Due anni fa, alle eleganti Fabbriche, in esordio del premio, ci siamo lasciati con un podio variopinto. Non poteva essere altrimenti. E forse, il risultato, ha anche accontentato il gusto di molti. Per un rapido ricordo. La medaglia più luminosa, e le preferenze della giuria popolare (senza alcuna sorpresa, almeno per il sottoscritto e pochi altri, che “indovinarono” il vincitore alcuni secondi dopo l’inaugurazione), andarono allo scultore palermitano Daniele Franzella, con “Qualcuno non sia solo”, i piccoli e divertentissimi circensi in terracotta, tutti con lo sguardo rivolto all’esposizione intera, a essi sottostante; oggi si può leggere tale scelta curatoriale con fantasia. Secondi arrivarono i gemelli catanesi Carlo e Fabio Ingrassia, con “Astrazione novecentista”, due enormi cornici che contenevano, ognuna, un piccolo e delicato pastello. Terzo, infine, il palermitano Stefano Cumia, con un trittico informale quanto i titoli che identificavano i singoli dipinti, cioè “SCP TOV 3K, SCP RO 4K, SCP TOB 4K”.
Quest’anno le Fabbriche Chiaramontane di Agrigento, la cui attività conta ormai quindici anni di carriera, divenendo sempre più in modo evidente un osservatorio per l’arte contemporanea (notevole è lo sforzo di questi ultimi tempi, di porre attenzione e mettere in categorie precise le produzioni, a partire dagli anni Settanta), ripropongono nuovamente il “Premio Fam giovani per le arti visive”. Premio che quasi accantona per un attimo – non completamente, è chiaro- l’antagonismo che da sempre contraddistingue il motore dell’arte, privilegiando l’aspetto di mera obiettività scientifica, quale utile momento di ricerca nel territorio siciliano. La commissione selezionatrice, nutrita, è composta da Alessandro Bazan, Giusi Diana, Enzo Fiammetta, Daniele Franzella, Giuseppe Frazzetto, Francesco Galvagno, Alfonso Leto, Massimo Ligreggi, Valeria Li Vigni, Ezio Pagano, Francesco Pantaleone, Filippo Pappalardo, Giacomo Rizzo, Giovanni Rizzuto, Antonio Sarnari, Sergio Troisi. I giurati che il 19 novembre decreteranno i tre vincitori, invece, sono il direttore di Arte Mondadori Michele Bonuomo, il collezionista Giovanni Giuliani e il curatore Marco Meneguzzo, affiancati da altri esperti. Previsto anche stavolta il premio della giuria popolare, dedicato all’artista siciliano Giusto Sucato, recentemente scomparso. Entrando nel dettaglio. I trentadue artisti di questa seconda edizione si presentano un po’ come trentadue racconti del 2016: complesso, violento, in cerca di aiuto (sempre più germanizzato?). La pluralità dei linguaggi è la caratteristica più evidente. E merito va a coloro che hanno “cucito” la mostra, perché, nella babele artistica delle produzioni contemporanee, sono stati in grado di accordare bene le varie tonalità “foniche”. L’umore globale della sala ha sorrisi amari in alcuni lati, teneri a margine, poche o brevi pennellate “in maggiore”, e spesso soluzioni annaffiate da visioni fedeli alla storia che viviamo, scricchiolante fino a sentire sulla pelle il senso precario. Gli under 35 siculi, insomma, attivi, con la volontà di dire la loro, valicando qualsiasi prefigurazione stilistica, non passano nulla attraverso i filtri delle retoriche. Qui, più che la semplice armonia delle forme, e delle idee da esse rivestite, pare proprio proprio che la speculazione su ciò che potrebbe ancora essere umano, storico, oggetto di intimo dialogo, fa da protagonista. Lo sguardo al passato non manca: sia in certe declinazioni tecniche che in luminosissime citazioni. E l’invenzione diventa una costante di cui si è a caccia. La sintesi -a caldo- è che, probabilmente, gli artisti questa realtà non la digeriscono affatto. E sulla loro indigestione, che per natura sarebbero deputati a un’interpretazione maggiore della realtà, ci sarebbe da riflettere. Tanto. Poi, quando avremo i vincitori, appureremo.