La ripresa, il 18 maggio 2017, di Fotopartiture ha riproposto la registrazione 2010 dell’interazione tra i musicisti, con visione delle immagini di D’Agostino. Dal 19 maggio le stesse immagini, senza musica, ricorrono in loop, in esposizione, per sette giorni 24 ore al giorno presso la Vetrina di via del Consolato.
La scelta espositiva, installativa, alla quale si assiste nella riedizione delle Fotopartiture presso Una Vetrina, in via del Consolato a Roma, dà modo di riattivare un percorso virtuoso di riflessione tra segno fotografico indecidibile, senza codice, e segno musicale improvvisato, senza precedenti scritture, notazioni, appunti preparatori.
Non sarà forse azzardato vedere, nelle micrografie e nei dettagli sfuggenti e però assolutamente incisi e articolati dei piani fotografici proposti da Pietro D’Agostino, qualcosa di affine a una sorta di alfabeto dissipato, senza linguaggio, o scrittura asemantica, in sintonia con altre ricerche a base linguistica che negli ultimi anni sembrano crescere ed estendersi in tutto il mondo.
Nell’area di lavoro visivo di D’Agostino – solo impropriamente definibile “astratta” – le graffiature del reale affiorano con decisione e in tutta evidenza ma in forma energicamente non assertiva, cioè tramite profili non precisabili che sembrano solo alludere al mondo naturale, organico e inorganico (segmenti di prismi, piegature architettoniche, tramature, griglie, grani), o a ombre incerte di quanto riteniamo decodificabile sul piano della visione retinica. Non sappiamo mai esattamente cosa lui esponga allo sguardo.
Così, attraverso un gesto sonoro pienamente integrato in questa sintassi, i musicisti tratteggiano il proprio spazio, indistinguibile dalla partitura fotografica: sovrappongono le loro linee, i rapporti sonori scaleni – non scontati – che li fanno dialogare.
Come detto, la stessa natura di improvvisazione dei percorsi musicali scompagina ogni pretesa registica e ogni certezza anzi addirittura ipotesi di didascalia. Gli strumenti non funzionano da amplificatori o mimi o corteggiatori dell’umbratile che sta nelle immagini, ma – nella loro differenza e interferenza – se ne fanno interpreti, crescendo o diminuendo in indipendenza a mano a mano che cresce o si rimodula la conversazione o scontro che li allaccia.
La stessa parola “fotopartiture” è unica e insieme doppia: il suo secondo segmento – “partiture” – sostituisce/richiama chiaramente il vocabolo “grafie“, e in fondo proprio così lo riconvoca in campo come fantasma possibile. È la grafia, la scrizione, la traccia (track) presente tanto nei giochi di luminescenza delle foto quanto in quelli di diffrazione e ramificazione imprevedibile dei suoni.
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