Post-drama
La pittura e le piante, il cielo e la terra si intrecciavano nel vuoto, si scioglievano l’una nell’altra, nell’aria.
Il giardinaggio dei cinque segni appariva alla parete, ruotava attorno ai colori, alle emozioni impresse nella terra.
“Non cercare”! Fissa la tua immagine!”
Syd frugava nella polvere dei suoi ricordi.
Dove aveva sentito quella voce e quella nota?
Si infilò sotto le coperte e spense la luce …
“L’immagine, insieme alla chitarra, bruciava nel fuoco del mattino. Scintille luminose salivano con il vento. Sugli scalini della residenza di Cambridge, il poeta buono che aveva lasciato tutti a tutti, stava seduta una ragazza … i suoi occhi neri sorridevano ai raggi del sole … come ti chiami?”
“See Emily Play”
“Dammi la tua mano, See Emily Play”
Afferrò la coperta e se l’avvolse attorno al corpo. Avrebbe voluto baciarla … prenderla tra le braccia e consolarla …
Si muoveva nel letto e cantava: “See Emily Play… piccola mia!”
Venne svegliato improvvisamente da qualcuno che lo scuoteva. Aprì gli occhi. Una goccia d’acqua fredda colava giù dal soffitto.
Gli bagnava le ciglia, le labbra … assaporava la salinità dell’acido
“Hai sete?” chiese Libby
Syd si levò in piedi. Le sue gambe erano pesanti, avevano riposato poco.
Fuori, si udiva il rumore delle macchine. Uscirono. Il sentiero era coperto di ghiaccio. Nevicava.
“Sono stanco!” disse Syd mezzo insonnolito. Guarda esclamò Dorje indicando un fiore.
Rimasero qualche minuto a guardare l’acqua che scorreva dalla fontana e che annaffiava i fiori.
“È, forse, l’oppio il luogo della rinascita interiore? Chiese Syd fissandola.
Astronomy Domine non rispondeva, ascoltava la voce del tempo. Una luce dorata sembrava avvolgerla da ogni parte … andava a ritroso nella memoria … l’acqua l’avvicinava al sole. Il vento dei ricordi scorreva sulla sua pelle. La neve si scioglieva in lacrime.
Gli occhi di Syd affondavano nel passato, languivano nel riflesso della sorgente, andavano verso il luccichio dell’acqua. Dal cuore e dalla musica saliva un flusso di calore. Il presente sgorgava dal passato. Il respiro si faceva più lento.
“Abbey Road Studios” riuscì a sussurrare prendendole la mano.
“Abbey Road Studios” si piegò in avanti e le sorrise.
“Registrati … Registrati … dimmi che non sei un sogno! Ti aspettavo da tempo. Finalmente mi hai saputo ascoltare …” rispose asciugandogli le lacrime.
Syd appoggiò la testa sul seno di lei. Sentiva il rumore del vento spegnersi a poco a poco.
C’era un suono invisibile che li legava da sempre … perché il destino è perdersi nella pittura e ritrovarla nel silenzio della performance in giardino …
La sorgente brillava di luce. Raggi coperti di neve s’infrangevano contro lo specchio dell’acqua, cadevano sotto lo sguardo del sole.
“La ruota che gira!” mormorò Syd.
Emily gli si avvicinò e lo bacio sulla fronte. Poi, guardandolo in fondo agli occhi intonò il riff:
“Interstellar overdrive … la madre e il figlio …
… questa è la ruota!
*Nota esplicativa al testo Manovra la bacchetta. NO MAN’S LAND/tribute to Syd Barrett(Cambridge, 6 gennaio 1946 – Cambridge, 7 luglio 2006): figura, profili e tecnica rappresentano tre categorie dell’estetica complesse, ambigue e fuorviati. Difficile un discorso unitario sulla loro natura, sulle loro funzioni, soprattutto all’interno delle arti. Tanto vale allora moltiplicare le voci e gli ambiti di ricerca e offrire un quadro quanto mai vario, sebbene coerente e fedele al tema proposto.
