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Come una falena alla fiamma. Una imponente rassegna d’arte alle OGR

Fino ai primi anni Novanta del secolo scorso, le OGR – Officine Grandi Riparazioni di Torino, hanno rappresentato un vero e proprio simbolo del cuore operaio di Torino. Si tratta di un immenso complesso, un’architettura industriale costruita a fine Ottocento, originariamente destinata alla riparazione dei treni, fino al 2013, anno in cui la Fondazione CRT lo acquista, avviandone la riqualificazione con la società OGR-CRT, completamente abbandonato al degrado e all’incuria più totale. 100 sono i milioni investiti nella ristrutturazione per una superfice complessiva di 35.000 mq calpestabili, suddivisi in aree destinate al food, ad eventi musicali, alla arti visive e performative, che hanno trasformato questo luogo in un nuovo punto centrale della cultura contemporanea internazionale. Le nuove strutture OGR, sono state inaugurate con un Big Bang  lo scorso 30 settembre (cfr. Segno 264) e per quel che concerne le arti con l’installazione site-specific Procession of Reparationists di William Kentridge, opera che, richiamando l’attenzione sul tema del lavoro alle Officine, ne conserva concettualmente la memoria storica, con un ambiente performativo di Patrick Tuttofuoco e con un murale in ingresso di Arturo Herrera.

Sorprendente la nuova rassegna di arte visiva aperta in concomitanza di “Artissima”, con la mostra intitolata  Come una falena alla fiamma, curata da Mark Rappolt, Tom Eccles e Liam Gillick. Studiata per celebrare simultaneamente la restituzione alla città delle OGR, coincidente con il venticinquesimo anniversario della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, presso la quale l’esposizione si protrae e si completa, e il sessantesimo anno della fondazione dell’Internazionale situazionista, la mostra indaga i concetti di rinascita e rinnovamento nel racconto della storia del collezionismo piemontese, mettendo letteralmente a sistema tutte le eccellenze del territorio. Oltre settanta opere di artisti contemporanei e centinaia di manufatti antichi si alternano dunque in uno scenografico e spettacolare allestimento dove, le collezioni della CRT e della Sandretto, dialogano con quelle del Museo Egizio, di Palazzo Madama, del MAO – Museo d’Arte Orientale, della GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea e del Castello di Rivoli.

L’indizio fondamentale che spiega il concept della mostra, introducendoci in questa immersione nel tempo e nella Storia, è determinato all’ingresso dal lavoro di Cerith Wyn Evans. Si tratta di un testo circolare realizzato in neon, di un indovinello in latino che è anche una frase palindroma: «In girum imus nocte et consumimur igni» Cosa gira di notte ed è consumato dalle fiamme? Con la quale l’artista britannico suggerisce il titolo della mostra, ossia la figura di una falena che rischia di bruciarsi. Il lepidottero notturno, con il suo battere incessante delle ali, diventa emblematicamente il corrispettivo del “carattere” del collezionista e dell’esercizio stesso del collezionare, che si condensa in un compulsivo desiderio di accumulazione e di archiviazione, finalizzato alla preservazione dell’aurea originale di un determinato oggetto. Allo stesso tempo «In girum imus nocte et consumimur igni» è anche il titolo del film girato nel 1978 (diffuso nel 1981) da Guy Debord, padre fondatore del Situazionismo, il cui video, non casualmente, apre lo spaccato alla Sandretto, e i cui dettami sono simultaneamente ripercorribili nel Racconto in otto dipinti del 1960 di Giuseppe Pinot Gallizio alle OGR.

