La mostra All We Ever Wanted Was Everything and Everywhere a cura di Lorenzo Balbi, da poco inaugurata al MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna, segna il primo intervento dell’artista franco-svizzero Julian Charrière in un museo italiano. Julian Charrière, conosciuto nel nostro paese per la sua partecipazione alla mostra internazionale della 57 Biennale di Veneziacurata da Christine Macel, ha già esposto all’interno di rassegne e spazi istituzionali in diverse nazioni del mondo. Ricordiamo tra questi il Palais de Tokyo, Parigi; la Kunsthalle Wien, Vienna; il Parasol Unit, Londra; 12a Biennale di Lione.
Il complesso lavoro dell’artista, che si avvale per il suo sviluppo di numerose tecniche e mezzi espressivi, è incentrato sul tema del rapporto tra uomo e ambiente, di tale argomento l’artista esplora luci, ombre e contraddizioni. Protagonista del racconto di All We Ever Wanted Was Everything and Everywhere al museo bolognese,è, coerentemente con la poetica di Julian Charrière, la sua esperienza diretta a contatto con territori reconditi del pianeta, con la loro storia e gli elementi della natura. In questa occasione viene posta al centro la sua visita nelle aree contaminate dagli esperimenti nucleari svolti da Stati Uniti e Unione Sovietica nel secondo dopoguerra, luoghi e fatti storici poco conosciuti dall’opinione pubblica.
La questione dell’impatto della vita umana sul mondo della natura è stata recentemente oggetto di una nuova riflessione nel nostro occidente che ha trovato spazio nei dibattiti politici e sui media. L’argomento si è esteso alle ricerche in ambito culturale ponendosi spesso al centro di rassegne e opere di autori in campo letterario e artistico. Il tema del rapporto tra uomo e ambiente naturale, in questo caso, non si ferma più alla mera presa di coscienza del problema legato all’ecologia ma prende forma di una meditazione più complessa che ha per oggetto la possibile simbiosi e antitesi tra natura e civiltà. Questa più approfondita e colta analisi sulla questione ambientale fa vacillare i punti di vista estremi e, dell’argomento, pone in luce varie sfaccettature a volte contrastanti fra loro. Se la percezione della natura come mondo separato da quello delle attività umane, soprattutto economiche, è antico nella cultura del nostro occidente, lo è allo tempo il mito dell’incontro tra uomo e ambiente naturale e dell’impatto di quest’ultimo sulla sua coscienza. Questo tema è sviluppato in vario modo, nel campo artistico e letterario, lungo il corso dei secoli come testimoniano i numerosi esempi di “locus amoenus” descritti nelle opere letterarie del mondo antico, medievale e rinascimentale. Ne sono prove anche l’idea di natura quale guida e ispiratrice della civiltà stessa, fiorita nel XVIII secolo, o la concezione che vede legate esperienza nella natura e spiritualità, propria dell’epoca romantica.
Delle numerose sfaccettature presenti nel tema del rapporto tra natura e civiltà parla proprio il lavoro di Julian Charrière nella mostra All We Ever Wanted Was Everything and Everywhere. Il pensiero dell’artista franco-svizzero si sofferma più che mai tuttavia sul tema dell’incontro tra l’uomo e la natura, oltre che sul processo conscitivo e percettivo al cospetto di quest’ultima. Visitatore di numerosi luoghi del mondo Julian Charrièreè legato per molti aspetti alla figura dell’intellettuale e viaggiatore romantico, cercatore di conoscenza e portatore di ideali.
Nella ricerca dell’artista svizzero assume rilievo l’interesse per l’indagine storica utilizzata come strumento di analisi del presente. Al centro dell’attenzione di questo autore si trovano anche il temi dell’evoluzione scientifica e tecnologica. Scienza e tecnologia quali prodotti della civiltà umana, possono per certi aspetti essere considerati antagonisti al mondo della natura. Sono tuttavia indicati dall’artista come strumento di conoscenza approfondita di quest’ultima e mezzo per facilitare il contatto con essa amplificandone la percezione.
