Secondo alcune stime, circa il 97% degli italiani, di entrambi i sessi e di età compresa tra i quindici e i settant’anni, effettuano almeno una volta la settimana l’accesso a siti con contenuti pornografici. Tra i tanti siti offerti dalla rete, Pornhub è il più frequentato. Non sai cos’è Pornhub? Be’, sì, certo: tu appartieni sicuramente a quel 2% che, invece, almeno una volta la settimana effettua l’accesso a riviste d’arte tipo Segno, Exibart, ecc. Ma non allarmarti; ti spiego tutto, con molto piacere.
Pornhub è un sito porno, creato da Matt Keezer nel 2007. La sede legale si trova a Montréal, in Canada. Dal suo lancio a oggi è uno dei più visitati al mondo; più di Artforum, dagospia.com e quelli di poker online, probabilmente. Lo slogan, molto carino, è «It makes your dick bigger and your pussy wet». Tradotta in italiano, questa frase annuncia al visitatore un divertimento assicurato. E ovviamente bagnato.
L’home page ha un aspetto solenne. Un fondo nero, capeggiato in alto dal logo della testata, racchiuso in un tenace rettangolo, diviso al suo interno in due parti: a sinistra c’è la scritta “Porn“, in bianco; a destra la scritta “hub“, avvolta da uno flemmatico giallino, molto somigliante alla tonalità ocra presente nelle figure della grotta di Lascaux, per capirci.
Poco più in basso compaiono una serie di fermo immagine, chiamati frame: sono degli eleganti riquadri, privi di cornice, accompagnati alla base da una didascalia che riassume in poche parole il tema del filmato in questione. Alla destra del frame, un numeretto informa riguardo la durata.
Mentre sto scrivendo mi trovo su Pornhub e, tra i primi filmati, noto delle storielle parecchio ironiche: la prima si intitola “Threesome with two girl“, e racconta di un uomo africano gigante che, tenendo per i capelli due ragazzine magrissime, le costringe a battere violentemente le loro rispettive testoline; la seconda, che nella nostra lingua dovrebbe significare “A lui piace farlo così“, mostra un ragazzo con le gambe aperte mentre una donna, che avrà almeno sessant’anni, lo carezza con una mazza da baseball; la terza, infine, reca soltanto la scritta “Incredible“, e sono pienamente d’accordo con chi ha scelto il titolo.
Curiosa è la lunga lista di categories sistemate in ordine alfabetico. Si tratta di parole chiave che, cliccate, ti permettono di facilitare la ricerca dei filmati in base ai tuoi interessi. Per esempio, se cliccassi la parola chiave “Anal” assisteresti agli strabilianti utilizzi dello sfintere. Con la parola “Oral” scopriresti in che modo zittire coloro i quali aprono la bocca per dire stupidaggini. Con “Bukkake“, invece, ti faresti una cultura sull’innovativa ricerca del settore caseario. Poi, tanto per citarne alcune, ci sono le allegre feste di gruppo in “Gangbang“, le ragazze incontinenti in “Pissing“, quelle a cui piace mostrare la panza in “BBW“, i simpatici uomini con le forme femminili in “Trans“, e i “Popular with women“, i più visti dalle donne.
Ammetto con rammarico di non aver trovato la categoria che mi interessava maggiormente. Credevo, infatti, di poter guardare un filmato sulla meravigliosa installazione intitolata “Barca nostra”, del grandioso artista svizzero Christoph Büchel, senza la quale questa 58/a edizione dell’Esposizione internazionale d’arte di Venezia non avrebbe senso. Anche perché, non leggendo nulla tra le fighette riviste d’arte, ero voglioso di scoprire qualche informazione sull’opera. Vabbè, ci provo io.
“Barca nostra” è il titolo assegnato a quel famoso peschereccio libico di colore azzurro, affondato nel Canale di Sicilia il 18 aprile del 2015, recuperato a 300 metri di profondità e parcheggiato, dal 2016, presso il pontile Nato della Marina militare di Augusta. Pochi giorni fa la motonave Angelo B. ha scortato il peschereccio a Venezia, esponendolo all’Arsenale.
