L’Uno diventa Due, i Due diventano Tre, e per mezzo del Terzo il Quarto compie l’Unità.
G. Jung, Psicologia e Alchimia, Bollati Boringhieri, Torino, 1944.
Da sempre interessato all’uso dei diversi media, Mark Cullen fa della sua arte scultorea nonché installativa il suo mezzo espressivo principale atto a ricercare i principi cosmologici.
Residente nel 2007 presso il centro culturale El Levante, Rosario (Argentina), Cullen ha avuto l’opportunità di visitare e lavorare nell’antico centro astronomico dell’Università di Mendoza per poi proseguire la sua ricerca presso l’osservatorio internazionale CASLEO locato fra le Ande argentine. Frutto di questa esperienza è stata la realizzazione del lavoro Star Gazing (2007). L’installazione mette in connessione l’ambiente interno con quello esterno attraverso la riproduzione del cielo stellato dell’emisfero terrestre meridionale, ormai impossibile da osservare nei centri urbani a causa dell’inquinamento luminoso, osservato durante la permanenza a CASLEO mediante l’installazione di 300 luci bianche al LED. Il lavoro vuole mettere, quindi, in connessione il microcosmo con il macrocosmo composto qui da tanti elementi luminosi che creano una relazione armonica di interdipendenza e di interazione poiché ogni elemento è attivato mediante l’uso di pannelli solari che, così facendo, producono una connessione attiva con le stelle. L’uso degli elementi naturali come attivatori di energia fanno sì che la relazione armonica non solo si instauri ma si rafforzi grazie al processo solidale di scambio fra l’uomo e l’Universo.
Nell’arte di Cullen quest’unione è spesso rintracciabile poiché agendo come un poietes, colui che nella Grecia presocratica era sia un operatore, un creatore e un poeta, egli realizza installazioni in cui il particolare sconfina fondendosi con l’universale. In questa visione cosmologica si scopre come il singolo sia parte attiva dell’Universo e come nelle sue opere sia possibile ritrovare il concetto cardine cabbalistico e alchemico dell’unità del Tutto espresso da Eraclito di Efeso il quale nei suoi scritti esprimeva come la totalità fosse sinonimo di completezza e, quindi, di unità con l’Universo. In I see a darkness II (2009) l’esperienza individuale si ricongiunge con il cosmo tendendo verso l’infinito qui rappresentato sculturalmente attraverso la Colonna Senza Fine (1938) di Costantin Brâncuși. La forma modulare ripetuta della colonna porta con sé gli elementi geometrici che descrivono attraverso una successione numerica, ascrivibile a quella di Fibonacci, l’infinito. L’intera installazione, che prevede la sua fruizione nella completa oscurità, mette in risalto il legame fra coloro che esperiscono dell’arte di Cullen mettendosi in connessione diretta fra il microanthropos e il macronthropos. Passando attraverso lo Stargate luminoso, in grado di connetterci attraverso un movimento circolare all’Universo e alle specie aliene a noi distanti, è possibile raggiungere metaforicamente la Via Lattea riprodotta sulle vetrate oscurate.
Mantenendo questa dualità di ricerca l’artista prosegue la sua indagine spettrale attraverso l’opera Ladies and Gentlemen we are floating in space (2010) che pone in relazione l’esperienza criogenica con quella spaziale. Scienza e fantascienza si fondono assieme formando un’ambiente abitativo futuristico, una Sleeper Cell in grado di accogliere gli esseri umani per un viaggio interspaziale. La volta forata riproduce la possibile visione spaziale di cui solo alcuni potranno esperire in futuro. Anche in questo caso siamo di fronte a una fruizione immersiva che accoglie il pubblico, futuri astronauti, in un ambiente il cui scopo è quello di mettere in relazione la sfera celeste con la vita terrena. Lo spettatore assume così il ruolo di viaggiatore interstellare che intraprende come Dante nella sua Commedia (1304-1321) il proprio viaggio esperienziale, o itinerarium mentis, dagli inferi terreni fino alle stelle.
Cullen negli anni ha continuato la sua esplorazione delle dinamiche spaziali e umane producendo opere come ARK (2011) e I could sleep for a thousand years (2011), quest’ultima realizzata all’interno di una serie di mostre “Manifestation” come membro del gruppo collaborativo di artisti Difference Engine, di cui fa parte dal 2009. In queste occasioni inizia ad affiancare al lavoro installativo quello pittorico riproducendo la figura del Mandala, simbolo ancestrale riscontrabile all’interno di meccanismi fisici complessi e all’avanguardia come l’acceleratore di particelle del CERN di Ginevra. Usando la superficie pittorica come “spazio significante” (A.J. Greimas, 1960) la semantica di Cullen si fa ricorrente, la sua indagine spaziale, il suo voler lavorare per uno spazio site-specific lo ha condotto all’uso dei dipinti del formato 30×30 cm per rappresentare le primigenie figurativa.
Lo studio della tassellatura di Penrose (1974), schema di figure geometriche basate sulla sezione aurea, gli hanno permesso di ottenere delle tassellature di superfici infinite in modo aperiodico e di conciliarle con la sua precedente ricerca cosmologica dando vita all’installazione collettiva “Accumulator II” in cui compaiono Infinite Preserve (2012), Carpet (2013) e Mandala (2013). In queste prime due opere appare con evidenza come la tassellatura di Penrose è in stretta connessione con i modelli decorativi del Medio Oriente e, in particolare, con alcuni esempi di arte geometrica risalente al Medioevo islamico, un esempio è dato dal motivo a stella (Girih) presente nelle decorazioni degli edifici islamici. Il rapporto di Cullen fra la scienza e il cosmo si lega dando vita a un leitmotiv indissolubile: l’idea che un sistema di pensiero operi in parallelo in diversi campi di ricerca è davvero importante per la sua arte, infatti, questa visuale si estrinseca nell’opera Mandala: As within so withouth (2014-2015). L’installazione di grandi dimensioni presso l’UCD di Dublino privilegia la natura ondulatoria della luce che come nel quasicristallo si diffrange formando un icosaedro. Tale figura geometrica assume un riscontro significativo nel mandala, simbolo di conoscenza perfetta (aurea apprehensio), esprimendosi secondo i precetti alchemici in cui il processo conoscitivo del Sé interiore è avvolto dall’Universo. Simbolo della totalità, il Mandala, è per Jung (L’uomo e suoi simboli, 1964) archetipo dell’ordine interiore ed esprime il fatto che esiste un centro ordinatore e una periferia che circoscrive il Tutto, en tu pan “nell’Uno il Tutto”.