La modalità di esperienza attraverso la quale Julian Charrière entra a conoscenza del mondo, infatti, è proprio quella dell'”immersione” totale. Ricordiamo, come esempio di ciò, il racconto della sua esperienza di nuotatore subaqueo nelle acque del Pacifico attorno all’atollo di Bikini. Esplorazione che gli permette di osservare dal vivo, con lo sguardo di un archeologo, la portaerei americana Saratoga, affondata per volere dell’esercito USA nel 1946 proprio in occasione dell’esperimento atomico. Tale esperienza è ben riportata nel video esposto in sala e nel libro opera che accompagna la mostra “As We Used to Float”, Noi che galleggiavamo– Edizioni MAMbo.
In All We Ever Wanted Was Everything and Everywhere quindi, pur tenendo conto della complessità e delle contraddizioni che l’analisi sulla questione ambientale incontra, resta ferma la volontà di denuncia. Si mantiene salda infatti l’accusa contro i danni irreversibili causati dall’uomo agli ecosistemi del pianeta, contro le ingiustizie verso altri individui che hanno abitato specifici territori, sotto la spinta di interessi politici ed economici. La mostra allestita nella Sala delle Ciminiere presenta numerose opere della produzione dell’artista eseguite con tecniche diverse. Sono esposte sculture, fotografie, video e diverse installazioni, tra cui quelle, più recenti, realizzate appositamente per lo spazio del museo.
Le installazioni Pacific Fiction e quella intitolata All We Ever Wanted Was Everything and Everywhere, esattamente come la mostra, assieme ai video Iroojrilike As We Used to Float ci parlano della terra, delle acque e della vegetazione delle isole Marshall. Ci parlano in modo particolare dell’isola di Bikinie del suo ambiente contaminato. L’habitat alterato di quei luoghi entra nella sala del museo anche attraverso le installazioni al pavimento realizzate con innumerevoli noci di cocco cresciute in quei luoghi e ricoperte di piombo. Allo stesso modo il video e il ciclo di foto allestite nello spazio che affianca la sala principale proietta lo spettatore nella località di Semipalatinsk, nel nordest del Kazakistan, anch’essa destinata agli esperimenti con le armi atomiche, in questo caso per volere dell’Unione Sovietica.
Se nello spazio precedente le opere in mostra esaltavano la percezione attraverso i cinque sensi, quasi come se l’artista avesse trascinato gli elementi della natura dentro la sala espositiva, in questo caso invece lo spettatore è invitato soprattutto all’osservazione visiva. I sentimenti di angoscia e abbandono sono qui evocati dalla visione dei paesaggi desolati e poco ospitali di foto e video. Nel ciclo fotografico vengono presentati luoghi reali percorsi da macchie di fantasmi che l’artista ottiene ponendo i negativi a contatto con la terra contaminata dalle radiazioni.
Protagonista della mostra intera, e allo stesso tempo della poetica dell’autore, è la volontà di coinvolgimento fisico a contatto con la realtà. A questo scopo Julian Charrière ricorre, oltre che all’allestimento di ambienti dalla forte suggestività, all’avvio o misurazione di processi fisici o chimici all’interno della sala espositiva. Avviene ciò con le opere Savannah Shed, e Somehow They Never Stop Doin What They Always Did. Nella prima scultura l’artista include tra i vari materiali un coccodrillo e uno spettrometro che misura le radiazioni della sala, la seconda è costituita da edifici in miniatura realizzati con mattoncini di gesso, fruttosio e lattosio che si decompongono a contatto con l’acqua proveniente da vari fiumi del mondo.
Tra gli elementi della natura evocati da Julian Charrièreviene appunto privilegiata l’acqua. Ricordiamo a questo proposito le opere Silent World e Where Waters Meet, immagini e richiami di quest’ultima assieme a quella di figure umane che fluttuano al suo interno fino a perdersi. Il percorso della mostra All We Ever Wanted Was Everything and Everywhereè a sua volta realizzato e illuminato in modo da apparire “avvolgente” per lo spettatore che visita le sale.
L’artista infatti invita chi osserva a condividerne le esperienze sensoriali al fine di acquisire nuove consapevolezze,Julian Charrière, in un certo senso, chiama tutti coloro che visitano la mostra ad immergersi assieme a lui nelle acque dell’oceano.
Julian Charrière – All We Ever Wanted Was Everything and Everywhere
MAMbo, Sala delle Ciminiere
Fino all’ 8 settembre 2019