La mostra Klassenverhältnisse – Phantoms of Perception inaugurata il 26 Ottobre 2018 al Kunstverein ad Amburgo, curata da Bettina Steinbrügge, Benjamin Fellmann e Tobias Peper, è dedicata ai racconti contemporanei di appartenenza di classe, di potere e sulle differenze sociali che sono presenti come fantasmi raramente articolati agli occhi del pubblico.
Il punto di partenza della mostra collettiva Klassenverhältnisse è l’omonimo film di Jean- Marie Straub e Danièle Huillet del 1984, un adattamento del romanzo di Franz Kafka “The Missing Person” che racconta la storia dell’ascesa e della caduta sociale del giovane Karl Roßmann.
I Phantoms of Perception si riferiscono a come gli artisti assumono prospettive che di solito le altre persone non fanno. La mostra riguarda le opere d’arte, i loro dintorni , rotture conflittuali, punti di vista, modi di costruzione e modi di espandere lo spazio dell’immagine da una prospettiva paragonabile, per allargare quindi l’orizzonte.
Le questioni centrali della mostra hanno a che fare con i problemi attuali posti dall’illusione di una società senza classi: esistono relazioni di classe, ma come fantasmi, perché i concetti che li descrivono sono difficilmente presenti più nel discorso pubblico, nella cultura e nei media . La mostra prende in considerazione i meccanismi con cui gli artisti espandono il nostro ambito di percezione nello spazio interiore dell’arte contemporanea e nelle realtà sociali con cui ci confrontiamo. Esamina i fantasmi che attualmente attanagliano la nostra società nei meccanismi di potere che installano i soffitti di vetro, nelle cause dell’aumento del populismo di destra e nella paura apparentemente diffusa del declino sociale ed economico.
La mostra inizia con un lavoro dell’artista tedesco Jan Peter Hammer, “Memorial for the loser of reunification”. Il pezzo è parte di una serie composta da cinque pezzi e si tratta di un rilievo di bronzo. Il bronzo ricorda lo stile dei memoriali socialisti realisti e racconta la storia di come i cittadini ordinari dell’ex RDT furono presto cacciati dalle loro case nella Germania post-riunificata; almeno in quelle parti dell’ex Berlino Est che erano diventati quartieri “alla moda” principalmente per la Germania Ovest e per gli investitori internazionali desiderosi di organizzare un nuovo campo di “buon vivere” in case plurifamiliari ristrutturate e prebelliche.
In primo piano, vediamo un agente immobiliare davanti all’ingresso di una casa che spiega ad una coppia apparentemente benestante i benefici dell’investimento, mentre sullo sfondo una signora anziana che tira una piccola valigia e che lascia la casa. Alla sua sinistra, una poltrona antiquata e una lampada per strada sembrano indicare che è già stata costretta a trasferirsi.
Entrando nella sala principale ci salta subito agli occhi un ingombrante scultura, intitolata “62 tons of guilt”, che giace sul pavimento. Si tratta dell’artista italiana Monica Bonvincini. La scultura sembra in uno status quo permanente. La sua superficie è lucida, dorata in oro. La composizione scultorea simile a un rilievo è composta da cinque lettere diverse, ciascuna di diversa altezza. La loro crenatura è particolarmente tesa, il che rende la parola difficilmente leggibile. Catene di acciaio industriali sono appese al soffitto, tenendo il pezzo. Il lavoro assomiglia a un ciondolo ingrandito, un accessorio di moda piuttosto pretenzioso che preannuncia la ricchezza, lo status sociale e l’identità culturale del suo proprietario.
“GUILT” è un concetto onnipresente che apprendiamo fin da piccoli, ma è anche un termine astratto, che continua a essere rivisto e ridefinito costantemente. Guilt (la colpa) è anche una delle idee chiave che invadono sia i nostri sistemi giuridici che quelli religiosi. Può essere individuale o collettivo e può essere accumulato, proprio come il capitale, e i due vanno spesso di pari passo.
Così come l’installazione della giovane artista Benedikte Bjerre, “Yomp”. Un’installazione che funziona come una messa in scena. Trasforma lo spazio in un’architettura che trasporta i nostri beni e merci. La valigia morbida, che si riferisce ai prodotti di viaggio forti e di lusso, agisce sia come oggetto spumeggiante sia come personaggo languido. Tracce nella stampa e sulla tela riflettono una storia personale. L’installazione riflette su concetti contemporanei come il movimento di merci e persone che provocano una sensazione di accelerazione del tempo, il ritmo della produzione, un continuo scambio di informazioni e il nomadismo di oggi.
A seguire lavori di: Sigmar Polke, Tobias Zielony, Neïl Beloufa, Thomas Hirschhorn, Sven Johne, Los Capinteros, Henrike Naumann, Driss Ouadahi, Joe Scanlan, Andrzej Steinbach, Anna Witt, Ariel Reichman, Katie Holten, Harun Farocki / Antje Ehmann und Jean-Marie Straub / Danièle Huillet.
La mostra sarà visibile fino al 27 Gennaio 2019.