Con queste premesse Come una falena alla fiamma offre uno straordinario condensato di conoscenza, dove la contaminazione fra contemporaneo e antico è, sebbene già dialogo ampiamente sperimentato nell’arte, sorprendentemente coerente ed efficace. L’imponenza dell’enorme testa del faraone Tutmoside si fa evanescente nella leggerezza delle farfalline di Damien Hirst; la sacralità di una Bibbia del 1280, realizzata da un anonimo miniatore bolognese, ritorna sotto altra forma nell’interpretazione dogmatica delle “disturbanti” donne di Sarah Lucas; l’impassibile scultura di Buddha subordina a sé l’energia e la forza del grande orso in piume gialle di Paola Pivi; le fisionomie della Santa Caterina lignea e quelle idealizzate della statua funeraria di una gentildonna cinese del II secolo a.C, contrastano e si connetto al contempo con l’autoritratto contemporaneo in grasso, cera, capelli e intestino animale di Pawel Althamer. Tutta la mostra è un susseguirsi continuo di mute conversazioni fra molteplici opere diverse per epoca e stile, costantemente alternato da manufatti di ogni genere: amuleti egizi, lucerne romane, vasi in maiolica, fino alle bigiotterie anni Trenta di proprietà di Patrizia Sandretto allocate in un’elegantissima teca disegnata da Giò Ponti, i quali mostrano il modificarsi del gusto, delle mode e della percezione della bellezza nei secoli, ma anche e inaspettatamente il reiterarsi di forme archetipiche evidentemente insite allo spirito che muove e accompagna da sempre l’umanità. Un percorso che concettualmente possiamo chiudere con l’ossessivo lavoro di Hans-Peter Feldmann dedicato all’11 settembre e visibile alla Fondazione Sandretto, un’opera che ci consente di ricollegarci all’attualità. 9/12 Front Page del 2001 è la raccolta di 151 prime pagine di quotidiani internazionali uscite all’indomani degli attentati terroristici che sconvolsero l’America nel 2001. 9/12 Front Page mostra e dimostra, nella replica pressoché identica della rappresentazione delle Torri Gemelle in fiamme prossime al crollo, l’agghiacciante forza evocativa di un’immagine diventata icona della contemporaneità. Il lavoro di Feldmann agevola parzialmente la lettura critica di tutta Come una falena alla fiamma obbligandoci a una riflessione su come le immagini agiscano sulla nostra percezione degli eventi storici e di come, conseguentemente, l’oggetto di culto o divenuto tale quando collezionato, rappresenta un terreno d’indagine sterminato e in pratica pressoché impossibile da definire. Come le immagini organizzate da Feldmann ci sottraggono alla fruizione diretta dell’originale, così Come una falena alla fiamma ci sottrae l’autenticità del contesto produttivo dell’opera e la sua funzione costitutiva. Il tema della mostra, che più genericamente sollecita anche quesiti inerenti l’arbitrarietà della museologia e della museografia, è soprattutto pregnante sotto il profilo della potenza carismatica che si libera nell’image, questa da intendersi non come singola entità ma come vera e propria relazione.

Come giudicare, allora, Come una falena alla fiamma? Forse come una mostra che nel susseguirsi e sovrapporsi d’immagini offre una banale forma d’intrattenimento? Come soppesare questo immenso labirinto di oggetti, dipinti e installazioni? In verità, nonostante la propensione alla fascinazione dell’insieme Come una falena alla fiamma, come abbiamo appena visto, si offre come opportunità per un continuo esercizio critico sul senso e valore del concetto d’immagine in quanto tale. Non solo, questa mostra è per volontà dei curatori anche una messa alla prova, una verifica del nietzschiano pensiero dell’“eterno ritorno”. Sappiamo che Nietzsche arrivò a Torino nell’aprile 1888, e ammaliato dall’urbanistica cittadina, esclamò: “Quali serie e splendide piazze!”. Da qui, nasce la suggestione di Rappolt, Eccles e Gillick di testare la validità del pensiero del filosofo tedesco, osservando e mostrando l’agire degli artisti e dei collezionisti. Si deve convenire che l’attitudine creativa dell’uomo o la venerabilità riposta in essa, rappresenta la strategia dell’umanità messa in campo per contrastare il destino tracciato da Nietzsche. In sostanza l’arte, e il collezionismo soprattutto descrive la manifestazione più evidente del non soccombere dell’uomo alla supposta incapacità di non saper distinguere il mediocre da ciò che vale la pena vivere. Come una falena alla fiamma è dunque e in conclusione una palese risposta all’hic et nunc nietzschiano, che dimostra da un lato come le immagini non siano semplicemente istanti senza riferimenti né al passato né all’avvenire, dall’altro come i valori dell’umanesimo, sebbene sfumati nel tempo, non si siano mai azzerati completamente.

La recensione è pubblicata sul n. 265 di Segno.

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