Si è inaugurata da pochi giorni al MARCA di Catanzaro La pittura disseminata, straordinaria antologica di Pino Pinelli; una mostra “didattica” – dice l’artista -, alludendo all’intenzione di esporre dettagliatamente, nelle sale del Museo, quel percorso lineare e continuativo della propria ricerca che dagli anni Settanta ad oggi lo ha reso un “frammento” di storia dell’arte. Ventuno opere per raccontare una lunga carriera, fatta di luoghi – come il suo trasferimento a Milano da Catania nel 1963 -, di scambi, di incontri – come quello con Fontana, con Turcato, con Menna -, di sperimentazioni e di ferme convinzioni. E difatti, le sperimentazioni di Pinelli, che si pongono in continuità con il fermento culturale che aveva investito il capoluogo lombardo e che rispondono alla domanda radicale su come restare fedeli alla pittura, superando la lunghissima tradizione italiana, hanno incontrato non poche ostilità. Nel corso degli anni, Pinelli – afferma lo stesso artista – ha dovuto ampiamente difendere la sua pittura disseminata dalle critiche di chi non comprendeva la scelta di essere andato sui muri, spargendo frammenti di quadro, disseminando oggetti nello spazio.
Pinelli rompe l’unità visiva del quadro, di cui conserva solo i quattro angoli (Pittura GR, 1976, in mostra e qui in foto), dando avvio a quella “frammentità”, per usare una definizione di Giorgio Bonomi, curatore della mostra, con cui la pittura trova un nuovo respiro, tutto italiano. Siamo ben lontani dalla serialità delle primary structures della Minimal Art, poiché Pinelli – per sua stessa ammissione – non può rinunciare a quella visionarietà poetica, tipicamente italiana, radicata nelle bellezze del passato, che si esplica nell’utopia di una pittura che cammina a parete, che invade lo spazio, che lo invoca a sé, attirandolo sul muro con una dirompente forza centripeta, che si insinua tra i frammenti disseminati e li sostiene. Tuttavia, scrive Filiberto Menna (nel testo del catalogo Disseminazione, mostra del 1978) il termine di riferimento fondamentale resta la pittura, la superficie, in quanto la dissemnazione è soprattutto un modo di ridefinizione del quadro attraverso la messa in questione della sua unità tradizionale. Così ritroviamo in Pino Pinelli tutti quegli elementi propri della pittura come il rapporto tra sfondo e figura, di cui – come si può intuire – l’artista allarga il campo, facendo del muro lo sfondo e dei suoi frammenti la figura; ma anche il colore, elemento connotativo ed identificativo delle singole opere, il cui titolo indica il colore utilizzato, sempre monocromo per ogni singolo frammento. Esso acquista corpo e massa, svelando la passione per la materia di Pinelli, che ha un approccio tattile, perfino sensuale con i suoi lavori, tutti rimodulati dal tocco delle sue mani. Le superfici non lisce, i contorni sfrangiati compaiono negli anni Ottanta, determinando gradualmente anche l’abbandono di forme geometriche euclidee perfette. Tuttavia, l’attenzione alla forma è una costante, che si riscontra non solo nell’esecuzione dei singoli pezzi, ma soprattutto nella “figura” della disseminazione, dunque nel movimento, centrifugo e centripeto al contempo, degli oggetti sulla parete che ricompongono una forma, raffinata ed equilibrata, proprio come l’artista. Scandendo un andamento lento, ma corposo, rigoroso e costante della sua pittura, Pinelli stabilisce uno stretto legame tra spazio e tempo, tra ordinamento (nello spazio) e frequenza (temporale), facendo sì che la parete diventi “il luogo fisico del possibile” e la pittura possa “entrare in scena” (Giovanni Maria Accame, Pino Pinelli. Continuità e disseminazione, Lubrina Editore, Bergamo 1991).