Segnonline è lieto di presentare la nuova rubrica OpenStudio. Nata da un’idea di Tommaso Evangelista e Serena Ribaudo, OpenStudio si prefigge lo scopo di riportare i critici e gli appassionati all’interno degli studi degli artisti e, per converso, riaprire gli studi degli artisti alla fruizione ed allo sguardo della collettività. Si dà dunque l’avvio a questo “esercizio peripatetico” in studi d’artista, in luoghi, in città differenti, sempre desiderosi di decifrare i codici artistici attraverso un bisturi analitico, lucido, di approfondimento, di escavazione.
Ad inaugurare la rubrica è stato Luciano Sozio. Dal segno alla pittura è il titolo dell’appuntamento che ha visto aprire le porte del suo studio nell’afoso pomeriggio pescarese dello scorso 22 giugno, dedicando speciali momenti di approfondimento al tema del disegno, del segno, della pittura, dell’installazione, della scienza e della tecnologia applicata all’arte.
Luciano Sozio, classe 1979, è pittore, illustratore e scultore, docente presso la Scuola Internazionale di Comics di Pescara. In attività dal 2007 vanta la partecipazione ad importanti collettive -1° Premio Morlotti 2010- e diverse personali in spazi significativi: Getting there, PAN Palazzo delle Arti di Napoli, 2014; Back Side of the Blid Spot, Museo Nazionale del Molise Castello Pandone, 2016. Hanno scritto di lui Lorenzo Canova, Alfredo Cramerotti, Tommaso Evangelista, Isabella Indolfi, Serena Ribaudo, Giorgio Seveso. Per natura schivo e apparentemente fuori dalle luci dell’art system in realtà è un instancabile sperimentatore, perennemente animato da una ricerca vitale sul segno che lo ha portato, negli anni, verso una sintesi plastica che condensa, nel disegno, le pulsioni più nascoste e vitali della sua esistenza. Sozio è un indagatore della pittura sezionata a partire dalla traccia e riversata sulla tela come purificata dalle scorie della vita e restituita autentica e innocente. Si tratta di una figurazione minima e trasognata, legata al gesto e all’indagine di lievissime sensazioni poetiche ricavate da instanti come illuminazioni.
OpenStudio oltre ad un momento di incontro e scambio all’interno degli studi prevede anche un’azione di riflessione insieme all’artista, attraverso la formula dell’intervista.
Nelle tue opere si coglie un senso vitale di leggerezza. “L’essenziale è nella semplicità” scriveva Philippe Petit al quale sovente guardi. Che rapporto c’è per te tra arte e funambolismo?
La posta in gioco naturalmente è la prima cosa che mette in dialogo l’arte con il funambolismo. Ovvero la propria vita con tutto il suo tempo. Cercare di essere in ogni segno e diventare ogni sfumatura. Dall’ esterno potrebbe sembrare solo un bel gioco ma è molto di più. “Il vero funambolo -dice Philippe Petit- porta sulla sua linea tutto ciò che sa della terra. Evita i movimenti che lo spazio non tollera e raccoglie gli altri in una sequenza che leviga, affina, alleggerisce e stringe prima di tutto contro sé stesso. Ogni giorno tenta di addomesticare un nuovo elemento”
Nella tua ultima produzione legata al disegno, il segno si condensa in una dimensione apparentemente astratta eppur fortemente descrittiva. Più ci avviciniamo/conosciamo qualcosa e più la visione muta? La traccia della mano è il nostro tempo?
La visione può mutare solo se a farlo è anche la nostra consapevolezza. Il segno lo considero qualcosa di molto speciale. È come una strada che attraverso mentre lo realizzo e da cui torno mentre lo sto guardando. Nei disegni e nei dipinti ho la sensazione di creare dei percorsi che mi conducono alla scoperta dell’opera che abita dentro di me. Le opere sanno aspettare. Esistono già, attendono il proprio artista per arrivare nel mondo e aprirsi allo spettatore…Le mani invece sanno mentire e spesso non sono mai puntuali.
