Ci eravamo abituati al non-sense dei congegni Dada e all’allusività di quelli Surrealisti, alle macchine autodistruttive firmate da Jean Tinguely e quelle inutili di Bruno Munari. Proiettati verso la perdita della funzione per l’affermazione del concetto e dell’identità estetica dell’oggetto automatizzato, la produzione artistica degli ultimi anni aveva forse tralasciato l’ambito delle scienze naturali e umane nel quale la tecnologia induce la natura a rivelare le sue forme e i suoi meccanismi, recuperando un sapere che ha le sue radici nella cultura rinascimentale.
Con Passing the Moon of Evidence, allo Studio Trisorio, Rebecca Horn introduce alla sua personale versione dell’armonia dell’universo. Il battito delle ali di farfalle animate da un congegno meccanico e trattenute in teche di vetro, il movimento di uno specchio e di una lente trasparente attorno a una pietra lavica, sono gli oggetti di un discorso attorno alla fragilità e all’immensità della natura. Le opere si presentano come prototipi dell’aspirazione alla conoscenza di un tema così umano eppure sovrastorico: la riproduzione dell’organizzazione dell’universo, delle sue geometrie e dei suoi ritmi, realizzata per mezzo del conferimento del soffio vitale artificiale che permette a oggetti statici di simulare il comportamento della natura. La forza dalle sculture meccaniche della Horn ricalca il moto armonico della vita, i suoi silenzi, le sue pause. Mentre Im Kreis sich drehen è interamente costruita attorno al concetto di caducità e di provvisorietà, Aus dem Mittelater entwurzelt cerca l’ordine e la misura di tutte le cose. Ideato come un doppio pendolo rovesciato, le sue aste dorate sono piantate in scarpe di bronzo dai richiami medievali e oscillano senza mai toccarsi. Ancora sulla caducità sembra insistere l’acrilico e matita su carta Portrait of Gesualdo, nel cui titolo riconosciamo il richiamo alla storia sanguinosa e appassionata del nobile Carlo Gesualdo da Venosa, nobile napoletano e compositore di indimenticabili madrigali al quale la Horn ha già dedicato altri lavori, in particolare le scenografie, i costumi e le scenografie dell’opera Luci mie Traditrici, scritta dal compositore Salvatore Sciarrino. Parallelamente, la scelta dei materiali – i sottili rami, le foglie d’oro, la pietra, il vetro – sembra invitarci nel laboratorio di un alchimista, in cui sono presenti tutti gli elementi utili per raccontare e riprodurre i segreti del cosmo, dalle traiettorie degli astri, alla geometria delle forme di vita più esili. Oltre la rigidità della scultura, prima della performance, al di là dell’installazione, così le opere della Horn stabiliscono un proprio rapporto con lo spazio e i grandi temi che connotano la ricerca dell’animo umano. Una tensione che è riconoscibile anche nei disegni su carta che rivelano rara profondità, affidata alla più classica delle tecniche e al piccolo formato.