Seguendo un segnale, peraltro impercettibile, che è stato quello di indagare per vie dirette e trasversali lo status complessivo e vivace dell’artista, mi sono imposta uno stop finale.
Per consegnarmi a un democratico dubbio.
Mi domando infatti, dopo tutta questa fatica a puntate, fatta di postulati, intercettazioni, raccomandazioni, se il punto della situazione sia forse il seguente. Quante e quali prospettive si aprono, mettendo “sul lettino” il soggetto artista, in un momento storico e sociale in cui l’angoscia è il denominatore comune di amplificazione di talune falsità e il reale, senza la memoria, un inganno da propinare a chi si lascia ingannare?
Abbiamo appreso, senza dimenticare, (ma qui è bene ricordare), le dinamiche che interagiscono nell’innovativo istintuale e quali sono i processi che producono attraverso le capacità speculative quella “ conditio sine qua non” fondamentale per lasciare supporre un’inevitabile evoluzione necessaria per dare corpo e sostanza alla personalità del soggetto artista. E al suo peso specifico. Costruito sull’esperienza di una vita attraversata fino dai primi istanti da un’infanzia spesso paralizzante, aggravata da situazioni angoscianti, da ingerenze conflittuali, da intime dicotomie. Che hanno generato nell’artista con personalità già predisposta alla depressione o agli eccessi opposti determinate contaminazioni le quali hanno avviato nel trascorrere degli anni fenomeni di squilibrio. Ma che hanno innescato anche quel flusso creativo indispensabile, nel lungo perdurare dell’ossessione, a fare luce sulla propria “oscurità trasparente”.
La biografia di ogni artista è una confessione a cuore aperto, senza anestesia, perché tutto il lavoro prodotto (creativo) è un attestato di intima coerenza e di garanzia al “credo” che si professa. Un “credo” che si illumina come una Verità assoluta, si misura con il coraggio del proprio fare, perpetuando un presente sempre in bilico, in collisione con un futuro immaginifico, ineluttabile, come un lampo nell’aria che non conosce ostacoli. Se non quelli legati a un successo mancato, a una salvezza sfumata, a uno sgambetto del destino, a un feedback improvviso, inopportuno. Questo è un problema dovuto alla mancanza di risposte concrete, mirate e che generano nella vita dell’artista sussulti cruciali, un affanno costante che sono un detrattore di quella energia e concentrazione significative rivolte al proprio lavoro. Non disgiunte da una ricerca prolungata di attenzione e plauso da parte del sistema dell’arte, del mercato, come del pubblico. Un pubblico incerto, diviso tra un’assenza non programmata, forse strutturale, politica e un’assuefazione al deja vu, alla provocazione in quanto tale, banalizzata dalla serialità dei media, dalla spettacolarizzazione senza un’etica ben definita. E quando vengono meno determinati principi che sono il collante della società tutto il sistema ne soffre dando lo spunto a riflessioni che sono la punta dell’iceberg di certi malumori a volte espressi, a volte nascosti o meglio mascherati dallo stesso star system dell’arte come della cultura. Volgendo lo sguardo al nostro Paese, come non rilevare le enormi carenze che paralizzano il lavoro il curriculum degli artisti stessi, sottovalutati se non dimenticati come zavorra , come presenze oscure senza rilevanza dal sistema anche politico che è quello che organizza dall’alto attenzioni e poteri economici da manipolare attraverso gli Enti, i Comuni, gli Assessorati alla cultura. In gara per esporre sempre e comunque solo e solamente quello che è certamente il nostro vanto, ovvero l’arte classica tradizionale, ma che rappresenta in un contesto internazionale anche il nostro limite. Siamo una nazione povera di strutture, mentre crollano muri o si aprono squarci rovinosi tra i nostri monumenti, gli stessi nostri musei non sono in grado di ospitare, se non in numero limitato, mostre e collezioni di rilievo . O affrontare acquisti, come la monumentale collezione di Minimal Art di Panza Di Biumo, andata al Museum of Contemporary Art di Los Angeles e al Solomon Guggenheim di New York. E’ molto esigua da parte degli italiani l’attenzione per questi argomenti off limits dell’arte e dintorni, distanti anni luce dalla loro comprensione, come se ci fosse un vero filo spinato che ne impedisca il varco, per oltrepassare quella barriera mentale che è il vero dosso da superare. L’assenza di una volontà politica, ripeto, ha determinato un inquinamento visivo, una giostra caleidoscopica di “figure” con mansioni inventate sul campo a predisporre e trasformare i centri di potere assumendo connotati di una democrazia dittatoriale, dove, a dispetto di un inevitabile processo di stand by, aumenta il tasso di quel caos a circuito chiuso che implode su se stesso, centrifugando massa ed energia, obbiettivi, ideologie, regole e un’overdose di stress diabolico. L’italiano medio, già circonfuso da altrettante disastrose ricadute, incapace di un pensiero responsabile di autentica civiltà, preferisce il clamore dello stadio, i tortellini alla bolognese per saziare il proprio stomaco, (l’Italia sta sempre a tavola), quattro ore di imbarbarimento televisivo che una vera presa di coscienza sul genere Bastiglia, travestito da chierichetto, sempre in posizione prona a servire messa al politico di turno, un improbabile deus ex machina che non risolve nulla, se non i propri interessi.
