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Le donne di Balthus

Le donne di Balthus (Arkadia Editore), nota critica

A concludere la grande mostra monografica che ha esaltato il nome di Balthus, è arrivata a Roma una delle scrittrici contemporanee che già in tempi non sospetti tentava di restituirgli il giusto spessore simbolico. Valentina Neri ha pubblicato Le donne di Balthus (Arkadia) per ciò che le hanno trasmesso le opere del maestro Balthasar Klossowski de Rola (1908-2001) e, a quindici anni dalla sua scomparsa, è stato ristampato in suo tributo. Il libro, che per ricchezza stilistica supera i confini del genere giallo, s’incastona su una delle opere manifesto dell’esposizione alle Scuderie del Quirinale, sulla potenza espressiva de La Chambre (1952-54, olio su tela), che illumina il mistero sul quale si fonda la trama. Un’oscurità necessaria per ritrovare la luce, non a caso com’è per le donne dipinte da Balthus, per la tensione dei loro sguardi proiettati oltre l’incertezza di una finestra chiusa. Ne La Chambre si evince la natura enigmatica e contraddittoria dell’artista, avvezzo ai vetri opachi: non si comprende a pieno se la figura femminile si sia abbandonata sulla poltrona a seguito di un’estasi o di un dolore atroce. Se respiri ancora o se sia morta. Il cuore dell’indagine di Selene, l’ammaliante protagonista, e dell’amica Ludovica pulsa grazie a un segreto. Invece la “nana” che tira la tenda, com’è stata definita dalla critica, sembra far luce sull’accaduto e quindi sulla caduta umana. La sensazione di angoscia che percepisce il fruitore aumenta, ma Balthus non giudica; anzi, si raffigura all’interno dell’opera, nei panni di un gatto, di un felino voyeur.

«L’intreccio è di una sapienza rara: scorre fluido pur trattando di fatti tremendi – ha argomentato Silvio Raffo – La Neri intesse un mosaico sugli equivoci dovuti a rovinose passioni, in grado di commuovere con eleganza, senza un grammo di volgarità». Il tessuto del racconto acquista rapidamente slancio, quasi si trattasse di una serie di pennellate sulla tela. Le domande a cui è condotto il lettore affiorano rapidamente, grazie a una narrazione buia e contorta, ma solo in apparenza. Proseguendo lo stile della Neri si dimostra scorrevole e incalzante, i colpi di scena inaspettati e i nodi vengono all’improvviso al pettine dei lunghi capelli di Selene, che finiranno per sbrigliarsi con naturalezza.

È intensa la passione dell’autrice per la storia dell’arte, spaziando «dalla Metafisica di De Chirico ai volumi cezanniani, dai toni chiari eppure tanto inaspettatamente cupi», all’entroterra naif dell’isola a cui ella stessa è radicata; infatti nel frangente in cui Selene si trova di fronte a un dipinto, tutto intorno a lei si placa. Valentina Neri esce dal corso del tempo a suo piacimento e, attraverso vivide descrizioni, trasporta chi legge nel suo immaginario emotivo. D’altronde, è Balthus tra le righe a citare l’amico Duchamp: «Un quadro che non sciocca, non vale la pena». La sua poetica emerge tra la produzione e la vita privata in maniera puntuale, dentro le lettere del fratello Pierre, uno dei suoi critici più acuti. Avere tra le mani Le donne di Balthus prima di entrare in mostra consentiva di calarsi profondamente nel linguaggio dell’artista. E quasi a prevederlo fu Maria Luisa Spaziani, che volle presentare il libro per prima nella Capitale, a una delle sue ultime apparizioni pubbliche. La poetessa romana d’adozione conobbe di persona il maestro parigino mentre frequentava l’Accademia di Villa Medici: «Queste pagine mi riappacificano con la narrativa – ha affermato la Spaziani – Un romanzo notevole per la sua memoria, che non ebbe la fama meritata».

Matteo Bianchi

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