Descrivere una mostra con le parole potrebbe sembrare un atto semplice e naturale, ma arrivare al cuore delle persone, emozionarle attraverso termini eleganti, definizioni ed espressioni potenzialmente con la stessa forza delle opere di Eugenio Tibaldi per Più là che Abruzzi, mi sembra quasi uno sforzo impossibile. Mai come in questo caso l’arte contemporanea sembra una favola. Una favola, tuttavia, che ha a che fare con la realtà, con il vivere e con il quotidiano più di quanto non si possa immaginare. Una favola perché in questa parola, dal latino fabula: “far, faris”, ossia dire, raccontare (due termini che ora si presentano come sinonimi, ma che in verità circoscrivono significati ben precisi e non scambiabili), si cela tanto la narrazione di possibili fatti inventati, quanto la rappresentazione degli elementi di una storia considerati nel loro ordine logico e cronologico.
Partiamo pertanto dalla constatazione che noi oggi osserviamo solo l’atto ultimo di un lungo percorso e processo che ha portato l’artista all’allestimento di questa mostra, ma per comprendere cosa davvero rappresentano le opere che vediamo non possiamo non fare un passo indietro.
Sicché, se per ipotesi volessimo seguire lo schema di Propp per analizzare il tutto, bisognerebbe cominciare necessariamente dall’esordio (equilibrio iniziale). Più là che Abruzzi, a cura di Simone Ciglia, ha inaugurato lo scorso 26 gennaio al Museo Michetti – Mu.Mi di Francavilla al mare; una manifestazione promossa dall’associazione Humanitas presieduta da Elena Petruzzi, con partner Villa Maria Hotel & SPA e Comune di Francavilla al mare.
L’esordio della mostra si colloca nell’emissione del bando pubblico Abruzzo Include, emanato nel 2018 dalla Regione Abruzzo (ente capofila il Comune di Francavilla) e indirizzato a soggetti svantaggiati, coinvolti in un programma di tirocini lavorativi in aziende del territorio, volto a favorire l’inclusione sociale.
È nei temi sollevati dal bando (che potremmo identificare idealmente come il mandante – ovvero quel personaggio – che trasliamo metaforicamente nel bando stesso – che rende comprensibile una mancanza all’eroe/artista) che il protagonista di questa storia (l’eroe – ovvero l’artista Tibaldi) trova la chiave (l’oggetto magico – cioè la sua intuizione) per indagare la questione della marginalità in un territorio: l’Abruzzo (il luogo fantastico) che non conosce e teoricamente non gli appartiene, coadiuvato e sostenuto da Simone Ciglia (l’aiutante – che per l’appunto assiste l’eroe-artista nella sua ricerca).
Non sto, affatto, banalizzando ma invero cercando una chiave interpretativa che possa restituire innanzi tutto il senso della storia e della narrazione che si accompagna a questa esposizione e che, come vedremo a breve, sostiene concettualmente gli oggetti e le immagini prodotte da Tibaldi, senza le quali qualsiasi esercizio critico sarebbe nullo.
Per chi conosce l’artista, sa che sin dagli esordi la sua poetica e il suo agire si strutturano intorno ai processi che riguardano il margine, il confine, il bordo, la periferia – sperimentando modalità per convogliarli e rifletterli nel suo lavoro (Caliandro, 2018). In questo specifico caso però, si potrebbe dire che Tibaldi sia riuscito ad andare ancora oltre, non solo assorbendo fragilità, punti di crisi e fratture di un sociale determinato ma facendo si che questo, ovvero l’Abruzzo, si mostri come cartina di tornasole per leggere qualsiasi altra situazione analoga, simile o addirittura e paradossalmente diversa di qualsiasi luogo “periferico” d’Italia. Per questo Più là che Abruzzi, dove il comparativo di maggioranza diventa esemplificativo di una situazione nazionale, collettiva e inaspettatamente condivisa.
C’è comunque un questionario da cui nasce tutto. Uno strumento di lavoro statistico (notoriamente utilizzato in qualsiasi indagine di carattere antropologico per la raccolta dati) compilato in forma anonima (ma non per chi lo aveva scritto – l’artista – che dichiarava la propria identità e le proprie intenzioni) attraverso il quale è stato possibile realizzare una fotografia delle prospettive delle persone coinvolte rispetto al luogo di residenza. Domande semplici, hanno spiegato Tibaldi e Ciglia in un incontro prezioso presso lo Spazio Matta di Pescara la mattina prima dell’inaugurazione, in cui sono emersi piccoli ma intensi dettagli affatto marginali alla storia. Domande che hanno fatto emergere il sentimento di attaccamento alla propria terra d’origine da parte di molti, speranze, desideri, passioni e non, ma anche e soprattutto particolari appartenenti a un vissuto personale nel quale, lo stesso artista è riuscito a riconoscersi, universalizzando – si potrebbe dire – tale sentimento.