L’opera, di indubbio valore artistico, e mi pizzichino le Muse se così non fosse, è stata fortemente voluta dalla Fondazione e dal suo presidente «…per smuovere le coscienze»; convinti -come la maggioranza degli addetti ai lavori- che le opere d’arte invitino a far riflettere il popolino. Ed è vero, ne sono convinto. E dunque, se posso permettermi, vorrei che tutte le coscienze vengano adeguatamente “smosse” fino a esplodere in milioni di schizzi viscidi e di neuroni isterici; tutte, anche quelle coscienze che non appartengono all’elitario e classista mondo dell’arte. Del resto, le coscienze dei cosiddetti fruitori d’arte e della più infida gentaglia che vive nelle peggiori periferie condividono entrambi lo stesso piacere: il voyeurismo. Per tale motivo, a mo’ di giustiziere della comunicazione contemporanea, supplisco alla lacuna di Pornhub un filmato così composto.
Prima scena: dissolvenza; appare un peschereccio arrugginito, con circa settecento esseri umani a bordo; il peschereccio solca il mare; rumore delle onde e dei gabbiani. Schermo nero.
Seconda scena: il peschereccio, a un certo punto, comincia a imbarcare acqua; primo piano sulla gente che urla; non c’è audio; un la minore è suonato da un sax. Schermo nero.
Terza scena: il peschereccio affonda; primo piano sulle madri che affogano tenendo, come possono, i propri bambini sul pelo dell’acqua; rumore di vetri infranti; i bambini vengono ingoiati dal mare e i loro occhi esplodono di dolore. Schermo nero.
Quarta scena: un grassone vestito da marinaio, sul porto di Augusta, addenta un panino con la mortadella mentre sullo smartphone legge un articolo di arte contemporanea; poi, d’impatto, primo piano sulle operazioni di recupero del peschereccio, il quale sta per essere ripulito dai migranti, incastrati sulla stiva, e gettati dentro enormi sacconi neri; rumore di una zip. Schermo nero.
Quinta e ultima scena: il peschereccio, trainato dalla motonave, raggiunge Venezia e migliaia di teste di c***o gli danno le spalle e scattano selfie da postare su Instagram. Schermo nero. Appare la scritta “Intresting time. The end”.
Adesso è perfetto! Dopo aver reso i campi di concentramento una sorta di grigia Ibiza, l’auto di Falcone un ready made da museo, e chissà cos’altro per “smuovere” le coscienze (perché pedagogicamente non siamo in grado di farlo), la nave dei migranti mi mancava. Questi sono davvero “tempi interessanti”.
Perché sostengo oscenamente ciò? Semplice: io di arte non ne capisco nulla. Ho immaginato i sentimenti di chi in quel peschereccio è morto e che, dai fondali dei gironi infernali degli affogati in mare, laddove finiscono i migranti, sta osservando la Biennale. E insieme a lui ho avvertito la necessità di raccontare quel “dietro le quinte” della vita sociale che la coscienza borghese nasconde per non “smuoversi” troppo, accontentandosi e commuovendosi di fronte la sterile espressione estetica. Ho avvertito anche una strana voglia di distruggere il peschereccio, di renderlo polvere, di non vederlo mai più; e paradossalmente di abbracciare amorosamente chi riveste compiti istituzionali e gestisce tanto potere delegato, e trascende tutte le sacre intuizioni dell’arte, i suoi canoni, tutte le regole dell’etica della comunicazione, esprime visioni della realtà fuori dalla verità e ha sequestrato la lingua italiana per tweet dal significato distorto. Un paradossale abbraccio, che possa ricordargli quanto noi esseri umani siamo malvagi e, allo stesso tempo, quanto sia bello, rassicurante e creativo il calore umano. Così bello, rassicurante e creativo che odiare il prossimo, giocare artisticamente con la sua vita e la sua morte, o guardare semplicemente un porno o un’opera d’arte per “smuovere” il pensiero, potrebbero farti vomitare.
Lo so, lo so, immenso fruitore d’arte contemporanea. Tu vuoi soltanto la pace a casa tua, un divano comodo su cui digerire guardando dei cretini che ballano, e poter dare ogni tanto un euro alle associazioni umanitarie. Vuoi incolpare un politico a caso, incolpare qualcuno per i disastri climatici e differenziare per lasciare un pianeta ecologicamente sano. Tu vuoi i porti chiusi e le gambe aperte. Fino al più intenso dei godimenti. Smuovendo la tua coscienza e le tue “cose” per stare a galla tra la merda di questo mondo. E l’avrai, l’avrai. A questo serve l’arte e la cultura: a mantenere tutto com’è, smuovendo la coscienza su come non dovrebbe essere il “tempo interessante” che stiamo vivendo.