Uno spazio banale e inutile, che come tanti non avrebbe veramente nessuna ragione di esistere – La seconda personale di Marco Schiavone, Galleria LO.FT, Lecce
Di Danilo De Luca
La seconda personale “Uno spazio banale e inutile, che come tanti non avrebbe veramente nessuna ragione di esistere” dell’artista Marco Schiavone, curata dal collettivo FAC per la galleria LO.FT, a Lecce, non lascia nulla al caso. Lo spazio banale e inutile è uno spazio che non esiste, se non nella rappresentazione fotografica dell’artista, che utilizza l’elemento materico per restituire in forma simbolica un metodico processo di indagine che ha per oggetto l’ambiente rurale del Salento.
Il lavoro di Schiavone si rende intelligibile solo attraverso una lettura diacronica, secondo la quale l’atto performativo della fotografia assume un senso fortemente allegorico. Uno scenario asettico accoglie tre istantanee di un muretto a secco, assemblato all’interno dello stesso spazio espositivo, immortalato, scomposto nuovamente e posto in una nuova prospettiva, per tre volte.
La pietra, in una accezione paradigmatica, diviene metaforizzazione ed evocazione di una dimensione storica, quella contadina, che va scomparendo, attraverso un’operazione site-specifica che si articola in tre fasi: lo studio dei luoghi, la composizione del muretto e la sua riproduzione fotografica.
L’artista sceglie di consumare in un unico ambiente il momento performativo e quello fruitivo, tracciando un percorso multidimensionale nel tempo e nello spazio. Il tempo, appunto, è l’elemento demiurgico capace di imprimere un ordine, seppur non l’unico ordine possibile. La pietra, decontestualizzata e ri-contestualizzata in un background straniante e snaturante, diventa l’espediente narrativo attraverso cui raccontare di un percorso evolutivo che ha abbandonato nell’oblio le radici identitarie del posto. La materia, chiara simbologia dei tempi trascorsi, può essere raccolta, assemblata e fatta sparire al termine dello scatto. Lì si attua la fattuale banalizzazione dello spazio che il titolo suggerisce, uno spazio che può non avere ragione di esistere e che, infatti, non esiste, se non nelle fotografie.
Il tempo, nella doppia veste di narratore e di scenario in trasformazione, descrive la propria relativizzazione tramite la cornice, posta nello stesso istante e nello stesso fotogramma sia dentro che fuori dall’opera. La pietra e il tempo si connettono in una produzione uno e trina, scomposta nella cornice vuota, in quella che delimita la foto e nello spazio di fruizione dello spettatore.
La simbolizzazione della pietra giunge a pieno compimento non nello scatto dell’artista, bensì nella sua rimozione, che lascia spazio alla realtà espositiva in cui essa non c’è più e in cui permane solo la sua riproduzione, la sua effigie, contemplabile, ma non afferrabile, come le epoche passate a cui allude.
Galleria LO.FT
Via E.Simini 4/6/8, Lecce
mostra terminata il 19 maggio
04-19/05/2019