Rivisitazioni seducenti e ambigue di cave, eleganti frammenti di storie pittoriche fermatesi alla scanalatura teatrale della pittura, conchiglie di spazio cromatico, padiglioni di puro colore, orecchie di montagne, di organismi naturali, di paesaggi scavati nel difforme-originario sono i quadri di Pier Luigi Pusole nella versione torinese con il titolo IO SONO DIO (20 sett. 10 nov. 2018, Galleria Riccarso Costantini di Torino, via Giovanni Giolitti 51 …).
Con essi riesce dall’ombra della visionarietà un pittore che già da tempo aveva fatto parlare di sé in area “(nuova) figurazione mediale” – soprattutto negli anni ’90,in Italia e in Europa. Nella microrganica serie di opere – molti i formati piccoli e medi, una raccolta di pitture-tavole, traduzioni, metope e progetti espansi – e nelle loro varietà tonali, questa personale è solo una delle tante occasioni di contenersi in questa straordinaria, elegante e lirica dimensione visionaria: interessante,tuttavia,perché apre nuovi orizzonti e pone coraggiosamente delle problematiche inedite alla pittura mediale. Ma Pusole non è semplicemente uno s/doganatore di iconografia mediale e restauratore di generi e di tradizioni: nel momento stesso in cui ricostruisce e restaura le sue stesse intuizioni, i suoi stessi frammenti di immagine tradotti tra l’uno e l’altro polo:nel momento stesso in cui ricostruisce con apparente buona fede,medialità e visionarietà, non fa che attaccare e demolire alla base le categorie fondamentali, della certezza strutturalista e post-strutturalista, con una poeticità corrosiva che non lascia nulla dietro di sé. Onnivora, ha giustamente definito questa pittoricità alterata A.S.Tirreno,perché Pusole rispolverando i tratti delle leggende espressive più note e le tradizioni mediali più trasparenti e serrate (il visionario, la densità lirica, la cromaticità diffusa,etc…), giuoca contrappuntisticamente con le sue tipologie,con le convenzioni più evidenti dell’antimateria(si pensi a come guarda e tratta il segno visionato da Pinot Gallizio), adopera quelle atmosfere; trasforma quegli effetti di “crudeltà artaudiana” in tensioni contro la natura. “Quando scrivo Io sono DIO è proprio questo che intendo: voglio sfidare la natura, ecco il fine della mia ricerca scientifica. Quando dipingo non sono più nella natura, mi confronto con la natura dall’esterno, ricreandola. I miei quadri sono una specie di esperimento di ingegneria genetica”. Il pittore, a scanso di equivoci, non è più un vate che svela la realtà del mondo, ma un deista che può creare, a un livello pittorico globale, solo effetti metafisici: l’eleganza del Dio che è in me, l’aggregato prezioso e bizzarro in cui A. Warburg diceva che nel dettaglio si nasconde Dio, non fanno che consolidare l’immagine del giuoco: un giuoco mistico che tende a svuotare immagini e miti del loro contenuto tradizionale.
L’operazione neo-moderna che mi pare di rintracciare nello slogan Io sono Dio consiste soprattutto nell’attaccare con intenzionalità benigna quella fissità ideologica e morale che riposa dietro ogni teca pittorica, di rifiutare, anche attraverso la paralogia dei modelli, dei cliché che la pittura ha contribuito a consolidare.
Bersaglio polemico di Pusole è soprattutto quella lunga tradizione iconografica che assegna al poverismo dei ruoli oggettuali ed esemplificativi l’immagine nell’immagine. Se è possibile infatti rintracciare all’interno della pittura una peculiarità concettuale, qui la pittura ne detiene il segno stesso, cioè che rende quella pittura operativa e pragmatica:“La linea grafica è determinata per contrasto con la superficie; […] e la determina in quanto la coordina con se stessa, ossia con il suo fondo, cosicché, per esempio, un disegno che coprisse completamente il suo fondo cesserebbe di essere tale. Il fondo viene così ad assumere una posizione determinata, indispensabile per il senso del disegno […]. La linea grafica conferisce identità al suo fondo” (Walter Benjamin). Nel 1917 Walter Benjamin, dedicò alla differenza tra disegno e pittura un breve saggio, che mi sembra particolarmente adatto a descrivere le intenzioni del giuoco pusoliano. Zeichen può voler dire, in particolar modo, atto, gesto, segno. Mal può voler dire la stessa cosa, ma si distingue dal primo in virtù di una connotazione specificatamente temporale – pensiamo, ad esempio, all’uso di Mal che si fa nel proverbio tedesco “Einmal ist Keinmal”, “ciò che accade una volta sola, è come se non fosse mai accaduto”. In particolare, ci interessa molto la relazione che Benjamin instaura tra l’idea dell’atto e della facciata su cui esso figura, e quella dello Zeichencome di un qualcosa che “viene impresso”, e che di conseguenza è in grado di conferire un’identità al fondo su cui viene inciso. Pusole non tenta di sostituire nuovi Zeichen ai vecchi Mal o di creare nuove tipologie pittoriche che servono da supporto a una ideazione totalmente mediale, ma di sfatare, con una ironia sferzante, l’immagine consolatoria della immediatezza mediale o della Grande Pittura rappresentativa, simbolo di fertilità e di divenire. Ne risulta una prospettiva capovolta in cui IO SONO DIO seduce il mediale,le densità negative riescono sempre a spuntarla, la bella tecnologia convive con la bestia del deismo in un amplesso mostruoso.
