Thomas Bernhard, in uno dei suoi capolavori, tramite le parole del protagonista Wertheimer, ossia “Il soccombente”, che da il titolo all’opera, riflette spesso sul concetto di “malinteso”. Noi veniamo generati in mezzo ai malintesi e fintanto che esistiamo da questi malintesi non riusciamo a tirarci fuori. Ogni persona dice continuamente qualcosa che verrà fraintesa da altre persone e questo è l’unico punto su cui tutti concordiamo. Il soccombente infatti dice: “Un malinteso ci fa venire al mondo, in questo mondo di malintesi che ci tocca sopportare come un mondo costituito da innumerevoli malintesi e che poi abbandoniamo con un unico, grande malinteso, giacché la morte è il malinteso più grande di tutti”. La scrittura di Bernhard è a tratti claustrofobica eppure appare scorrevole e chiara allo stesso tempo. Egli ci descrive il “male di vivere”, il peso dell’esistenza che scorre però inarrestabile.
La vita può essere intesa come un gioco, “il telefono senza fili”, dove i partecipanti devono disporsi in fila. Uno dei giocatori inizia il gioco bisbigliando una parola o una frase all’orecchio del suo vicino. Questi deve ripetere la stessa frase al prossimo giocatore, e così via fino all’ultimo della fila, che ripete la frase ad alta voce. Il divertimento deriva dal fatto che la frase riportata dall’ultimo giocatore è spesso molto diversa da quella di partenza, a causa del combinarsi e sommarsi di errori successivi di interpretazione. Ecco come nasce l’errore cumulativo che deforma le informazioni via via che esse si diffondono, sia che esse passino di bocca in bocca sia che vengano trasmesse in modo più formale, per esempio dai mass media.
The Lovers è un telefono senza fili in cui le frasi vengono volontariamente modificate in modo tale che l’ultima assuma un determinato senso. Una costruzione architettonica di malintesi che quindi trasforma il falso in vero e il vero in falso.
Sia Nicolò Tomaini che il critico Filippo Mollea Ceirano presuppongono noti i fatti della Strage di Erba, e chiariscono che non interessa affatto la diatriba su innocenza o colpevolezza, correttezza processuale, consistenza delle prove riguardanti i due protagonisti e presunti assassini. Il tema su cui ci spingono a riflettere è: “il falso che prende il posto del vero, la copia quello dell’originale, mentre la vita, i sensi, le passioni, e più in generale tutto ciò che dovrebbe animare l’esistenza umana si azzerano, per lasciare il posto alla mortifera stretta di una rassegnata ubbidienza”.
L’opera di Nicolò Tomaini appare esteticamente come una citazione della storica opera “Rest Energy” di Marina Abramovic, che nel 1980 ad Amsterdam, con il compagno Ulay, creò, rappresentò e registrò l’equilibrio fatale. Ulay puntava verso il cuore della sua fidanzata una freccia, e Marina Abramovic tendeva l’arco, entrambi avevano due microfoni vicino al cuore e man mano che la performance procedeva i battiti si facevano sempre più intensi. Quattro minuti e dieci secondi di completa e totale fiducia. Nicolò Tomaini, realizza invece due manichini a grandezza naturale estremamente somiglianti a Olindo Romano che tiene in mano un arco e Rosa Bazzi che tende verso il suo cuore una freccia pronta ad essere scoccata. Ecco come spiega il testo critico che: “il rapporto tra esseri umani, sia esso amoroso, affettivo, di amicizia, è sempre soggetto al rischio che l’equilibrio si rompa, con esiti potenzialmente letali, e deve poter contare su una assoluta, reciproca fiducia. L’assoluto realismo, la veridicità della rappresentazione, in cui le figure umane che nell’opera originaria della Abramovic erano incarnate da persone reali in azione sono sostituite dalla riproduzione, curata fin nei minimi dettagli, di Olindo e Rosa, protagonisti indiscussi della vicenda (o meglio della sua narrazione), sottolinea l’azzeramento della separazione tra la realtà, la sua ricostruzione e l’invenzione fantastica; sottolinea che viviamo in un tempo in cui ciò che si percepisce come accadimento, come evento storico, non è diverso dalla simulazione, da una efficace messa in scena”.
Chiaro è il riferimento concettuale al grande filosofo e scrittore francese Guy Debord che nel 1967 pubblicò il saggio “La società dello spettacolo” che anticipò in modo drammaticamente lungimirante ciò che viviamo oggi, all’interno della nostra società “moderna”, dove la sete e il bisogno di immagini spettacolari ci porta quotidianamente a stravolgere la realtà dei fatti. Il filosofo, riprendendo l’incipit de “Il Capitale” di Karl Marx, spiega come le immagini del mondo dettate dalle necessità della produzione capitalistica si sono staccate completamente dalla vita vera, al punto che lo spettacolo è considerato come “l’inversione della vita”. I rapporti sociali fra gli individui vengono così mediati dalle immagini. Ed ecco come esse hanno sostituito le religioni.
Effettivamente la nostra natura umana mantiene nel profondo un lato estremamente sanguigno, violento e carnefice. La massa è di per sé violenta e predatrice perché l’unione fa la forza e la brutalità del gruppo aumenta rispetto a quella del singolo. Nel corso delle epoche per detenere tutto ciò la società si è servita di capi espiatori su cui riversare la propria aggressività e di valvole di sfogo o regole divine restrittive per contenere la carica distruttiva dei popoli. Ecco la risposta a molti perché. L’opera di Nicolò Tomaini contribuisce a riflettere in silenzio su queste tematiche. Il manichino che incarna Rosa, tiene in mano il volume di Ludwig Feuerbach, “L’essenza del cristianesimo” che influì sulle correnti filosofiche e culturali più diverse, dal positivismo all’esistenzialismo, dal marxismo all’individualismo. Per il filosofo tedesco infatti, Dio non è altro che una produzione dell’uomo a cui egli stesso si è assoggettato. L’alienazione religiosa è la rappresentazione esteriore delle qualità, desideri e paure dell’uomo che per Guy Debord che vive il boom economico e l’inizio dell’era consumistica diventa alienazione spettacolaristica. L’artista Nicolò Tomaini con l’opera “The Lovers” riflette sul nostro modo ormai sempre più distaccato, superficiale e quindi “alienato” di percepire le notizie e su come esse vengano modificate a seconda di interessi superiori. Non a caso: “L’innesco, l’evento iniziale, è grave, è tragico, è pesante: una strage, varie persone, tra cui un bimbo, brutalmente ammazzati. Ma presto si stempera, sfuma, si sgretola, mentre i generosi mezzi delle tecnologie della comunicazione secernono senza ritegno i loro escrementi mediatici. Dettagli che divengono notizie, sospetti o illazioni dati per certi, interpretazioni o ipotesi che un giorno rassicurano, quello dopo contraddicono, per poi scomparire, riapparire, porre domande di cui divengono risposte. E poi due figure, Olindo e Rosa, tanto adatti al ruolo che sono destinati a ricoprire da sembrare inventati apposta, generati e non creati dalla stessa sostanza dei media”. E poi il processo, la spettacolarizzazione macabra dell’accaduto, i mediocri e scandalistici programmi di intrattenimento, le informazioni di volta in volta contorte fino alla recentissima riapertura del processo.
Ecco che il “telefono senza fili” continua e diviene la nostra stessa esistenza.