Di Paolo Flores d’Arcais si è inaugurata a Genova, in Spazio 46 di Palazzo Ducale, una mostra, in prima nazionale, a cura di Virginia Monteverde dall’epico titolo Pittura pittura! Femmine, pugili e anche un Papa. Un corpo a corpo materico di cromatismi accesi in cui si divincolano prorompenti figure femminili, si sfidano presenze maschili sul ring, si affaccia su fondo rosso un papa dai lineamenti slavi, si decostruiscono costruttivamente incisivi ritratti di Beckett e Popper. Stilemi compositivi e formali, i suoi, che non possono non rinviare, al primo impatto, a Francis Bacon, a Willem De Kooning, al Tàpies di certi neri segni crociati.
Una dedica, venti citazioni poetiche intorno al corpo femminile, all’eros, al piacere, che intitolano le rispettive opere con versi da Baudelaire, Belli, Byron, Cantico dei Cantici, Cassius Clay, Donne, Ginsberg, Omero, Ovidio, Pindaro, Rimbaud, Saffo,Teocrito, Valduga, Verlaine, Vian, Virgilio, Whitman, un catalogo bilingue, edizioni liberodiscrivere, introdotto dal testo dello stesso filosofo/artista, con un contributo di Tomaso Montanari dal titolo fortemente allusivo Mucha alma en carne viva, corredato dal testo critico di Matteo Fochessati. I titoli sono indizi atti a suggerire sensi di possibile lettura delle opere cui si riferiscono. Nell’acrilico su cartoncino del 1999 dedicato ai versi di Saffo Fiammeggia nel ventre, nella mente distorta…il fuoco ribelle della fiamma contorta, tratti da Amore Malato, in alto, a destra di un giovane volto femminile, si profila il riquadro di un foglio strappato in cui una mano infantile ha disegnato tre case del tetto in fiamme, un carro armato e una coppia di bimbi che si tendono la mano; lo sfondo è delineato su riquadrature che possono rinviare, con eleganza, a Richard Diebenkorn.
Paolo Flores D’Arcais, casualmente nato, come non manca di rammentare, a Cervignano del Friuli nel 1944, residente a Roma, ateo, comunista precoce, transitato presto nella Quarta Internazionale trotskista, ideatore della rivista MicroMega, scrittore connotato da un irrinunciabile impegno politico e sociale, radicale esponente del materialismo, si confronta immediatamente, nel suo testo, con la questione della legittimazione del valore nell’opera d’arte contemporanea, in una società occidentale di massa a capitalismo avanzato, divenuta cinicamente stoccaggio di beni rifugio che cercano nel mercato il loro indiscusso garante. La sua è un’accorata denuncia dei feticci di una società in cui il primo a divenire oggetto di consumo è l’individuo. Come non ricordare che Georg Simmel , filosofo tedesco, aveva già intravisto, nell’era post-industriale, insorgere il rischio di una stregata sociologia dell’apparenza?
La sua Weltanschauung condivide, nel sociale, l’attivismo di scrittori e intellettuali come Albert Camus e Hannah Arendt, nell’arte la dimensione libera e selvaggia di esponenti europei di CoBrA, del Situazionismo, come Jorn, Appel, Constant, l’Espressionismo astratto americano di un certo Pollock, di De Kooning, l’espressionismo nero, gestuale, astratto, del veneziano Emilio Vedova. La pittura pittura di Flores d’Arcais, detta due volte per essere ribadita con forza, è un modo per far scaturire un cosmo figurale da un caos orgiastico di colore, iniziata da un casuale ritaglio fotografico che ha attratto l’artista divenendo un segno da cui muovere, un segnale di partenza per una jam session in virtuale clima New Orleans. L’artista dà corpo al corpo con una libertà espressiva e liberatoria individuabile anche in maestri che l’hanno preceduto, ma non per questo meno sua e autentica. Visualizza sulla tela, accanto a un ombelico, un pube, un avambraccio, una coscia, con evidenza cromatica, croci, frecce, tondi, segni non identificabili: tutti indici di un nulla, di un tutto in via di aggregazione e disgregazione. La pittura di Paolo Flores d’Arcais, come le journal intime di Roland Barthes, si realizza e cancella accadendo: è una scarica di energia, una pagina di vita, una rammemorazione di intensità dionisiache in fuga da qualsiasi pretesa di teorizzazione.