle dimensioni monumentali del trasanvanguardista Nicola De Maria, un’opera di grande qualità come non se ne vedevano da anni dell’artista di Foglianise, cui fa da contraltare il progetto Stanze del norvegese Per Barclay. Questo inatteso dialogo, fra tessuti hi-tech che letteralmente si gonfiano e sgonfiano simulando il respiro di polmoni, il memento mori a simboleggiare una riflessione contemporanea sul nostro passaggio e la vivace pittura di De Maria, fanno di questo stand fra i più belli della fiera. Dal passato all’oggi non passa inosservato neanche il lavoro di Adolf Luther, grande maestro dell’arte cinetica e ottica, presentato dalla 401Contemporary di Berlino, un oggetto specchiante del 1976 al quale è impossibile sottrarsi, così come riflettersi nel tempo negli autoritratti di Roman Opalka presentati dalla Galleria Michela Rizzo di Venezia. Sempre guardando a ieri, sono strepitosamente attuali, oltre che esteticamente impeccabili, i progetti di Christo portati all’Oval dalla Galleria Tega di Milano.
Spicca lo stand dell’uruguaiana Galleria Atchugarry con i lavori di Veronica Vasquez, Marco Maggi ma soprattutto quelli dell’italiano Riccardo De Marchi con le sue magiche carte degli alfabeti possibili. Sono strepitose anche le sculture del giapponese Shigeru Saito che guardano al lavoro di Castellani ma in chiave modernissima proposte da Mazzoleni Art Londra-Torino e poi il lavoro del brasiliano Marcelo Moscheta alla Galleria Riccardo Crespi di Milano dove il tempo, la storia e l’uomo s’intrecciano inesorabilmente. Con uno stand orientato a indagare il paesaggio contemporaneo in tutte le sue forme incontriamo la Galleria Alberto Peola di Torino che porta in fiera le opere della turca Fatma Bukak, già premiata in ArtVerona 2017 ma anche quelle del giovane Paolo Bini – Premio Cairo 2016 – da tempo interessato ad una personale indagine pittorica sul paesaggio. Largo ai giovani e alla buona pittura anche per la Galleria Massimo De Luca di Mestre che incoraggia il lavoro di Paola Angelini e alla Galleria Laveronica di Ragusa che propone un inusuale dipinto di Marinella Senatore. Tra gli emergenti trova spazio anche Alberto Scodro con una raffinata ricerca scultorea capace di generare forme libere e originali proposto dalla Galleria Car DRDE di Bologna, quella di Chiara Camoni della Galleria SpazioA di Pistoia, due delicate sete sulle quali sono impresse le tracce organiche di foglie, magicamente dal forte impatto grafico, e quella del cinese He Wei promosso dalla Galleria Primo Marella di Milano, storicamente impegnata nella diffusione dell’opera di artisti provenienti dall’Africa e dall’Asia, che pare riattraversare buona parte della storia dell’arte occidentale attraverso il mescolarsi di segni grafici e pittorici.
Le proposte in Dialogues, Main Section e New Entries non si esauriscono qui. Nell’ordine le gallerie che non sbagliano mai e gli artisti da citare sono molti: Alfonso Artiaco, Umberto Di Marino, Continua, Vistamare, Francesca e Massimo Minini, Placentia Arte, Enrico Astuni, Prometeo, Cardelli&Fontana, Monica De Cardenas, Sprovieri, Mazzoli, Eduardo Secci, RizzutoGallery, De Foscherari e fra le straniere SMAC gallery di Cape Town, Ab/Anbar di Tehran, interessanti le spagnole ADN di Barcelona, Peréz Hernando di Madrid e Luis Adelantado e Rosa Santos di Valencia, quest’ultima così sensibile da dedicare nel proprio stand un omaggio a Chiara Fumai.
Dialogues, Main Section e New Entries sono senza dubbio, insieme a Back to the Future ciò che in Artissima ha funzionato meglio.
Vince pertanto il passato che sa stare nel presente e il presente che guarda al passato ma con intelligenza. Sul passato che sa stare nel presente senza invecchiare mai c’è di diritto il grande Gilberto Zorio che non delude, né nella grande mostra a lui dedicata al Castello di Rivoli ma neanche in fiera con un pezzo strepitoso portato in Artissima da Lia Rumma. Quella grande stella di metallo luccicante, quasi specchiante, ha superato il tempo e lo spazio. Ecco la grande arte quando parla come lo fa!
Per ulteriori dettagli e conoscere tutti i premi assegnati durante la fiera http://://www.artissima.it/site/