Ecco quanto qui si intende proporre. Un percorso che ambiziosamente tocca ambiti di indagine che vanno dalla pittura, alla musica, alla poesia, alla fotografia, al cinema, fino all’architettura e che non si ferma a indagare il ruolo delle intermedialità e delle forme, ma vuole spaziare attraverso una meta narrazione variegata, metamorfica degli stili, che delle forme rappresentano la vita. Il debito che Syd Barrett ha maturato nei confronti dell’arte totale e probabilmente ben più significativo di quanto lo stesso Syd Barrett non ammetta, tanto che è forse possibile reinterpretare l’esperienza performatica totale dell’autore di The Madcap Laughs (1970 –) e Barrett (1970 –), come una peculiare riedizione della musica performatica (si vedano anche i due gioiellini dal vivo Syd Barrett – The Peel Session (1987) The Radio One Sessions (2004––). In particolare, la suite poetica qui presentata, è incentrata sul concetto di parola-suono-immagine in Barrett, in un serrato confronto tra il Barrett dell’improvvisazione pura e quello dell’happening musicale, ma anche con le sue contaminazioni cinematografiche e pittoriche, con le concezioni del testo poetico e altre grandi figure metaforiche e letterarie dell’esistenza.
La seconda parte di questo testo ospita la rielaborazione avuta con un gruppo di amatori di Syd, in transizione dalla musica alla performance, sulla reinvenzione della performance letteraria nella corporeità, esperienze e pratiche quotidiane di chi è stato socializzato nel genere altro. Un insieme di biografie fanno l’autobiografia di una cultura, la sua fotografia, in cui sono riprodotte tutte le sfumature e delineati i suoi contorni. La biografia di Syd Barrett è una lente doppia, da una parte puntata sull’individuo artista e dall’altra sul contesto in cui questo ha agito o agisce.
Manovra la bacchetta. NO MAN’S LAND, di Gabriele Perretta,ha proprio questo senso della lente doppia, in quanto il lavoro di autopoeticizzazione ad un genere è anche un lavoro di riscoperta che porta alla luce tanto la costruzione dei generi e le aspettative critiche – in questo caso nei confronti dello star system, cioè dei ruoli dell’artista ufficiale – quanto la loro possibile messa in discussione incarnata. E così la categoria di genere mediale, fondata decenni or sono per dare una spiegazione estetica dell’esperienza “trans- happening” – quindi per parlare di trans – in questo Nostro lavoro è rimessa in gioco anche dialogando con soggettività transitive. Non per chiudere il cerchio ma,all’opposto, per contribuire all’apertura di nuovi percorsi, dedichiamo questo piccolo scritto a Gabrielle – preziosa compagna di viaggio che si è spenta all’alba del 27 ottobre 2016 dopo aver partecipato, al concerto in onore del settantesimo anniversario della nascita di Syd Barrett, con un gruppo di artisti indipendenti che pubblica il cortometraggio Eclipse (con l’attore-regista Edgar Blake nel ruolo di Syd). Il film viene scelto per essere proiettato durante il Syd Barrett-A celebration memorial festival, un concerto-tributo organizzato dalla band svedese Men on the Border, che si svolge a Cambridge alla presenza dei familiari e degli amici di Syd Barrett. Dunque,questo testo è stato scritto in due tempi, e ha una genesi particolare. Racconta Perretta:
“I Men on the Border avevano aperto una discussione con le mie posizioni nel testo, compreso in questa versione, ed era nata l’idea in uno spazio comune, nell’occasione della traduzione in italiano di una raccolta di scritti di Rob Chapman, Syd Barrett, Un pensiero irregolare (Nuovi Equilibri, 2012). Avevamo dunque accettato con piacere di inserirci, o di accompagnare, la performance con un mio frammento”.
