Il fatto: alle 19.00 cr. di lunedì 15 aprile 2019 le immagini della cattedrale in fiamme di Notre Dame di Parigi fanno il giro del mondo. Com’è ovvio e normale che sia la stampa internazionale batte immediatamente la notizia e pochi minuti dopo il web è in subbuglio. Nel vedere le immagini dell’impressionante incendio – il cui taglio e impostazione per certi aspetti mi hanno ricordato l’11 settembre, cosa “credo” affatto casuale – verrebbe voglia di rimanere solo in silenzio. Tuttavia, aldilà dell’ovvio e condiviso cordoglio che, poiché persona di cultura mi fa essere vicina allo sdegno generale sulla faccenda, vorrei spendere qualche parola, non tanto sul fatto in sé, quanto su come la stampa generalista (in realtà anche quella specializzata che non citerò) ha trattato la notizia.
Semmai qualche sceneggiatore fosse in cerca di una storia d’effetto da rielaborare gli consiglierei di leggere quanto pubblicato nelle prime ore dopo l’incendio. Alla narrazione dei fatti, seguono tutta una serie di elementi ideali per una fiction di successo: dallo choc dell’evento improvviso allo sturm und drang di spettatori inconsapevoli di fronte alla forza indomabile della natura che, distruggendo l’opera secolare dell’uomo (mi viene da pensare a un quadro di Turner) in pochi minuti si trasforma in voyerismo contemporaneo.
Tutti con il telefono in mano per catturare il memorabile hic et nunc!.
Poi Facebook, Twitter, le dichiarazioni improbabili di politici ed esperti, infine i commenti altrettanto improbabili di persone che a mala pena sanno qualcosa di Notre Dame perché la ricordano giusto nel noto film della Disney. A tal proposito ci pensa l’Huffingtonpost: «Il dolore per l’incendio di Notre Dame è tutto in questo disegno». Metti ci fosse ancora qualcuno che non aveva ben capito cosa era accaduto e dove, arriva l’esplicativo disegno di Quasimodo che abbraccia la cattedrale assolvendo così all’arduo compito didattico. (Ah…per i più colti ci sarebbe anche stata la versione musical di Riccardo Cocciante…magari l’immagine di Lola Ponce avrebbe alzato le condivisioni?).
Strabiliante, ma non c’è nulla da ridere, la polemica sul mancato intervento dall’alto. Proverbiale ma raccapricciante più che altro il Twitter che dagli Stati Uniti lancia Donald Trump: perché i vigili del fuoco francesi non usano i Canadair (o gli elicotteri) per spegnere l’incendio? (Tgcom24).
No dico…il twitter! D’accordo ci siamo abituati (forse è anche giusto) alle comunicazioni ufficiali dei politici attraverso i social (pare che si vincano le elezioni così oramai), ma quello che lascia senza parole non è l’ingenua (uso una parola elegante) domanda del Presidente USA ma le giustificazioni che gli “esperti” si sono trovati costretti a dare per spiegare perché i vigili del fuoco parigini non sono degli incompetenti o dei pazzi furiosi.
Da “Le Monde”, notizia ribattuta dal “Messaggero” in Italia, vengono riportate le parole della protezione civile che si è vista costretta a spiegare perché non si possono lanciare 6 tonnellate di acqua ad alta velocità verso il suolo. (Mi chiedo a quanto lavoro “inutile” debbano dedicarsi questi poveri Uffici Stampa).
Tutto, naturalmente, sempre via Twitter, perché il popolo deve sentirsi coinvolto! E dall’Italia interviene l’ingegnere Parisi: «C’è un altro elemento: il fumo verso l’alto riduce la visibilità e complica un intervento aereo. Secondo la mia esperienza, in Italia solo in alcune occasioni, in capannoni senza valore storico e lontano dai centri abitati, siamo intervenuti con gli elicotteri per domare il fuoco in ambienti chiusi» (Il Messaggero 15 aprile 2019). Sottolineo il povero Parisi costretto a dichiarare: “secondo la mia esperienza”! Che con quel miaevidenzia il suo doversi confrontare con l’esperienza di tutti.
Eh sì, perché oramai fra Sky Atlantic, Netflix e chi più ne ha ne metta, lo sappiamo tutti cosa bisogna fare quando c’è un incendio! Ma soprattutto siamo tutti altrettanto titolati a giudicare come e che cosa va salvato e perché. A questo punto se fossimo delle persone serie potremmo far partire delle riflessioni sul tema del turismo culturale di come Notre Dame, così come mille altri siti nel mondo, siano diventati dei feticci (Damien Hirst Docet! Si rammenti il caso della doppia mostra a Palazzo Grassi e Punta della Dogana a Venezia nel 2017) o per l’appunto materia da fiction, peggio ancora delle banali cartoline cui nessuno vuole rinunciare. E sennò dove lo facciamo il selfie? Che sia chiaro: nulla in contrario ai selfie…anzi…ma da strumento di socializzazione a farne uno di informazione mi pare ci sia un abisso.
Ma andiamo avanti. Dopo un po’, spunta il giallo del cantiere incustodito e il flop del sistema antincendio. Poi arrivano i pompieri, ai quali dall’11 settembre in poi il mondo sembra regalare tante parole di stima ma neanche un misero aumento di stipendio che, non solo domano la fiamme, ma portano in salvo le opere d’arte (La Stampa).
Finalmente si parla di arte. A essere onesti sin da subito il sito è sempre stato citato quale patrimonio dell’umanità…ma viene da chiedersi, a quale umanità ci riferiamo?
