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Ossessioni e cromatismi fluo – Intervista a Corinne Mazzoli



Provare a trasmettere in poche parole la pratica artistica di Corinne Mazzoli è un’impresa non da poco. La Mazzoli è un’artista a trecentosessanta gradi: performer, videomaker, sound artist. Crea installazioni, partendo dal concept e arrivando fino alla parte manuale. Costruisce scenari fantasy e onirici, il tutto condito da un’ampia dose di trash e fluorescenza. Porta all’estremo il kitsch, rendendolo, però, quasi l’elemento più normale all’interno della sua narrazione non-sense.
Nata a La Spezia nel 1984, è veneziana d’adozione. Ha compiuto la seconda parte dei suoi studi allo IUAV di Venezia e, successivamente, è stata una degli artisti in residenza alla Fondazione Bevilacqua La Masa, dove ha vinto il Premio Stonefly nel 2013.
I suoi contenuti partono da una fusione tra influenze quotidiane e contemporanee, quelle che generano delle tendenze ossessive. Le trasmette, poi, a livello visivo, prendendo spunto dalla viralità di YouTube e da tecniche come quella della postproduzione.
La sua estetica è forte, strettamente da videoclip, e incarna così uno standard tipico di alcuni dei giovani artisti nati negli anni Ottanta. La cultura alta si amalgama con quella bassa, dando origine a miscugli stridenti ed efficaci allo stesso tempo.
Nel dialogo qui di seguito, abbiamo cercato di snocciolare alcuni dei punti più importanti della sua ricerca.




Giada Pellicari: Partiamo da Orbita Zero, il tuo ultimo progetto. In una conversazione privata me l’hai descritto così: “Siamo in un mondo alternativo in cui le ballerine di Pole Dance sono addestrate ad innescare armi soniche”. Perché hai scelto di creare un connubio tra la Pole Dance e il Theremin? In cosa consisteva la performance?

Corinne Mazzoli: Inizialmente mi piaceva la semplice idea di avere un Theremin gigante da far suonare con tutto il corpo. Il Theremin è uno strumento musicale elettronico nato in origine per uso militare, che si suona senza la necessità di un contatto fisico. Di conseguenza, una ballerina avrebbe dovuto muoversi attorno ad esso. Successivamente ho riflettuto sul contrasto che il contatto fisico avrebbe potuto generare a contatto con il palo, quindi la Pole Dance mi è sembrata perfetta per dare origine a un set stridente. Con l’aiuto di Raffaello Bisso, ho “creato” un Theremin gigante, una sorta di arma sonica da innescare per mezzo di figure di Pole Dance.
La ballerina doveva comportarsi come un soldato: ad ogni mio ordine aveva l’obbligo di salire sul palo, eseguire la figura e tornare in posizione. Il palo reagiva alla sua vicinanza emettendo fischi e suoni di varia natura.



G.P: In passato hai realizzato dei video e delle performance come Tutorial #1: How to get a Thigh Gap, con cui hai vinto il premio Stonefly, e Tutorial #2: How to Cruise with a Bruise, presentato a Live Works performance act award vol. 2, che ci parlano di donne, società, viralità di internet ed estetica. Qual è il filo conduttore tra questi due progetti e quello sulla pole dance?



C.M: Ciò che hanno in comune è creare situazioni emotivamente contrastanti: Tutorial #1′ mira alla vendita di un oggetto di tortura spacciandolo per un accessorio di bellezza, Tutorial #2′ promuove il makeup livido da sfoggiare nella vita di tutti i giorni, Orbita Zero addestra sensuali pole dancer come soldati. Quello che lega il tutto è costituito da come trattiamo il nostro corpo nel contemporaneo. Tecnicamente uno dei principali fili conduttori tra i lavori è il suono, generalmente ostile all’orecchio delle persone, che diviene utile a creare un contrasto con il panorama visivo. 
Le estetiche delle tre opere sono influenzate da mode e manie del momento. Ad esempio, thigh gap e colori fluo erano molto consueti nella cultura contemporanea quando ho filmato Tutorial #1′. Orbita Zero, invece, adotta l’estetica del pattern camouflage, talmente diffuso e sdoganato nel quotidiano, da divenire un pezzo d’abbigliamento fashion da sfoggiare.

G.P: Qual è il ruolo del pubblico nei tuoi progetti e come reagisce?

C.M: Credo che il pubblico venga accarezzato dalle immagini e preso d’assalto dai rumori. Vedo che di solito le persone si tappano le orecchie ma non abbandonano il campo. Direi che è positivo?

G.P: Spesso le tue performance sembrano delle narrazioni anacronistiche e apparentemente nonsense. In realtà, invece, sono molto stratificate e con diversi riferimenti. La fantascienza, ad esempio, è uno di questi. Spiegaci come nascono a livello visivo e contenutistico i tuoi lavori.

C.M: Solitamente parto da piccole ispirazioni che si trasformano in ossessioni. Orbita Zero è nata grazie a un racconto di JG Ballard, Le Sculture Canore, in cui sculture soniche reagiscono alla presenza di osservatori, sintonizzandosi sui loro differenti ‘profili sonici’ e, in base ad essi, emettono dei ticchettii, rumori, armonie, melodie, ecc. La scultura protagonista del racconto si chiama Orbita Zero. Da qui l’idea di creare un Theremin gigante e chiamarlo con lo stesso nome. 
L’associazione tra pole dance e militarismo è avvenuta in seguito a un incredibile mese di lezioni di Pole Dance. Ballavamo su basi Metal e l’insegnante urlava “muovete quei culi”. Mi sentivo come in Full Metal Jacket!
Per la creazione della scena ho intrapreso studi sull’utilizzo e diffusione del pattern camouflage nei capi di abbigliamento e accessori alla moda. Dal pattern sono risalita alle strategie di dissimulazione e di occultamento tipiche del mondo animale, adottate in ambito militare come modello di guerra. Inganno visivo e sonoro sono le basi sulle quali ho costruito la performance.
Devo le armi soniche a Steve Goodman e al suo libro Sonic Warfare.



G.P: La tua pratica artistica si può descrivere con alcuni termini a prima vista senza connessioni: fluorescenza, trash, ossessioni, internet. Sei un’artista che lavora con i meccanismi come postproduzione, YouTube, musica underground, riconvertiti, però, in un’estetica fluo e costumi cyberpunk.  Cosa ti interessa comunicare con i tuoi progetti? Quali sono i ruoli del video, dell’audio e della performance nel rappresentare tutti questi elementi?

C.M: Miro a far riflettere su problematiche legate alla rappresentazione e al posizionamento della donna all’interno della società moderna. La performance è un mezzo importante perché insegna, a me in primis, le problematiche del suo collocarsi.
Studio i comportamenti, le manie, le mode passeggere, le attitudini delle persone. Inoltre, gioco alla creazione di mondi alternativi. Il montaggio video, in questo, è fondamentale, mi aiuta a rafforzare messaggi inesistenti. Distribuisco slogan vuoti e frasi fatte tipiche del sistema pubblicitario, e le trasmetto tramite l’uso di immagini, locandine, video, performance.  Collaboro spesso con musicisti Noise e Power Electronics che trattano nella sua forma più pura il rumore, che tendo ad accostare a immagini sessualmente intriganti o estremamente trash.

Giada Pellicari

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