Intanto si era presentata un’altra occasione di confronto, e precisamente all’interno del Festival di Corciano, organizzato dal Comune e dalla Proloco di Corciano, a Corciano il 15 agosto scorso e nella mostra Stendale l’abbraccio delle Muse. Corrispondenza dei sensi e delle arti,diretta e curata da Gabriele Perretta, insieme alla serata Neverending Anthology di e con Francesco Di Loreto.
Dice Perretta:
“In quella sede ho presentato un testo che corrisponde a questa versione, che doveva interloquire autonomamente con il fuori programma Syd Barrett’s Guitar/Neverending Interstellar, Dead Frog Live, with: (Gabriele Perretta (Spoken Word), Andrea Orsini (Syd Barrett guitars), Francesco Di Loreto (prepared guitar)).In un secondo momento all’appuntamento di Corciano, ho cercato di far interagire quelle posizioni con quelle del momento, verificandone i punti di incontro e di sviluppo possibile, al di là di differenze terminologiche e anche concettuali tra le due lingue. Credo sia evidente il carattere composito di questo testo, ma credo anche che questo metta in evidenza non una difficoltà, quanto piuttosto la natura di un’esperienza performatica aperta”.
Scrittura e Performance, ancora una volta, si pongono come i tratti di una differenza e di una pratica musicale che apre sentieri inediti all’agire artistico. L’epoca del thun ohne Bild, del “fare senza immagini”, di cui ha parlato Rainer Maria Rilke nelle Elegie Duinesi, diventa di fatto l’epoca in cui si producono corrispondenze tra le arti, anche là dove esse non sono immediatamente riconoscibili come tali. L’epoca in cui al di là dell’orizzonte sono “sonorizzabili e ambientalizzabili”altri orizzonti, e nel vorticare veloce delle figure e delle comunicazioni sono riconoscibili intrecci, storie possibili: l’intrigo che costituisce il senso stesso del vissuto.
Roger Keith “Syd” Barrett (Cambridge, 6 gennaio 1946 – Cambridge, 7 luglio 2006) è stato un cantautore, chitarrista, compositore e pittore britannico, fondatore e leader dei Pink Floyd dal 1965 al 1968, quando, a causa di seri problemi psichici, lasciò il gruppo e dopo una breve carriera solista si ritirò dalle scene definitivamente. Barrett, fino alla morte nel 2006, si destinò alla “pittura” e al “giardinaggio”, disinteressandosi della popolarità e facendosi vedere in pubblico sempre più raramente, alimentando così ancora di più la sua passione per lo spazio della libera performance.
Prima di ritirarsi incise due album da solista, The Madcap Laughs e Barrett, pubblicati nel 1970. La sua vicenda influenzò parte della successiva produzione dei Pink Floyd, in particolare gli album The Dark Side of the Moon, Wish You Were Here e The Wall.
L’innovativo stile chitarristico di Barrett e la sua propensione all’esplorazione di tecniche sperimentali, come l’utilizzo di disarmonie, alterazioni e effetti retroattivi, ebbero un enorme impatto su molti musicisti. L’improvvisa morte di un’attività artistica lascia perplessi i fruitori. Ma talvolta si osservano simili casi di morte entro un contesto artistico mortifero, tanto da far sembrare opportuno che l’artista, in questione, muoia perché non è amato. Il potere esibisce lo spettacolo del corpo ed è il corpo a fare le spese della scrittura. E per la poesia, mescolata o no al dolore e alla minaccia di morte, questo conio imprime sul corpo dell’arte l’etica di cui è capace l’essere artista.
In questa incertezza, l’uomo Syd, opera continui spostamenti, in quanto lavora senza sosta sul mondo prendendo le mosse della propria mancanza. Prendendo l’avvio di una strumentazione sonora incompiuta, crea incessantemente rappresentanti performativi il cui senso gli sfugge. Sembra però che prende in considerazione solo quel campo di pratiche in cui crede di trovare un tornaconto e una tranquillità ma anche la propria partita con l’arte. Giacché quello che viene designato coi termini “pratica delle disarmonie, alterazioni sonore e effetti retroattivi” si riferisce a un uomo apparente, mascherato, travestito, che appronta significanti compensatori nati dalla castrazione immaginaria da cui non è in grado di uscire.
