La Osart Gallery di Milano presenta una retrospettiva dedicata ad una donna che ha dato un notevole contributo alle ricerche performative degli anni Settanta, l’artista francese Gina Pane (Biarritz 1939 – Parigi 1990). Il curatore, Valerio Deho, propone un allestimento che segue l’ordine cronologico, partendo dal 1968, anno in cui l’artista supera la fase minimalista per approdare allo studio della relazione uomo-natura, ricerca condivisa al tempo dai poveristi. L’opera Pierres déplacées, una sequenza di 8 immagini fotografiche a colori, ritrae Gina Pane nell’atto di spostare dei sassi dal loro luogo originale, a nord nella Valle dell’Orco (TO), verso coordinate a sud della stessa.
Accanto alla prima opera, si dispone la documentazione fotografica che immortala l’artista durante la performance, svolta nel 1973 a Milano presso la Galleria Diagramma di Luciano Inga-Pin, Azione sentimentale. I tagli, le ferite che si autoinfligge con le spine di una rosa, parlano della condizione femminile rapportata alla religiosità cristiana che, per mezzo del linguaggio della body art, l’artista esprime attraverso concetti e pulsioni estreme, tali da impressionare il pubblico.
Ancora documenti, ancora immagini che rappresentano le sue ‘azioni’ caratterizzanti come Action mélancolique realizzata allo Studio Morra di Napoli nel 1974. Oltre alle tecniche di autolesionismo già sperimentate, la performance coinvolge “l’altro”, così la presenza di una donna di schiena con un cuore rosso e la parola “tu” scritta sulla pelle nuda, diviene esemplificatrice del valore che ha l’apertura verso il prossimo.
Del 1976 è Io mescolo tutto: Cocaina, Frà Angelico, performance concepita alla Galleria Nazionale di Bologna dove, con dei frammenti di vetro, si taglia le braccia riproducendo la forma di alcuni giochi di legno per bambini. L’analisi condotta sul proprio corpo, sui suoi limiti, non cade nell’eccesso dell’esibizionismo, ma è frutto di uno studio minuzioso dei particolari che, nonostante la presenza del dolore, rendono l’esperienza armonica.
Gli anni Ottanta si caratterizzano per il ritorno alle tecniche tradizionali, così farà anche la Pane, costretta dagli effetti del tempo sul corpo. Il ritorno alla scultura vede la composizione di installazioni polimateriche come L’Homme à la branche verte qui n’avait pas lu les Fleurs du mal – Partition pour une blessure (1982) e Le Son de F. L’homme indien en prière (version 3) terminata nel 1988, in cui del corpo resta solo una traccia, la forma archetipica a ‘T’ evoca la croce di Cristo, simbolo del martirio subito dal corpo di Cristo, come mezzo che porta alla redenzione del mondo. “Se apro il mio corpo affinché voi possiate guardarci il vostro sangue, è per amore vostro: l’altro”.
Osart Gallery, Corso Plebisciti 12, Milano
Dal 30 Novembre 2018 al 23 Febbraio 2019