Il Museo Novecento apre le nuove che caratterizzeranno l’autunno artistico del capoluogo toscano: da “Wang Yuyang. Lucciole per lanterne” a “Lino Mannocci. Un matrimonio futurista” passando per “Rebecca Moccia. Da qui tutto bene” per arrivare alla rassegna video “Survival strategies” e concludere con la call “Sustainable Thinking Evolution Day, Powered by PechaKucha” dedicata ai giovani per provare a dare risposte innovative alle sfide che ci aspettano in futuro sviluppando concept che contribuiscano al raggiungimento di uno dei 17 Sustainable Development Goalsdella Agenda ONU 2030.
Protagonista del sesto appuntamento del ciclo DUEL – ideato dal direttore del Museo Novecento Sergio Risaliti che curatori ospiti chiamati a collaborare con artisti internazionali per realizzare interventi site-specific ispirati alla collezione del museo – è l’artista cinese Wang Yuyang (1979, Harbin, Cina – vive a Pechino) con la sua prima personale in Europa intitolata “Wang Yuyang. Lucciole per lanterne“. La mostra, ideata in collaborazione con Massimo De Carlo Milano/London/Hong Kong e curata da Lorenzo Bruni, vede le opere di Yuyang – tre cicli pittorici e due installazioni luminose – in aperto dialogo con una Natura morta (1923-24) di Giorgio Morandi proveniente dalla collezione Alberto Della Ragione. L’opera di Morandi è stata individuata da Wang per le analogie con la propria ricerca sull’illusione dell’oggettività e sull’equilibrio tra immagine astratta e figurativa, oltre che per ricordare gli anni della sua formazione, quando il giovane artista studiava e riproduceva le opere del maestro bolognese nelle aule della Central Academy of Fine Arts di Beijing in Cina, dove adesso è professore di arte sperimentale. Il titolo chiama in causa quell’errore di interpretazione in cui si può facilmente cadere quando, fidandosi di un’osservazione superficiale, si giudicano i fenomeni del reale. L’esposizione fiorentina è una tappa importante nella ricerca artistica di Wang Yuyang legata ad una riflessione su come i mezzi di riproduzione tecnica, sia di tipo analogico che digitale, possano influenzare la percezione della vita quotidiana, della memoria collettiva e del ruolo dell’arte. L’artista stesso descrive il suo interesse nei confronti della scienza e delle nuove tecnologie: “I miei quadri Moon– spiega Yuyang – sono la copia fedele delle immagini prodotte dalle agenzie spaziali, caratterizzate da varie gradazioni di grigio. Per realizzarli per prima cosa indosso un paio di occhiali digitali che mi permettono di vedere tutto in bianco e nero; in un secondo momento inizio a dipingere scegliendo i colori ad olio da una tavolozza su cui precedentemente ho cancellato il nome delle varie cromie. Di conseguenza, alla fine del processo, tutti i colori che vediamo sulla tela sono accostati tra loro in maniera casuale, l’immagine finale corrisponde al colore che la Luna potrebbe avere in un altro spazio. Se il pubblico però guarda il quadro colorato usando lo schermo del proprio smartphone in modalità bianco e nero è come se tornasse immediatamente alla nostra realtà”.
“Lino Mannocci. Un matrimonio futurista“, parte del ciclo CAMPO APERTO, è la mostra, a cura di Sergio Risaliti, dedicata alle opere del toscano Lino Mannocci (Viareggio, 1945) ispirate all’unione tra Gino Severini e Jeanne Fort. I lavori, esposti al primo e secondo piano del Museo Novecento, fanno da ideale proseguimento alla mostra Solo. Gino Severini, la monografica dedicata al pittore toscano tuttora in corso al Museo (fino al 10 ottobre). Mannocci presenta una trentina di lavori tra cartoline ricavate da fotografie d’epoca, marmi che evocano le lapidi-bassorilievi dei primi anni del Dopoguerra e dipinti ispirati alle cartoline rielaborate. Un video e un’installazione completano l’excursus che Mannocci dedica al matrimonio di Gino Severini e Jeanne Fort e alla presenza quel giorno del meglio delle avanguardie parigine.
