L’8 e il 9 e 11 Dicembre l’Ambiente #2 del Macro Asilo di Roma ha ospitato le performance di due artiste, Arianna Ferreri e Annalisa Deligia, e la Lectio del grande architetto Francesco Cellini(11 dic.), già presente nel Padiglione Vaticano di quest’anno alla Biennale di Venezia sez. Architettura, curato da Francesco dal Cò.
La stanza per Please, stanza d’artista di Gianfranco D’Alonzo pensata per ospitare progetti performativi che indagano l’animo umano perfino nella spiritualità ha ospitato nel corso del mese di Dicembre anche Spaletra e Luporini, come Edoardo Albinati, Marco Vannini e molto altro.
L’artista (Gianfranco D’Alonzo, già noto, fin dagli anni ‘90 come pittore astratto enanalitico, presente con le sue opere precedenti nella collezione del Museo Macro), presenta in questa occasione i frutti di una antica ricerca di segno relazionale, nata e praticata al Metropoliz-MAAM Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropololiz, museo OCCUPATO alla proprietà Salini Impregilo e abitato da 10 anni da oltre duecento persone e 70 minori scolarizzati regolarmente, nella periferia est di Roma. Prova che le occupazioni, non sono abusi e basta ma reazioni ‘normali’ di gente senza casa normale a case senza gente normale.
Le performances in questo caso si relazionano col luogo, uno tappeto/zerbino sacro e consacrato/dissacrato teologicamente in un sincretismo religioso non ortodosso, che riconosce la ‘preghiera’ come dimensione umana e non fideistica; la preghiera in questo contesto non è sacramento se la si intende così, altrimenti è puro raccoglimento e colloquio con il mondo trascendentale.
Nello specifico, mentre Francesco Cellini illustrava tecnologie e geometrie e possibilità architettonica del suo progetto per il Padiglione Vaticano, le due performance, lasciavano spazio al movimento.
Nella prima, scenica e teatralizzata, è imprigionato da un drappo rosso, che ricorda la ‘Crisalide di Cintoli, e la celebre performance di Josef Beuys in America con il coyote, in realtà il riferimento filologico è al ‘Parangolé di Helio Oiticica e a a Apocalipopòtese di Raymundo Amado del 1968, film mostrato proprio il mese scorso nel museo dal celebre artista brasiliano Antonio Manuél. La plasticità del telo amplifica l’intensità di una difficoltà auto-imposta, leggibile come necessità espressiva di una dimensione interna dell’artista. La musica sublime di Damoon Keshavarz, sintetica e primordiale nella struttura, scorta e segue il movimento del corpo ma anche prende vie autonome e guadagna la scena.
In scena, nel secondo caso è il teatro-danza classico indiano della Bharatanatyam, dove immediato è l’accostamento dettato dalla riconoscibilità dello stile originario. Deligia perfetta nella esecuzione, scarta dal costume tradizionale e dall’impianto tradizionale per evidenziare come una ‘danza sacra’, sia innanzitutto antropologia pratica. Le due artiste si servono dello spazio secondo modalità differenti ma intense in entrambi i casi.
In Ardha la stanza, ed ancora il rettangolo del ‘tappeto/zerbino’ di preghiera presente sul pavimento, il quale è il contenitore entro cui l’arte si formalizza: la linea sul piano si traduce in recinto, themenos, luogo sacro e scena. In Possession il rettangolo diventa un semplice disegno geometrico a pavimento, ininfluente in termini di limitazione puntuale. Confini quindi da varcare o da rispettare.
Questa diversa modalità di sfruttamento dello spazio rivela la versatilità dell’architettura ideata da D’Alonzo con il suo PLEASE che vale quindi come spazio polifunzionale per qualsiasi religione per qualsiasi arte, mettendo in discussione, delicatamente, lo statuto di ciascuna pratica, nel suo manifestarsi.