Si può imparare a diventare artista? E come lo si può insegnare? Si chiedeva Louise Bourgeois in un intervento del 1994 sul Talento innato, nel quale concludeva che non è possibile diventare artisti. Tuttavia, una serie di domande affiora, riflettendo sull’assetto delle Accademie di Belle Arti, sui luoghi che fanno della creatività e della creazione il loro campo d’azione e d’indagine. Un campo vasto che apre la porta a molteplici valutazioni, partendo dal presupposto che l’arte si manifesta sotto forme differenti, rivendicando per sé innumerevoli sfaccettature, strategie, approcci, metodologie, che rivelano il modo di fare personale dell’artista, ma non una oggettività che conduce con certezza ad una strada univoca. Ne deriva che l’insegnamento dell’arte sia ugualmente sfaccettato ed espliciti lo sguardo di chi insegna, più che una possibile univocità, che sembra essere piuttosto un’illusione.
La pratica di insegnamento – e l’arte nel suo farsi – procedono per tentativi ed errori, quasi secondo il metodo ipotetico-deduttivo teorizzato da Karl Popper. Parafrasando il filosofo austriaco, è importante saper domandare, mettere alla prova, falsificare (per citare una definizione popperiana), le proprie visioni sul mondo. Allo stesso modo, è fondamentale saper domandare agli altri – agli allievi – attraverso uno scambio dialettico o dialogico. Questo presupposto, mi fa credere che l’insegnamento, soprattutto quello artistico, sia una pratica d’incontro in cui sono in campo due soggettività particolari a confronto; ognuna armata delle proprie ipotesi, pronta a formulare domande, a cercare risposte. Nella mia “ipotesi”, l’insegnamento lascia posto alla trasmissione di energia creativa e di conoscenze, ruotando la prospettiva di verticalità – nella relazione – in favore dell’orizzontalità, attraverso il contatto diretto con gli studenti. Nella continua modulazione di frequenza nella trasmissione tra docente e allievo, si esplica la possibilità di veicolare l’esperienza e la professionalità, che hanno a che fare con l’apprendimento, la pratica, la ricerca, la produzione, la costanza, la determinazione, ma soprattutto con la capacità di imparare a vedere per rielaborare. E forse Bourgeois aveva ragione: non si può insegnare ad essere artisti, ma si può sollecitare il pensiero ad afferrare le potenzialità “visive” del reale intorno, per scegliere ed eleggere porzioni di realtà, piegandole secondo immaginazione, nel senso più ampio possibile, e sensibilità individuale. Farle proprie e convogliarle nella propria ricerca è il passo successivo, verso il quale direzionarsi.
La mostra #POST_STUDIO presso la Fondazione Studio Carrieri Noesi di Martina Franca, che si avvale del coordinamento di Mariagrazia Pontorno, fornisce un esempio di quanto appena detto: ad essere esposti sono i progetti didattici realizzati dagli allievi dei corsi di Cristian Biasci, Raffaele Fiorella, Marco Neri, Mariagrazia Pontorno, Giuseppe Teofilo, Luca Vele (che insegnano presso l’Accademia di Belle Arti di Foggia), ampiamente supportati dall’artista Piero Di Terlizzi durante la sua direzione.
E così la mostra offre la possibilità di confrontarsi con il mondo della didattica, ma ancora di più di riflettere sullo scambio possibile tra docente e discente. Installazioni site specific per la città, una web serie (che vanta il sostegno del Cineporto di Foggia), wall paintings e wall drawings, un progetto realizzato in occasione dello storico evento Fuori Uso di Pescara, sono i lavori esposti, parti integranti delle attività svolte da questi artisti nel loro ruolo di docenti in Accademia e che, contemporaneamente, sono state banco d’esperienza per gli allievi. Una mostra che parla di didattica quindi, ma che soprattutto ricostruisce l’esperienza e le voci collettive dei docenti, accomunate dal tentativo di proporre spunti di riflessione sul difficile e delicato “mestiere” dell’arte.