Mentre nel loggiato del primo piano, oggi dedicato al progetto ORA ET LABORA in cui giovani artisti contemporanei sono chiamati ad esprimersi e relazionarsi con l’architettura della sede museale e con il tessuto urbano in cui esso si colloca, risiede l’installazione site specific di Rebecca Moccia (Napoli, 1992) dal titolo “Da qui tutto bene”, a cura di Sergio Risaliti e in collaborazione con la Galleria Mazzoleni (London – Torino). Con raffinata ironia, l’artista riflette sulla storia del complesso monumentale delle Ex Leopoldine che, dopo aver ospitato per secoli malati e mendicanti, è stato convertito in luogo di accoglienza e istruzione per giovani fanciulle povere, prima di essere restituito alla comunità come scuola e, infine, come museo di arte moderna e contemporanea. In un edificio dalla forte vocazione sociale, il lavoro di Rebecca Moccia chiama in questione la nostra appartenenza a questo spazio e a questo tempo, facendoci oscillare tra il confronto brutale con una realtà fittizia e la delicata sospensione della nostra transitorietà. L’intervento dell’artista prevede l’impiego di carta blue back: attaccata sul retro, la carta lascia celata alla vista la parte usualmente riservata all’immagine. I fogli sono strappati con il taglierino ricordando l’ombra delle fronde e degli elementi architettonici del loggiato. Queste ombre in negativo ricalcano la luce dell’alba del giorno dell’apertura della mostra (26 settembre), calcolata attraverso l’impiego di un software di illuminotecnica. La carta si sovrappone, coprendo parzialmente le coppie di sinonimi maschili e femminili dipinte su muro, tratte dalla serie Un Linguaggio Inaudito (2013-2018). A completare l’installazione, quattro altoparlanti trasmettono ininterrottamente notiziari e dibattiti di attualità in italiano e in inglese.
Prosegue la rassegna video “Survival strategies“, concepita da Beatrice Bulgari per In Between Art Film e a cura di Paola Ugolini, che per questo nuovo appuntamento raccoglie le opere di sette artisti internazionali – Hiwa K, Santiago Sierra, Regina José Galindo, Maria José Arjona, Mary Zygouri, Shadi Harouni, Masbedo – che riflettono sul nostro presente, tragicamente lacerato da sanguinosi conflitti, odi razziali e faide religiose alimentate da interessi economici e geo-politici. Si apre con The Bell Project (2007.2015) Iraq-Italy di Hiwa K (Sulaymanyya, Kurdistan, 1975): un video che ripercorre la realizzazione del progetto presentato da Hiwa K alla Biennale di Venezia del 2015, dove ha esposto una grande campana, realizzata con la fusione dei metalli recuperati durante il conflitto Iran-Iraq (1980-1988) ed entrambe le Guerre del Golfo (1991, 2003). A seguire Palabra destruida (Destroyed word) (2010-2012) di Santiago Sierra (Madrid, 1965). Scomodo messaggero della cupa verità del nostro tempo, Sierra mette il dito nelle piaghe della società contemporanea denunciando lo sfruttamento del lavoro, la disuguaglianza e la discriminazione ed in questa opera video a 10 canali Sierra mette in scena la distruzione fisica delle dieci lettere che costituiscono la parola Kapitalism. Si prosegue con La Sombra (2017) di Regina José Galindo (Città del Guatemala, 1974), presentato a Kassel in occasione di Documenta 14. L’artista usa il proprio corpo, fragile e spesso nudo, per denunciare la violenza contro le donne e, più in generale, quella sociale, politica e culturale della società contemporanea. Nel video, Galindo mette in scena se stessa, ansimante, mentre corre inseguita da un carro armato. Oltre a riportare l’attenzione sull’oppressa condizione femminile, il video è una denuncia nei confronti del mercato delle armi e dei paesi che le producono. Anche Maria José Arjona (Bogotà, 1973) nel video Linea de Vida (2016) usa il suo corpo come strumento dinamico per riconnettere lo spettatore al mistero della natura e alla sua intrinseca forza. Nel video Venus of the Rags/In transit/ Eleusis (2014), la performer greca Mary Zygouri (Atene, 1973) utilizza invece la Venere degli stracci di Michelangelo Pistoletto per comporre un racconto surreale, girato a Elefsina (Eleusi), città tristemente esemplare di una scellerata stratificazione urbana che stride con le rovine archeologiche del suo glorioso passato. Shadi Harouni (Hamedan, Iran, 1985), è l’autrice del video seguente The Lightest of Stones, giratoin una cava di pietre del Kurdistan dove un gruppo di uomini, confinati in quel luogo inospitale a causa delle loro idee politiche, discutono di ISIS, di leggende e delle sexy-dive americane come Jennifer Lopez. Infine, Glima (2008), del duo Masbedo (Nicolò Massazza, Milano 1973, Iacopo Bedogni, Sarzana 1970), che in mette in scena, con grande efficacia scenografica e narrativa, la tragedia dell’incomunicabilità e della difficoltà dei rapporti di coppia uomo-donna, ispirandosi ad un’antica lotta tradizionale nazionale islandese usata per risolvere le diatribe fra villaggi.
MUSEO NOVECENTO
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