A questo punto, per evitare la trance collettiva, ogni dubbio è legittimato a montare come la panna e la risposta viene in soccorso da un intellettuale dei più brillanti della storia, Oscar Wilde, che ci ricorda che uno degli approdi migliori per chi vive il sogno di una cultura moderna e allargata risiede nella dimensione dell’utopia. “ Una carta geografica del mondo che non comprenda l’Utopia non merita neanche lo sguardo, giacchè lascia fuori l’unico paese al quale l’Umanità approda di continuo. E quando l’Umanità vi arriva guarda altrove e scorgendo un paese migliore, alza le vele e riparte. Il progresso è la realizzazione dell’Utopia”.
L’artista, la cui indole lo ha predisposto alla sfida, a un continuo esercizio di resistenza, ma anche di abbandono osando senza limiti ogni linguaggio della trasgressione, conosce perfettamente che “la vita è uno scherzo,” come iniziò conversando durante una lezione nell’aula di architettura Oscar Niemeyer. Del resto, il pluri citato artista anglo – tedesco Tino Sehgal, con le sue sculture viventi ci parla di finzioni che diventano emozioni. Questa linea che è borderline di se stessa è il tramite attraverso la quale l’artista gioca seguendo le variabili dei propri sentimenti per rimuovere con gesti anticonvenzionali tensioni, energie creative, il pensiero costante della morte e la nostra inevitabile sottomissione.. Combattuta, osteggiata, irrisa, evocata, ma la vera e unica componente di questo nostro scenario, senza apparenti orizzonti.
Forse, come scrisse Tonino Guerra negli ultimi istanti della sua vita, la morte è solo un assottigliarci come una foglia per passare sotto la porta che ci separa dall’altra stanza, per riconoscerci fatti della stessa sostanza dei sogni.
11 aprile 2018
Domande
1) Che cos’è l’arte? Un lavoro, oppure un hobby?
2) Vissi d’arte o vissi d’amore?
3) Si dice che sia un tipo strano: hai mai incontrato o conosciuto un’artista?
4) Si dice anche che sia un narcisista estremo. O un caratteriale disturbato?
5) Perché acquistare un quadro, un’opera d’arte?
6) In che misura è “ricco” un artista (contemporaneo)?
7) Parlando di libertà, sei tentato a immaginare l’artista come un soggetto anarchico o vincolato dal sistema?
8) Quali sono le esigenze di un’artista? Materiali o solo estetiche?
9) Artisti o artiste, a chi daresti lo scettro?
Alessia Bellucci
Anila Keci
Athos Happacher
Barbara Ledda
Barbara Ventola
Bruno Vescovo
Enrico Ricciotti
Fabiano Del Papa
Fausto Paci
Gabriele Santarelli
Lanfranco Ninno
Mina Welby
Miriam Raissi
Raffaele Sabatino
Urbano Urbani
Vincenzo Marzocchini
Walter Vallesi