Il Torrione Passari di Molfetta ha celebrato i suoi dieci anni di attività con le due personali di Hidetoshi Nagasawa e Luigi Presicce. Luogo espositivo di rilievo in Puglia, che si avvale della direzione artistica di Giacomo Zaza, l’antica torre ha ospitato dal 2003 ad oggi – sebbene con discontinuità – mostre personali e collettive di grande rilevanza internazionale, in cui comune denominatore è l’invenzione totale dello spazio, che traslato dalle opere (molte delle quali site-specific) vive ogni volta di nuove suggestioni, mutando radicalmente.
Anche in questa occasione, la relazione con lo spazio è fondante dell’identità del percorso visivo e della lettura delle ricerche dei due artisti, le quali rispondono naturalmente all’evidente esigenza di integrarsi e conciliarsi – tra armonie e tensioni – all’ambiente circostante.
La scultura meditativa di Nagasawa traduce in forme lo Zeitgeist hegeliano: «ognuno cerca ed è bellissimo. È questo il momento che io chiamo dormiveglia, soltanto dopo una grande concentrazione e meditazione, arriva questo sonno terribile, e quando passa viene il momento giusto, il momento del dormiveglia, che è tempo fermo, io lo chiamo tempo zero». Ma ancora, afferma l’artista «quando il tempo si muove più adagio, un profumo attraversa lo spazio vuoto. Quando il profumo aumenta d’intensità si avvicina il tempo zero. Il tempo zero è la vita che congiunge i due mondi». La filosofia orientale, quale pratica di salvezza intramondana, e l’eredità del pensiero occidentale, come percorso di conoscenza di tutto ciò che concerne la vita dell’uomo, si fondono nella poetica di Nagasawa, per il quale l’arte è imprescindibilmente eidos, idea intangibile che si incarna in una forma plastica. Se privata della sua concettualità, la scultura diventa mera decorazione, forma vuota senza contenuto.
L’idea di Nagasawa si trasforma in ideale nella ricerca di Presicce.
L’uso della Classicità e la rivisitazione dei soggetti iconografici, spesso mutuati dalla storia del cristianesimo, dimostrano eruditi riferimenti culturali che si aprono all’onirico. Rimodellate in chiave contemporanea da un’attenta analisi dei costumi e del comportamento, le iconografie di Presicce generano narrazioni fascinose, che derivano dalla collocazione dei soggetti in habitat specifici, fortemente caratterizzati, che ne scandiscono gli stati emotivi – influenzando la percezione del fruitore – e che al contempo sottendono ad un lato nascosto dell’immagine. Performance, lavori fotografici e complessi allestimenti lasciano vagare lo sguardo sulla superficie delle nuove immagini create ad arte, permettendo il passaggio – progressivo, ma parallelo – da relazioni spaziali a relazioni temporali; proprio tale passaggio determina complessi semantici in cui ogni elemento conferisce uno ed infiniti significati reciproci, che rendono possibile l’interpretazione e la comprensione dell’immagine stessa, quindi della ricerca dell’artista. Il lavoro di Presicce ricorda che l’uomo ek-siste e che le immagini sono le uniche mediazioni possibili col mondo. Non avendo accesso diretto al reale, l’uomo crea le immagini che – conservando il proprio carattere magico e non lineare – lo rendono rappresentabile e conoscibile mediatamente.