Sono tre le gallerie milanesi che hanno voluto dedicare, in contemporanea, una personale a Livio Marzot, nella primavera del 2017. Nell’ordine Grossetti Arte, Atonia Jannone Disegni di Architettura e Galleria Milano. Da Grossetti Arte la mostra proseguirà fino a fine mese, mentre le altre si sono appena concluse.
Livio Marzot è un artista singolare che esplora di continuo nuove modalità di rapportarsi alla vita e al mondo circostante, vivendo l’arte in diretta e sperimentando senza mediazioni. Alla stregua di un regista, Marzot con la sua arte sonda micro fenomeni naturali scatenando al contempo emozioni nascoste.
Il suo linguaggio incontra la pittura, la scultura, l’arte ambientale e l’installazione con una modalità espressiva che sfiora una suadente malinconia, capace di sollevare contraddittori, tuttavia senza rompere una sottesa armonia che attraversa il suo lavoro. Nella sua opera ravvisiamo una costellazione di segni e un ritorno a strutture primarie che lo conducono all’astrazione lirica. Tocca corde sottili e simultaneamente crea incontri inaspettati. Alla fine degli anni Cinquanta e agli inizi dei Sessanta l’astrazione è più forte, poi per la Biennale presenta dei moduli di ferro nero che porta a Venezia nel 1968, recuperando l’immagine figurativa negli anni Ottanta e Novanta, per giungere in seguito alla composizione di opere su tela e su carta. Le linee si fanno, in queste prove più recenti, nuovamente sinuose e il colore, che va oltre la figura versando in direzione di forme più evanescenti e simboliche, raggiunge una spazialità fatta di energia che fa vibrare il cuore. Livio Marzot scuote un sentimento saettante e dinamico tipicamente suo.
Alla sua opera è stato dedicato un libro realizzato dalla Fondazione Mudima a cura di Gianluca Ranzi. S’intitola Livio Marzot – Opere dal 1959 al 2015, 2016
Livio Marzot (Induno Olona, 1934) espone per la prima volta al Salone Annunciata nel 1959. Nel 1968 allestisce alla Biennale di Venezia una sala personale di grandi sculture minimaliste, ma la chiude e rifiuta l’invito a partecipare alla successiva non per ragioni di natura ideologica, ma per un senso di soffocamento claustrofobico causato dalle cariche della polizia nelle anguste calli veneziane e dalle pressioni ricattatorie degli artisti esclusi, fortemente politicizzati. Si trasferisce quindi negli Stati Uniti dove presenta il suo lavoro concettuale sui processi creativi al California Art Institute e, invitato da John Baldessari, alla Stanford University e al Massachussets Institute of Technology. Rientra in Italia alla fine degli anni settanta e collabora con Bruno Munari per giochi didattici, pubblicando anche alcuni libri con Emme Edizioni ed Einaudi. Ritornato in Italia è del 1981 la sua mostra “Un ricercare e cento variazioni” alla galleria Studio Grossetti di Milano, a cui seguono le mostre presso la galleria di Philippe Daverio, in cui la pittura di Marzot approda verso la resa evocativa di paesaggi mediterranei assolati e mitici, animati da una presenza invisibile e panica. Dal 1991 torna ad esporre opere pittoriche prevalentemente di paesaggi e di animali, con le mostre alla galleria Antonia Jannone e da Jean Blanchaert. Nel 2009 la Fondazione Mudima gli ha dedicato una mostra antologica con opere dal 1961 fino a quelle più recenti. Del suo lavoro hanno scritto, tra gli altri, Emilio Tadini, Guido Ballo, Raffaele De Grada, Dino Buzzati, Gillo Dorfles, Lea Vergine, Tommaso Trini, Giovanni Raboni e Ettore Sottsass.