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La Scuola di Palermo, Sgarbi, il vuoto di Kounellis, la mostra nella mostra

È mai possibile, o porco di un cane,
che le avventure in codesto reame…

Sulla Scuola di Palermo ne ha scritto chiunque. E così, mettendomi in coda, per non esser da meno, ne scrivo anch’io. Ma senza l’oggettività dei fatti; e in modo spurio, non approfondito. Anzi, personale. Cambia poco…

La vicenda è tipicamente italiana: cioè una di quelle vicende che, nelle mostre del Bel paese, sono all’ordine del giorno. Perché le mostre italiane, se non lo sapessi, oggi somigliano sempre più all’incontro ideale tra il fetore del circo e i velluti del teatro. Non tutte, va bene, non tutte. Però siamo lì.

Provo a iniziare. La Scuola di Palermo, di cui non ho mai capito né chi sia il maestro né quale idea la raggruppi (per “Palermo blues” fu fatto un accenno di quest’ultimo aspetto, lo ammetto), l’ho seguita fin da subito, ovvero fin da quando mi trasferii nel capoluogo siciliano per studiare all’università. Ho sempre nutrito particolare ammirazione per le opere -non lo nascondo- di Francesco De Grandi (così dark, solenne, che pare a volte un malinconico paesaggista tedesco dell’Ottocento), e Andrea Di Marco (invece così pulito, pienamente palermitano, che mi ricorda un po’ quelle foto anni ’70 dimenticate in cantina). Ebbene, il 22 marzo scorso la Scuola -per intero- è andata in scena a Palazzo Riso, curata da Sergio Troisi.

Una bella mostra; non c’è nulla da aggiungere. Che mi ha provocato una forte nostalgia dei primi anni del 2000, dei fermenti artistici di quel periodo, e soprattutto di Franca Prati: ché lì da lei, in galleria, di pomeriggi a parlare delle potenzialità e delle contraddizioni dell’arte palermitana, e degli artisti, e anche della nascita della Scuola di Palermo, ne passai parecchi.

Va bene, veniamo al dunque. Fulvio Di Piazza e Francesco De Grandi mercoledì 28 marzo, con un proclama su Facebook suddiviso in sei punti (che qui sotto vien riportato per intero, anche con link), hanno raccontato al mondo social uno strano episodio, che ha scosso le sensibilità dei tanti siciliani a loro volta tanto sensibili all’arte: un “contrasto” avvenuto tra i pittori della Scuola e il noto Vittorio Sgarbi, ex assessore alla cultura della Regione Sicilia, di cui, presso tutti i bar dell’isola, si dice che sia da considerare soltanto un rodaggio del neonato governo Musumeci (chessò, io riporto solo le voci. Comunque in quella poltrona vacante di assessore, almeno per dare una notizia in questo articolo, sappiamo che siederà Sebastiano Tusa).

In breve: mentre la Scuola di Palermo si accingeva ad allestire la propria mostra, “parallelamente” ne prendeva vita un’altra, intitolata “Morte e Vita”, dell’artista Enrico Robusti, curata dallo storico dell’arte ferrarese. E mi fermerei qui. Perché il resto è ben raccontato nel post.

Personalmente, avendo le attività cerebrali molto lente, dopo quasi una settimana mi sono chiesto questo: tra trenta o cento anni (la sparo grossa), quando ricorderemo di Palermo nominata capitale della cultura nel 2018, ed elencheremo le varie attività in città, dovremmo raccontare ‘ste cose? Dai, obiettivamente: non sarebbe stato più bello scrivere una recensione alla mostra della Scuola di Palermo, e separatamente una a Enrico Robusti, piuttosto che questa insalata di personali opinioni su una mostra nella mostra, avvenuta nel reame palermitano?

Adesso sento il vuoto. Quello di Kounellis.

 

 

Il post
A proposito della mostra in corso a Palazzo Riso dedicata alla Scuola di Palermo ci preme chiarire quanto segue:
1) nella convenzione con il Museo Riso a proposito della mostra su La Scuola di Palermo è indicato esplicitamente che la Sala Kounellis è esclusa dal percorso anche per la clausola stipulata con l’artista al momento della acquisizione dell’opera.
2) seguendo queste indicazioni, progettiamo l’allestimento in modo da collocare, nella sala adiacente alla sala Kounellis, opere che si relazionano con rispetto al vuoto e al silenzio dell’opera di Kounellis
3) il giorno della preview, incorrendo in un equivoco grottesco, Sgarbi scambia le opere collocate nella sala per terra pronte per essere imballate in quanto non comprese nel percorso, per dipinti in qualche modo in mostra. Le ricolloca adagiandole alle pareti e chiede che rimangano così, a dispetto del percorso ideato dai curatori insieme agli artisti e di ogni elementare norma di sicurezza
4) il giorno della inaugurazione, a cui non è presente, avendo saputo che questa sua indicazione non era stata rispettata, minaccia, come riportato in virgolettato dalla stampa, di chiudere l’esposizione, non si comprende in quale ruolo, se le sue indicazioni non saranno seguite
5) al nostro diniego in nome della nostra autonomia e della volontà dello stesso Kounellis, Sgarbi predispone in poche ore l’allestimento di un’altra mostra, scavalcando totalmente la direzione e, fatto ancora più grave, sovrapponendo al suo ruolo di amministratore della cosa pubblica i suoi interessi privati di curatore, disponendo del museo come cosa sua
6) inserisce all’interno della sala al primo piano dedicata alla Scuola di Palermo un grande pannello con un suo testo sulle due mostre, ancora una volta forzando con protervia il disegno dei curatori e degli artisti, neppure avvertiti dalla direzione di tale intromissione indebita.
Questi i fatti.
Alessandro Bazan, Francesco De Grandi, Fulvio Di Piazza, Alessandro Pinto, Sergio Troisi.

 

Il testo è consultabile ai seguenti indirizzi:

https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=10211082948620615&id=1563024814

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Dario Orphée La Mendola

Nato ad Agrigento. Maturità scientifica. Laurea magistrale in filosofia. Insegna Estetica ed Etica della Comunicazione presso l'Accademia di Belle Arti di Agrigento e Progettazione delle professionalità presso l'Accademia di Belle Arti di Catania. Critico e curatore indipendente. Collabora con numerose riviste, scrivendo di arte, estetica, filosofia della natura e filosofia dell'agricoltura. Si sta occupando dello studio del sentimento, di gnoseologia dell'arte, estetica della natura e scienze naturali.