In un’Italia sempre meno accogliente, Manifesta 12, la biennale nomade di arte e cultura contemporanea, trova ospitalità in una Palermo fascinosa. Dal 16 giugno al 4 novembre, in venti sedi, disseminate nella città e anche in periferia, il progetto curatoriale Il giardino planetario. Coltivare la coesistenza, esprime obiettivi legati al concetto di condivisione, di mescolamento botanico, culturale e umano, quasi vintage per il nostro presente xenofobo.
Punto di partenza il dipinto Veduta di Palermo, del paesaggista siciliano Francesco Lo Jacono, conservato a Palazzo Abatellis, in cui la contaminazione tra specie arboree, provenienti da ogni dove tratteggia, già in tempi non sospetti, la pacifica coesistenza tra le diversità. Anche con questa edizione, Manifesta, fondata nel 1993 e ancora diretta da Hedwig Fijen, si insinua tra le pieghe di una contemporaneità critica, sviluppando tematiche impegnative in spazi espositivi di folgorante bellezza, musei, istituzioni, gallerie, palazzi, oratori e luoghi inconsueti. Contenitori che catturano prepotentemente lo sguardo fino a risultare in alcuni casi soverchianti ma che, nel bilancio complessivo, contribuiscono a rendere questa edizione tra le più originali degli ultimi anni.
Cominciando dall’Orto Botanico dove il tema ha una sua contestualizzazione efficace con gli orti meticci di Leone Contini o con le istallazioni di Michael Wang che riflettono sulla salute del pianeta avendo come cartina di tornasole piante e affini. Fino alle esplorazioni eco-queer del cinese Zheng Bo che propone copule tra piante e umani per aprirsi alle inesplorate potenzialità di un erotismo vegetale.
Spostandosi nel vicino Palazzo Forcella De Seta, tra le sale di un gotico eclettico, rivolte verso il mare, si dipana un’articolazione politica delle questioni in campo: integrazione e cittadinanza (Patricia Kaersenhout), violazione dei diritti dei migranti nell’installazione video del collettivo Forensic Oceanography, o ancora, con Kader Attia, nelle testimonianze di quanti hanno subito gli effetti di un colonialismo e di uno sfruttamento incurante dei diritti e delle culture.
Palazzo Butera, che presto ospiterà la collezione Valsecchi e che quindi si mostra come un enorme work in progress, si segnala per l’opera ambientale di Renato Leotta, una lirica descrizione video della caduta dei limoni accompagnata da un intervento sul pavimento dove gli agrumi lasciano impronte stabili. Avvolgente la carta da parati in declinazioni flou del duo americano Fallen Fruit che elabora in modalità iperdecorativa la mappa degli frutteti palermitani incolti. All’Oratorio della Madonna dei Peccatori Pentiti, Yuri Ancarani formula una tassonomia del dolore recuperando le lapidi dedicate alle vittime di mafia, su un doppio registro, catartico, quando le decontestualizza, e viceversa, filologico quando le inquadra nelle loro attuali collocazioni.
Di quanto succede in periferia, ossia dei progetti urbani sviluppati allo Zen, a Pizzo Sella e nella Costa Sud, con il coordinamento del paesaggista francese Gilles Clément, mentore dell’intera rassegna, si può avere contezza a Palazzo Costantino. In esposizione anche i materiali utilizzati dal nigeriano Jelili Atiku per la performance nelle strade di Palermo, ad alto taso di etnicità e poco efficace come del resto l’altra processione urbana, quella di Marinella Senatore, senza dubbio più barocca e partecipata e di cui resta traccia nella chiesa dei SS.Euno e Giuliano. Di passeggiate collettive, ma questa volta in mare, con improbabili guide turistiche, con migranti e indigeni, racconta il film di Jordi Colomer, risolto in chiave ironicamente delirante, in programma all’Istituto Padre Messina.
Tra la generosa offerta di eventi collaterali, da non perdere la video installazione dei Masbedo, collocata tra le capriate lignee dell’Archivio di Stato dove giacciono, come in un laico reliquiario, faldoni di documenti e atti di ogni sorta, una memoria storica trasfigurata in un immenso e kafkiano reperto. Su questi fossili cartacei, si innalza maestosa l’immagine in movimento di un pupo (animato da Mimmo Cuticchio) per celebrare, nel reiterato cadere e rialzarsi della marionetta, la storia del regista Vittorio De Seta di cui l’archivio conserva segni della sua militanza politica nelle denunce e nei controlli di polizia.
Di pari e sublime intensità anche il Monte di Pietà Santa Rosalia a Palazzo Branciforte nel suo ipertrofico germinare di scaffalature lignee risolte in prospettive alla Escher. Lo spazio è stato scelto da Lara Favaretto (supportata dal Museo Madre di Napoli e dalla Fondazione Sandretto di Torino), per ambientare il suo Atlante di storie sommerse. Narrazioni che mettono in relazione l’attività del Monte di Pietà con racconti sconosciuti estrapolati dalla città antica e contemporanea di Pompei tra storie ufficiali e biografie private.
Nel suo rinnovato riallestimento, il Museo Archeologico Regionale Antonino Salinas di Palermo e la Collezione Maramotti di Reggio Emilia, presentano la personale Quando l’arte diventa parte del paesaggio. Capitolo I dell’artista russo Evgeny Antufiev (Kyzyl, 1986). Una caccia al tesoro giocata a colpi di mimetici interventi inseriti tra il monumentale frontone del Tempio C di Selinunte, il complesso scultoreo delle gronde leonine del tempio di Himera e preziosi reperti classici. L’artista sciorina una reinventata iconografia archeologica in grado di illuminare il passato suggerendo astuti cortocircuiti, formali e concettuali, con gli antichi manufatti.
Molti gli oratori barocchi che accolgono interventi sonori in omaggio a questa particolare tipologia architettonica, nata in passato per pregare e cantare: l’Oratorio di Santa Maria del Sabato, nell’antico quartiere ebraico, con La sindrome di Ulisse firmata Soundwalk che converte in acustica tecno, suoni, rumori e musiche dal Mediterraneo, approdando ad una mappa sonora da fruire con la fievole luce di neon disposti a perimetrare lo spazio; e l’Oratorio di San Lorenzo con Nora Turato, olandese di origine croata che si occupa di tessere, in un’unica sintassi sonora, testimonianze di donne siciliane anticonformiste e per questo condannate dall’Inquisizione.
Tra le gallerie che contribuiscono a potenziare l’offerta espositiva, da menzionare la galleria Franco Noero con Simon Starling nella chiesa di San Giovanni dell’Origlione. Un omaggio alla Decollazione del Battista di Caravaggio, filologico e spettacolare nel rintracciare i pigmenti che l’artista utilizzò. Sono raccolti in un Ape Piaggio, senza motrice, dunque simbolicamente decapitato, e mostrano come in un suk una mercanzia capace di generare, laicamente, il miracolo della creazione. Infine la galleria Continua rivela la composta avvenenza della Chiesa di Santa Venera con un progetto di Berlinde De Bruyckere: lacerti di stoffa consunta impaginati in ieratiche teche lignee.