La difficoltà in cui l’artista si trova ad affrontare la pagina bianca è cosa ben nota; talvolta capita anche ai critici. Sul Bianco sono stati versati fiumi di inchiostro che pure non sono stati sufficienti a macchiare la fermezza e la spaventosa assolutezza di questo non-colore. Il cinema di Fellini, il vuoto di Mallarmè, e frugando più a fondo nella soffitta del Passato, doveroso citare il bianco accecante e pannoso di Orazio Gentileschi e tutta la statuaria Rinascimentale e Barocca che sul candore marmoreo ha coniato un elemento di distinguo inarrivabile; qualcuno rievocherà la gaffe storiografica del Winckelmann che vedeva nel Bianco delle statue antiche una scelta apposita, mentre la maturità scientifica ottocentesca dimostrerà proprio il contrario. Quest’ultimo aneddoto, un corto-circuito, è significativo per introdurre l’operato di Carlo Rea, artista poliedrico capace di mirabili paradossi.
Come si può apprezzare nella mostra allestita nella Galleria Tornabuoni, che da quest’occasione si trasferisce da via Maggio al primo piano della galleria principale, in via Benvenuto Cellini, il Bianco non è l’unica cromìa utilizzata da Carlo Rea ma sicuramente è quella dominante, quella che contiene tutte le altre. La singolarità, poc’anzi accennata, verte, indubbio, sul suo percorso artistico cominciato e maturato nella musica, ma non solo: le opere di Rea urlano tutta la loro mutevolezza e vitalità attraverso una contrastante eleganza e quiete. La volontà di dar corpo al suo “sentire” nasce negli anni Ottanta, a Roma, grazie alle felici frequentazioni con il vivace ambiente culturale, iniettato di Transavanguardia: cercando una sintesi formale, Rea crea le sue Partiture visuali che possono essere solo guardate, disegni a base di grafia musicale, in cui l’annotazione diviene forma pittorica. Da quel momento lo studio della musica e la pratica della pittura si fondono in lui in un unico linguaggio.
La Ricerca di Rea sembra allacciarsi concettualmente alla mousikè greca, l’apparato di Arti “mortali” (Musica, Danza, Poesia, Teatro) perché espresse tramite una durata, un arco temporale: la riflessione sul tempo è fondamentale per la sua arte, perché indaga sulla dimensione fisica dell’opera in un periodo scandito, sul suo divenire impercettibile al di là della condizione spaziale. Riprendendo Kandinskij, si può ricordare come il Bianco suggerisca musicalmente un senso di Silenzio e Pausa.
Quindi Carlo Rea riesce a creare Pause “rumorose”, nella raffinata acutezza di rompere l’equilibrio fluttuante di un percorso artistico. Il tempo si astrae, perde la sua dimensione fisica e riecheggia l’impermanenza, che nelle filosofie orientali (Anitya) è lo stato di consapevolezza precedente la sofferenza: Rea congela quell’attimo prima della straziante agonia del Bianco, crea la quiete prima della coscienza, la folgore prima del tuono. Il bisogno dell’artista di toccare l’impalpabile ha dato vita ai suoi ultimissimi lavori, esposti nella mostra, titolati Spore, vibrazioni della materia che dialogano con i lavori di garze sovrapposte di Deleuzeiana memoria.
Suggerisce Bruno Corà, curatore dell’esposizione, una citazione di Henri Bergson sulla “durata” in relazione al “vissuto”: « Al di fuori di me, nello spazio c’è un’unica posizione della lancetta e del pendolo, perché delle posizioni passate non resta nulla. Dentro di me si svolge un processo di organizzazione o di mutua compenetrazione dei fatti di coscienza, che costituisce la vera durata ». L’arte di Rea, pertanto, è un bellissimo paradosso o inganno, speculare all’arte Cinematografica che, ingannando la nostra percezione di 24 fotogrammi per secondo, regala l’illusione di un movimento, di un vissuto.
CARLO REA
Fino al 22 luglio 2017
Firenze, Lungarno Benvenuto Cellini 3
Info: Tornabuoni Arte
Lungarno Benvenuto Cellini, 3 – 50125 Firenze
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e.mail: contemporary@tornabuoniarte.it
Orari apertura mostra:
dal Lunedì al Venerdì (9.00-13.00/15.30-19.30)
Sabato (11.00-19.00) ingresso libero