È a tal proposito che A.S. Tirreno parla della qualità post-mediale di quest’opera, termine che compendia bene la duplicità di quest’operazione, tra Zeichen e Mal mediale. Perché scopo di Pusole è di smontare pezzo per pezzo l’edificio fatiscente che si è voluto creare attorno all’immagine pittorica come elemento negativo, passività, materia inerte opposta alla forma, caos opposto all’ordine; di far crollare il pregiudizio che vuole l’alterità della pittura come un fatto ontologico, come una cosa,per così dire, naturale. Rinviene,negli strumenti simbolici di cui si serve Pusole, gran parte della cultura visiva attuale, il tentativo di astrarre l’immagine pittorica da ogni corrispondenza con la realtà: le ridefinizioni di riverberazioni cromatiche di cui spesso è intessuta la pittura sono tanto più corrispondenti in quanto tutte, bene o male, tendono ad accentuare l’elemento irrazionale o visionario che una volta per tutte esclude le figurazioni da ogni possibilità di contatto con il mondo “ateo”.
I graffiti sui muri e la porno immagine,per la minore complessità simbolica e la crudezza degli strumenti, costituiscono forse l’esempio più evidente di una ideologia che vuole costringere il concetto di pittografia entro schemi fissi e immagini archetipe, astraendolo in tal modo dal contesto storico e sociale in cui si sviluppa e si trasforma. Una transmedialità che vede la pittura come puro oggetto di ricezione e la foto-graficità come principio attivo che solo le da significato, è una mistificazione che esemplifica o, per meglio dire,nega follemente,in una sorta di reductio ad absurdum, non solo l’esistenza e la coscienza individuale, ma anche le complessità del fare cromatico.
Tutte le forme e i modi di Zeichen sin qui citati hanno, ciascuno, delle caratteristiche che li rendono assai diversi gli uni dagli altri. Ciononostante, essi s’impongono tutti come un inno, all’unisono, all’importanza imprescindibile dello Zeichen, al ruolo irrinunciabile che questo è ancora in grado di giocare, nella teoria come nella pratica, nelle sorti tanto confuse e magmatiche dell’epoca storico-artistica corrente. Più che uno sguardo nostalgico al passato e a una primitività metaforica dell’arte, questa mostra lancia, con i suoi quadri-microrganismi, uno sguardo fiducioso ad un futuro in cui le arti visive sembrano affermare, anche insolentemente, di non aver dimenticato le proprie origini mitiche.
Si tratta,insomma,di strappare quell’immagine alla fissità ideologica dell’immagine e all’iconografia, di ridefinirla all’interno del contesto sociale e storico in cui si forma e, non ultimo, di indicare nuovi legami fra pittura e corpo divino. Ed è proprio in Pusole che “l’iddeità” riconosce colui che per la prima volta, con la violenza iconoclasta dello scientismo e demistificatrice delle sue opere, apre una breccia nel museo del dettaglio della pittura, lì dove: IO SONO DIO. Con lui le relazioni pittoriche e l’incarnazione segnica sono calati all’interno dei rapporti sociali esistenti, fino a divenire la metafora stessa delle strutture sociali e politiche che governano l’arte contemporanea degli ultimi anni dell’Ancien régime liberale.
Vittime sacrificali del retinismo o sacerdotesse di selvagge esposizioni fuori le mura del potere,le eroine della pittura divengono emblemi di un sistema di tensioni sociali e di fermenti rivoluzionari; i suoi libertini, aristocratici e disancorati dal duchampismo militare, sono l’incarnazione della dissoluzione e delle perversioni delle forme della divinità. Ne emerge il grido inquietante e tragico di un inferno governato dalla logica ferrea della visionarietà pura e della dissidenza mediale.
La conclusione di Pusole che vede nella virtù della pittura non un bene da perseguire, ma un male da evitare, scalza la tipologia pittorica e retinica del tempo, della brava addomesticatrice di sguardi e della maleficità perseguitata, che troverà l’esempio più emblematico nei punti fermi di Pusole: IO SONO DIO.
All’interno della cultura occidentale, dunque, il pittore Pusole rinviene nello Zeichen e Mal un punto di riferimento importantissimo e plurimediale, perché è solo costruendo alle radici, come Alexander Trocchi ha fatto, il tempio del giovane Adamo, esemplificato in Dio e la Legge, la sacra triade della Trinità (Pittura, Comunicazione e Mistica), che si possono fondare le basi di una reale emancipazione,di una società che non ammette né compratore e né logoratore . Con genio e arguzia Pusole crea le sue micro-figure pittoriche – e mi riferisco alla dimensione grande e piccola di figure del passato e del presente – sulla scia di un Francis Bacon molto diluito, trasformando quelle oltraggiose invenzioni in simboli del nostro tempo e obbligando a restituire alla voce post-retinica dell’artista – attraverso lo smascheramento ironico dei vecchi luoghi comuni – un’immagine più ricca e autentica.
HEURESIS (Εὕρεσις)
Osservatorio di critica mediale di Gabriele Perretta
Pierluigi Pusole – 2018 Io sono Dio
Vernissage 20/09/2018 ore 18
dal 20/09/2018 al 10/11/2018
Autore
Pierluigi Pusole
Generi
arte contemporanea, personale
Spazio espositivo
RICCARDO COSTANTINI CONTEMPORARY
via Giolitti, 51 – Torino – Piemonte