C’è quella del Papa in preghiera vicino alla Francia!
C’è quella dell’ISIS. Beh…se non c’è un po’ di terrorismo dietro questa faccenda allora che notizia è? «Notre-Dame, incendio domato. “Ma incertezze su stabilità”. Isis: “Colpo al cuore dei crociati». Questa mi piace perché per caso l’ho letta su PlayHitMusic. Ovviamente riportata da tutti i network…ma PlayHitMusic mi chiedo: che ci azzecca? Il quale a sua volta sottolinea come la notizia definita dai militanti ISIS come: “castigo e punizione” provenga da il “Site”, il sito di monitoraggio del jihadismo sul web. (si veda anche: “Il Fatto Quotidiano”.)
Seguono le grandi verità, ovvero quella di Victor Hugo. Anzi: la terribile profezia di Victor Hugo. «Una descrizione sorprendente dell’incendio della cattedrale di Parigi quello immaginato dallo scrittore francese Victor Hugo nel suo romanzo Notre Dame de Paris” del 1831». (Il Messaggero).
Ma come non chiudere con la somma verità del nostro Vittorio Sgarbi nazionaleche, appena nominato Presidente del Mart pensa bene di affermare a Quarta Repubblica “Lì non c’è nulla di valore” con Meluzzi a ribattere: “Si vergogni”. Ecco il siparietto che ci mancava con Sgarbi all’attacco che spiega: “Le cose irreparabili sono quelle dove perdi delle opere centrali per la cultura dell’Occidente. Lì non c’è nulla, le vetrate sono state finite nel 1967 e sono opere triviali di nessuna importanza e se dovremo ricostruire ricostruiremo”.
Beh si come no…in fin dei conti che ci stanno a fare gli storici dell’arte? gli antropologi? e tutti i “mestieranti” della cultura? Ma c’è qualcuno che anziché sorridere di questa roba che passa in TV e sui social ha il coraggio di affermare che questo signore è un vero cretino? Eppure cose intelligenti ne ha scritte, e anche molte, l’arte la conosce eccome ma la televisione , la fama, la notorietà dà parecchio alla testa quando si tratta di alzare lo share. Se dovessimo seguire questo pensiero allora dovremmo fare a pezzi studi e studi su ciò che nel tempo ha legittimato socialmente ciò che è arte. Se i nostri antenati avessero ragionato così nulla sarebbe arrivato a noi. Se non ci fosse stata l’estetica a intervenire su certi manufatti, a molti non daremmo alcun valore. Viva la fiera del pensiero ridotto a zero. Ma chi sono io per dire questo? Io che fin dei conti non ho scritto nulla di determinante per la storia dell’arte? Beh…se mi si rivolgesse tale accusa come risposta a queste affermazioni, dichiarerei che sono semplicemente una persona sensibile che guarda le cose e osserva i fatti con senso critico quando può e come può.
Ma tornando a Parigi ecco la soluzione finale e risolutiva: ci penserà il miliardario Pinault donando 100 milioni di euro per la ricostruzione.
E così il Patrimonio dell’Umanità sarà salvato dalla colletta miliardaria. Coinvolte la famiglia Pinault, Gucci, Balenciaga, Louis Vuitton e Arnault, quest’ultima, manco fossimo a lascia o raddoppia, con un rilancio sulla donazione di 200 milioni di euro.
È un epilogo che a molti sembrerà salvifico. A me francamente sembra che lo Stato, qualsiasi Stato, che noi tutti, la collettività, abbia definitivamente deposto l’idea di avere una voce in capitolo in materia di beni culturali. Nel senso che: c’è qualcuno che ha i soldi? Mi pare giusto ce li metta…in fin dei conti a noi basta avere un’attrazione turistica dove andare.
Sembrerò esagerata ma mi pare una “simpatica” forma di neo-schiavismo, una di quelle, complice una stampa internazionale con un livello di etica sempre più basso, e un mix di social privi di qualsiasi regolamentazione in materia di comunicazione che lobotomizza sempre di più le masse, rendendole incapaci di comprendere il valore e il perché delle cose che ha intorno. Figuriamoci la Storia. Cosa fare? Non lo so, ma sono questi i casi in cui vorrei che a scuola e nelle Università si tornasse a studiare Benedetto Croce, così da scansare ogni forma di emotività per tornare a valutare un qualsiasi oggetto come una forma di conoscenza.
Tuttavia, infine, se devo salvare un articolo sulla vicenda Notre Dame, salvo l’Linkiesta che, per quanto scarno, per lo meno centra il vero nodo della questione con un titolo che recita: «La nostra Notre-Dame si chiama Europa: non ricordiamocelo solamente quando brucia». E prosegue: «La cattedrale di Notre-Dame stava cadendo a pezzi, vittima dell’incuria e di tagli alla spesa pubblica che colpiscono sempre la cultura per prima, che tanto le pietre non scendono in piazza. Servivano 150 milioni per rimetterla in sesto, lo Stato francese non ne poteva (voleva?) stanziare più di 40».
Et voilà! Magia! Quali sono le vere cause (presunte accidentali) dell’incendio non è dato sapere ma i soldi per ricostruire Notre Dame sono stati trovati e da domani il “nostro” patrimonio dell’umanità ha nuovi padroni da ringraziare.
Siamo sempre lì…lo sappiamo che la cultura e il sapere ci renderebbero liberi, che la scuola e l’educazione sarebbero una grande risorsa…ma alla fine 15 gg di ferie all’anno e un bel viaggio a Parigi valgono tutto il nostro silenzio.