Ha scelto come facciata o come esche certe produzioni di oggetti che intendono essere di concorrenza, di supremazia, di lotta cromatica (la pratica della pittura) e che, al limite, sono quegli stessi happening che danno la morte della musica e la pratica del giardinaggio, come continuazione della land art, estrema prova del suo potere poetico.
Il Syd fuori dal giro racconta: “Ho fatto un sogno che ho dovuto certo fare per poter raccontarlo qui. Tratta dell’argomento più difficile e più doloroso: morte della musica e non della poesia della vita. Aveva un corpo e io volevo avere un rapporto sessuale con tale corpo. C’era un conflitto tra godimento e interdetto. Mi sono fermato e mi sono svegliato. Ho l’impressione di dover inventare tutto cominciando dalla pittura e dal giardinaggio, come se da queste due pratiche dovesse originarsi qualcosa. Lo Spettacolo mi faceva paura. Raccontare il sogno qui è come mettermi in posizione di pittore e di giardiniere rispetto alla Musica che fa le veci dello Spettacolo, e Lei potrebbe dirmi che è vietato”.
Quando Ronald Laing dice “come se dovesse originarsi qualcosa indica non solo la trascorsa defezione dal suono ma anche il possibile luogo e tempo della sua parola nel luogo e nel tempo della performance”. La scrittura pone la questione della radicalità del desiderio.
Da una parte, la scelta del luogo, del materiale e dello strumento dell’iscrizione, ossia la scelta del significante di riferimento e,dall’altra, il disimpegno dalla musica, ovvero, la sottomissione al desiderio dell’Altro.
Se si tratta del desiderio di dipingere e di costruire giardini, vale affinità segreta, intima, urgente e necessaria nel piacere delle parole che si fanno immagini, segretamente percepite come collegate a una delucidazione e a una comunicazione. Parafrasando F. Blei e il suo Bestiario, oppure l’Antonin Artaud de Il suicidato Van Gogh: “Riguarda lo studio delle comete, in quanto Barrett è una cometa o stella vagante nel cielo metafisico, da cui a volte per motivi sconosciuti – non è possibile infatti calcolare in precedenza la sua orbita – si allontana per raggiungere l’atmosfera terrestre, dove comincia a andare e a mandare lampi e faville con gran fragore, a un perverso stile chitarristico” che, ebbe un enorme impatto su molti musicisti, da David Bowie a Brian Eno a Jimmy Page. Secondo la critica, generi musicali quali glam rock, rock alternativo, indie rock e punk rock subiranno da lì in avanti l’influenza dello stile di Barrett in maniera significativa. L’imponderabile traiettoria di Barrett e la sua esplosiva collisione con la terra sono immagini tanto suggestive quanto pertinenti per evocare una delle più straordinarie (nel senso di ex-straoridinaria, perturbante) avventure umane e intellettuali nell’universo compreso tra gli anni Sessanta e Settanta e la notte del 2006. Anche se va precisato in anticipo che i confini tra cielo e terra in questo caso si confondono e che gli enigmatici movimenti della cometa Barrett tradiscono una loro ostinata finalità.
Un discorso su Roger “Syd” Barrett non può non partire dal dato sconcertante della sua totale rimozione poetica della memoria nonostante la fioritura di studi e ricerche sulla sua pratica pop e psichedelica. Nella pittura e nel giardinaggio post-sonoro Barrett affermerà, silenziosamente, di aver trovato conferma del realismo spirituale cercato col suo metodo dell’interstellar overdrive … So già da molto tempo che non è possibile soltanto una trasformazione del vedere e dell’effetto dei movimenti, ma anche una trasformazione del performer e delle sensazioni”.
