Nel bel mezzo di una conversazione con la storica dell’arte Anna Maria Ruta, le raccontai di quando “Gente”, patinato settimanale nazionale, mi definì il pupillo di Renato Guttuso. In quella occasione affiorarono alcuni ricordi che ho deciso di mettere a fuoco.
Guttuso, durante il servizio militare da tenente, riferendosi alle sue mansioni disse: “Qua al Reggimento l’unico lavoro è firmare i permessi, leggere ordini del giorno, badare che i soldati salutino senza alzare il mignolo. Queste le mie importantissime mansioni di Ufficiale del Regio Esercito”. E a seguire, tuonò forte: “Mi sento un fesso qualunque”. La sua reazione a questo severo giudizio, sarà di dare la sveglia al mondo, dopo aver terminato il servizio militare.
Guttuso è stato un intellettuale precoce che ancora giovane aveva capito la differenza tra semplice pittore, ovvero colui che parla la lingua comune e l’artista, che invece parla una lingua nuova.
Se non si comprende bene questo concetto, ogni dibattito sull’arte risulterà vano.
Ma chi era Guttuso che osava tanto? Era semplicemente il sale della vita? o qualcosa di più? un fatto è certo, Guttuso è stato un predatore perenne che non badava ai dolori che si procurava per raggiungere i suoi obbiettivi!
Senza girarci intorno, va detto che Guttuso per raggiungere il successo giustificava anche metodi poco ortodossi, e per questo, sono certo che in animo suo qualche pentimento se l’è portato dietro (penso al trattamento che riservò agli amici di “Forma 1”, ma anche a Sciascia, Vittorini ed altri, con i quali ebbe contrasti nel corso degli anni per difendere tout court il Partito comunista).
Infatti, se ci avete fatto caso, Renato aveva sempre un aspetto tenebroso da filosofo pensatore e solo quando incrociava lo sguardo di un fedele amico, conscio di ricevere comprensione, accennava ad un leggero sorriso. Segno che le ferite da tradimento non gli si erano mai del tutto rimarginate.
Anche se nessuno l’ha mai detto, nel radioso futuro di Guttuso c’è l’aria che respirava nello studio di Lucio Fontana! Io a questo fatto do molta importanza, perche considero la summa di idee, dibattiti, riflessioni e sperimentazioni, che in quello scantinato albergavano, la chiave dei suoi quadri migliori. (D’altronde,non è forse stato Fontana a dare la sveglia al mondo dell’arte?!).
In quel contesto in quegli anni gli artisti venivano forgiati, dove chi aveva più esperienza formava meglio di chi ne aveva meno. Con queste premesse, Guttuso, ancora fresco di militare, quindi abituato a rispettare e a farsi rispettare, non tardò a trovare la sua strada, grazie anche al suo talento.
Non bisogna dimenticare nemmeno gli anni della formazione, quelli che preoccuparono la madre per la mancata laurea, quando Guttuso anziché frequentare l’università andava dal Maestro Pippo Rizzo per apprendere il mestiere di pittore.
Per fortuna come si sa il tempo è galantuomo e riservò il conforto a Gina, la mamma di Renato, che così poté dire di suo figlio: “Artista di gran merito”. Infatti, con l’opera “Crocifissione” del 1941, Guttuso è come fosse “laureato” artista!
Resta comunque un fatto, per Guttuso, nel bene e nel male, questa è stata la sua vita: quella che lui ha liberamente scelto, per questo va raccontata così com’è. Chiunque prova a cambiarla è uno sciocco: “Ognuno è quello che fa, non quello che dice di essere”.