Un esempio: l’odore delle case di provincia, ci dice, è diverso da quello delle abitazioni di città. Sicché negli odori, certamente diversi e personali per ciascuno, Tibaldi ha rintracciato un comune denominatore fra l’Abruzzo – Regione ospite e la sua casa d’infanzia di origine di Alba. Insomma, l’Abruzzo non è poi così diverso dal Piemonte per certe cose. Da qui la realizzazione di un primo gruppo di opere in mostra. Cosa, ancora più interessante però, sono proprio quelle realizzate in loco, i cui oggetti sono stati scelti sempre attraverso l’analisi dei dati raccolti immaginati – se vogliamo – come residui ideali di riconoscimento dell’individuo/collettività.
Per fare un esempio concreto: se nell’analisi delle risposte Tibaldi ha letto di un particolare coltello da macellaio, egli ha ricercato proprio quello, tentando in tal senso di dare origine, nella successiva e quasi surreale composizione delle installazioni (quelle al piano inferiore del MuMi) qualcosa che trattenesse la traccia concreta di una realtà/verità. Non dei ready-made sia chiaro, ma oggetti/installazioni dove, la responsabilità finale dell’artista nel processo creativo viene ritenuta fondamentale. La sua pratica, afferma Tibaldi, è «simile a quella di un pittore che dipinge o costruisce la sua immagine con una tavolozza di colori determinati dal momento storico e dal luogo ma non declina la responsabilità estetica del risultato finale».
A questo punto, per continuarla con Propp, è nel processo della raccolta dati, nell’approdo al MuMi, un Museo decisamente anomalo nel panorama italiano per via della sua architettura inadatta ad una classica esposizione, nel contatto con una comunità territoriale: il Comune di Francavilla, i suoi abitanti etc. che abbiamo la rottura dell’equilibrio iniziale (movente o complicazione).
Da qui le peripezie dell’eroe/artista, ma anche del suo aiutante/curatore, che scopre, nelle difficoltà di inserirsi in un determinato contesto, in quelle di comunicazione con tutti gli attori coinvolti, nelle persone che utilizzano il museo per qualsiasi attività culturale, la bellezza di un processo artistico che non smette mai di modificarsi e rigenerarsi.
Nella conclusione abbiamo il ristabilimento dell’equilibrio e l’opportunità di godere di una mostra unica e anomala allo stesso tempo dove, incredibilmente Più là che Abruzzi scopriamo essere un’esposizione che parla anche di noi.
All’artista, in fondo, si chiede ancora oggi di narrare storie, di costruire racconti che possano mostrarci non solo chi siamo ma cosa potremmo diventare, allora in questo specifico contesto la figura di Tibaldi appare più che magistrale, poiché egli è, così come affermava Marshall McLuhan, l’unico in grado di «scrivere una minuziosa storia del futuro perché è la sola persona consapevole della natura del presente».
La mostra si completa infine al piano superiore con alcune opere note di Tibaldi oltre che dei progetti delle installazioni: Questione d’appartenenza (2015), un ciclo di lavori dedicati all’abitare informale a Napoli, città in cui Tibaldi ha vissuto per sedici anni; Seconda chance (2016- 2018), progetto concepito per la mostra personale al museo Ettore Fico di Torino nato da uno studio del quartiere “Barriera di Milano” a Torino, i cui abitanti sono stati invitati a donare oggetti dismessi; Inclusio (2017-2018), realizzato per la società Dolce di Bologna, una cooperativa sociale che si occupa di servizi alla persona, ai cui dipendenti l’artista ha chiesto di inviare immagini di particolari della propria abitazione e del luogo che suscitano loro disagio; Architettura minima (2012), una ricerca, tuttora in corso, sui ricoveri di fortuna dei senzatetto in tutta Italia.
Più là che Abruzzi
Eugenio Tibaldi
a cura di Simone Ciglia
MuMi Museo Michetti,
Piazza S. Domenico, 1, 66023 Francavilla al Mare CH
Fino al 10 marzo 2019
Orari: mart-ven 10-12 e 17-20; sab e dom 17-21
Ente promotore: Associazione culturale Humanitas
Partner: Comune di Francavilla al mare
Sponsor: Cantina Tollo, Integra – soluzioni d’insieme, Villa Maria Hotel & SPA
Sponsor tecnici: Bontempo, Girolimetti costruzioni
Patrocinio: Cciaa Camera di commercio Chieti Pescara, Confindustria Chieti Pescara
Alto patrocinio: Regione Abruzzo