Il fine irrinunciabile della sua meditazione e dei suoi esperimenti poetici sarà appunto il concepimento di un linguaggio che renda giustizia all’intensità dell’Erlebnis contro i sezionamenti della concatenazione causale, che configuri gli eventi rendendo la simultaneità delle sensazioni e restituendo il tempo alla sua sostanza di The Dark Side of the Moon o di Wish You Were Here e The Wall. Il musicista deve commettere una sorta di suicidio, annullando dentro di se le rappresentazioni convenzionali dell’armonia per creare un nuovo organismo di segni conchiuso sulla pittura e sul giardinaggio. Questo obiettivo richiede un severo training, una sorta di esercizio ascetico simile all’attesa dell’oracolo nell’antichità e a quell’estasi mistica in cui l’intuizione della Performance e di una Realtà separata coincideva con la dissoluzione dell’Io e del reale. Non a caso, Barrett aspira a un recupero delle energie fantascientifiche ormai inutilizzate, per esempio di quell’immagine degli Alieni presupposta dall’esperienza del miracolo.
Una di queste vie di questo esercizio è pensare l’Assurdo sino in fondo, deformare la realtà in virtù della propria visione interna; e il Madcap Laughs, in effetti, sarà una accettazione e negazione grottesca delle comuni misure logico-psicologiche e, al tempo stesso, un difficile lavoro sulle percezioni e sulle parole di Van Gogh le suicidé de la société (essai d’Antonin Artaud), nell’attesa della forma totale e, quindi, necessaria:” Antonin,dammi un miracolo, lo stiamo cercando dal primo capitolo”.
Barrett pone il suo tortuoso percorso in un orizzonte di opere che dopo la caduta del mito reinventano il reale come complesso di liberi nessi “as-surd-reali” e compositivi, in una tradizione aperta da Beckett che salta il realismo ottocentesco per ricongiungersi alla lirica di Baudelaire.
Alla fine della sua vita, Barrett pare aver demolito sino alle fondamenta il suo edificio sonoro, rinnegando la fede nella forza creativa e rinnovatrice dell’immaginazione poetica isolata e dei suoi segni.
E’ quasi impossibile precisare fasi e cesure nella ricerca di Barrett: il suo cammino, è importante ricordarlo, procede in una continua oscillazione tra fedi entusiastiche e brutali disillusioni, tra la speranza nella genesi di un nuovo modo di fare performance e la gelida percezione dei limiti del mondo estetico, tra l’impulso a costruire un vasto ordine teorico e l’orrore di ogni definizione. La discontinuità della produzione di Barrett, i suoi progetti mai realizzati e le stesse opere compiute (scritture poetiche, musiche, dissonanze, riverberi, performance, pitture e giardini) sono il segno di questa profonda conflittualità:”Dentro di me sento ovunque il frammento, il frammentario: Potrei mutare ogni nota e ogni accordo che applico tutta la vita”.
Barrett, grande poeta dell’incompiuto, intelligenza vivissima vocata alla critica, è stato l’interprete più lucido delle sue contraddizioni. Ha individuato da sé la matrice e la natura dei suoi progetti poetici, in primo luogo“la teologia negativa del silenzio pittorico”insita nell’ascesa di una nuova forma di coltivazione. L’eden alieno è l’infantile Interstellar Overdrive che rimane sempre radicato in “The Mandcap Laugh”.
Egli ha via via ripercorso impietosamente le diverse mosse del suo “performare”, del suo “sodalizio da giardiniere delle delizie”, per dirla alla Bosch, alla Geert Groote (mistico olandese) o alla W. Fraenger, smascherando la fragilità di tutte le strategie per ritrovare una collocazione creativa e costruire una grammatica comune agli Alieni. Le pagine dell’esilio manifestano ripetutamente la cruda consapevolezza dell’irresolubilità di una vita divisa tra Io diviso, caffè letterari e quartieri periferici, tra immagini oniriche e solitudini, tra cosmogonia privata e rivoluzione mancata. E la pesante vecchiaia che si abbatte improvvisa sulle disarmonie sonore segnala probabilmente questa condizione di esilio interno, aggravata dall’impossibilità di congedare sino in fondo il sogno del Giardino (o del giardiniere).