La pittura per te non è mai un esercizio di stile ma un’azione personale di conoscenza ed espressione, una sintesi di un mondo onirico a volte fosco e indefinito. Diceva David Hockney “Le uniche persone che vediamo realmente da vicino sono quelle con cui andiamo a letto”. Cosa si nasconde dietro al tuo segno?
Il segno non nasconde nulla perché è nudo e non ha le mani. Nel disegno così come nella pittura è il segno a condurmi verso l’opera. La tela oppure il foglio non hanno un verso preciso sin dall’inizio e spesso ruotano come farebbero le lenti di una reflex durante la messa a fuoco. Così facendo cerco di visualizzare esattamente la giusta profondità in cui vive l’opera. La tela o il foglio non sono altro che il mirino da cui riusciamo a vedere l’opera. I segni li lascio andare perché devono correre veloci per anticipare il pensiero. La mia visione è diffusa. Non mi concentro mai su un segno in particolare perché questo favorirebbe la nascita di un pensiero. L’energia deve fluire. Spesso alcuni segni, interagendo con altri in un punto preciso, svelano dei dettagli significativi quando non l’intera composizione. Come ben comprendi tutto il resto diventa allora superfluo, un po’ come il resto del marmo che non è opera per Michelangelo.
Il tuo interesse è rivolto spesso anche al mondo scientifico, alla realtà dei fenomeni naturali, biologici e fisici. Le installazioni così a volte sembrano quasi delle pitture tridimensionali. Penso alla ricerca sulle lucciole o sul ghiaccio, mi parli di quelle opere e del segno-concetto che vi è dietro?
Credo che il fatto di aver trascorso la mia infanzia in un contesto quasi selvaggio e autentico mi abbia aiutato. Osservando la natura ho appreso molto della bellezza e delle sue infinite sfumature. Mi ha insegnato soprattutto a riconoscerla da lontano, come riconoscerei ad esempio nel vento l’odore di un fiore di magnolia. Il passo quindi è stato breve. Da grande poi ho cercato di comprendere in maniera scientifica tutto ciò. Ho fatto delle letture splendide, come quelle sulla neurobiologia vegetale di Stefano Mancuso, e ho capito che tutto era collegato. Ogni libro mi consegnava all’altro. Nelle installazioni pertanto il processo è inverso rispetto alla pittura. La necessità di rendere la terza dimensione nell’opera è un riflesso incondizionato che arriva dopo l’impatto immediato con una circostanza/esperienza che mi ha coinvolto fisicamente in un dato spazio, esperienza nuova o di cui non ne avevo memoria. Ciò mi spinge ad occupare lo spazio che mi circonda e a cercare di riprodurre, in forma poetica e dinamica, quella determinata sensazione che possiamo chiamare anche serendipità.
Come nasce questo open studio? Ti consideri un artista outsider, che per indole e predisposizione ha intrapreso strade parallele rispetto a quelle del mercato?
Mi sento come un seme con le ali, pieno di vita e in movimento. Questo open studio nasce a Pescara perché dopo un lungo giro la vita mi ha portato qui e voglio rendere grazie al posto che mi ha accolto. Non mi considero un outsider ma un artista che, per indole e predisposizione come ben scrivi, ha seguito altre strade preferendo a volte alle gallerie il dialogo con i luoghi, vedi l’ultima personale Back Side of the Blind Spot a Castello Pandone, e con il mondo delle aziende e della ricerca, un mondo ancora in parte da scoprire e valorizzare ma che potrebbe portare nuova linfa agli artisti. Dalla collaborazione con la Coesum, per esempio, sono nate diverse installazioni –una di queste sarà presente in studio- mentre ho in cantiere un progetto con un’importante azienda. Mi piacerebbe comunque tornare a collaborare con delle gallerie presentando magari dei progetti specifici. In fondo questo open studio è anch’esso un’idea di mostra.
Tommaso Evangelista, Serena Ribaudo
OpenStudio #0
Luciano Sozio
Dal segno alla pittura
Pescara 22 Luglio 2019
Foto
Paolo Cardone
Armando Graziano
Video
Paolo Cardone
Armando Graziano
Uno speciale ringraziamento va a Isabella Indolfi, Coesum, MainAd